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A colloquio con Piero Tarticchio e Claudio Bronzin sul Giorno del Ricordo

DUE TESTIMONIANZE CHE ONORANO I LEGAMI DI SANGUE E DI SUOLO CEMENTANDO IL SENSO DEL RICORDO

Una conversazione con Massimiliano Serriello

La Memoria è fondamentale. Soprattutto quella Storica. Affinché i corsi e ricorsi storici non riguardino mai i reati commessi contro L’Umanità. Nel concetto di Umanità rientra il valore della Civiltà, della Patria, della Famiglia e della Fede. Il Ricordo è imprescindibile. Per non dimenticare. Non esistono guerre tra martiri della Champions League e martiri dell’Interregionale. I conti dei caduti portano fuori strada. Al pari delle distinzioni di comodo e delle discipline di fazione. La coscienza, cementata dall’onestà intellettuale, aliena alla palla al piede delle prese di posizione, permette di ascoltare il cuore. Al di là della sensibilità che veleggia sulla superficie. Per andare in profondità bisogna trascendere l’impressionismo soggettivo. Il numero dei caduti dello Shoa è un conto; quello delle vittime dei partigiani comunisti riguarda una parentesi isolata? Giustificabile? Chi usa le scorciatoie del cervello e sente il cuore solo quando gli tornano i conti delle impuntature ideologiche certe castronerie le andasse a dire guardandoli negli occhi, che non mentono mai a differenza dei seguaci delle banalità scintillanti della propaganda, a chi serba il Ricordo delle azioni d’infoibamento ai danni dei propri cari. Dei trasferimenti coatti. Dell’Esodo Giuliano Dalmata. Della condizione di esule indesiderato nel suo stesso Paese. Perché gli Istriani sono Italiani. Hanno scelto di esserlo sulla scorta dei veri legami di sangue e di suolo. Sarebbe interessante a quel punto ascoltare la campana degli alfieri dell’ipocrita e menzognero livellamento ugualitario, avvezzo sottobanco a portare l’acqua al mulino dell’appartenenza alla tessera di partito, in merito all’accoglienza nei confronti degli emigranti. Che affrontano viaggi impervi per venire nel Bel Paese. È stato un Bel Paese l’Italia per gli Istriani che si portavano dietro lutti, traumi e ricordi di un’efferatezza pianificata ed empia oltre ogni possibile immaginazione. Oggi è il Giorno del Ricordo. Un Giorno che volge al termine. Cosa ne resterà da qui a domani e nei giorni a venire?

Togliamoci il cappello. E ascoltiamo col cuore, senza usare le deleterie scorciatoie della materia grigia intenzionata a lasciare chiuse certe stanze buie di una Storia che ci riguarda da vicino, il ricordo di coloro che hanno visto. Non cose che noi umani non potremmo mai immaginare. Non è un film di fantascienza alla Blade Runner. Magari qualche produttore cinematografico meno asservito alla schiavitù delle pressioni commerciali, al materialismo delle conventicole e alla tendenza di punta dei giudizi asserviti, girasse un film sulle stragi commesse in tempo di pace! Magari, ripeto! Ne verrebbe fuori un film che antepone lo spirito alla materia. Che alla supponenza dei falsi intellettuali, nemici della Verità che non gli torna, privilegia la Verità. Del cuore. Da qualsiasi direzione essa provenga.

Un avvocato anche simpatico, che si diverte col sottoscritto, predisposto al gusto della battuta nei momenti in cui stemperare nell’ironia le scorie accumulate nell’altalena degli stati d’animo sul posto di lavoro aiuta, mi disse chiaro e tondo: Stai scrivendo troppi articoli sulle Foibe. Così ti dai la zappa sui piedi da solo. Non farai mai la carriera che meriti nel giornalismo. Gli chiesi di ripetermelo al microfono. Di registrare questo suo suggerimento a fin di bene. L’avvocato, amichevole e simpatico, solitamente guascone ed estroverso, si è sentito colto in flagrante divenendo laconico. Avido di parole. In Italia l’argomento delle Foibe, dell’orientamento comunista slavo, della delazione dei nostri infidi compatrioti convinti di dover tagliare le gambe a chi aveva le gambe lunghe, anziché tagliarle a chi le ha tuttora corte, di un fenomeno bollato dagli storici di professione, con la sensibilità che va a corrente alternata, come secondario, mentre invece è di primaria importanza in quanto o negato o rimosso, resta un tabù. Non se ne deva parlare punto e basta perché in Italia c’è l’Anpi. E di conseguenza il mito resistenziale potrebbe essere ridimensionato se affiorassero delle crepe nel monumento innalzato dai vincitori americani e dai partigiani rossi ai danni dei vinti. Non è questa la sede per disquisire sui veri o falsi vincitori, sui veri o falsi traditori.

Sul martirio di Norma Cossetto, che ha sofferto tanto quanto Anna Frank, è stato realizzato un solo film. Su Anna Frank parecchi. Anna Frank resta un simbolo di una giovane Vita strappata nel fiore degli anni adducendo la scusa dell’Amore per la Patria. Norma Cossetto (nella foto) è un simbolo assai più negletto. Una giovane donna. Una studentessa universitaria ingoiata nell’azione d’infoibamento compiuta dai sadici lupi mannari di fede comunista (ma potrebbero essere anziché rossi gialli, neri o verdi: cambierebbe poco) che addussero la scusa dell’Amore per la Civiltà allo scopo di nascondere l’abietta sete di sangue. Innescata dalla cifra dell’odio sociale. Norma non ha voluto rinnegare la sua Terra. Ed è stata infoibata in quella Terra. Ha pagato col sangue il senso dell’Onore inconcepibile per chiunque voglia occultare il materiale, anche umano, emotivo ed esperienziale, che può ritorcersi contro la presunta infallibilità dei calcoli opportunisti spacciati per ideali incrollabili. I legami di sangue e di suolo con Norma Cosetto sono Verdade. Come sostiene mia Moglie. Italo-brasiliana. 

Norma Cossetto | enciclopedia delle donne

Ho ritenuto doveroso come giornalista deciso a portare avanti nei limiti delle mie capacità argomentative il credo schietto, spiccio ed energico di Indro Montanelli, intervistare Maximiliano Hernando Bruno. Il regista di Red Land – Rosso d’Istria (nella foto). Il film incentrato sul martirio di Norma Cossetto snobbato dal Ministero dei Beni Culturali, che appone il marchio di qualità tipo Chiquita persino alle pellicole di mero intrattenimento pur di andare sul sicuro ed evitare come la pesta di apporre il beneplacito a un’opera ritenuta scomoda e inopportuna, lo ritengo un capolavoro. Credo che da critico se non altro onesto d’animo di non formi mai condizionare dall’orientamento ideologico. Lo dimostra la recensione che scrissi sul documentario Pepe Mujica, una vita suprema di Emir Kusturica. Un film di notevole pregio culturale e schietta umanità. Intelligenti pauca. Ed è sulla scorta della par conditio che ho voluto recensire Red Land – Rosso d’Istria accostandolo ad altri film con land (terra) nel titolo e sugli scudi. Per chiudere il cerchio, mi è sembrato giusto intervistare Maximiliano che, a differenza di Kusturica, Autore con la “A” maiuscola, non ha santi in paradiso. 

Red Land (Rosso Istria) - Wikipedia

 

Per chiudere il cerchio ho voluto intervistare due signori d’altri tempi. La cui testimonianza mi ha fatto compiere un viaggio indietro nel tempo. All’epoca di certe mattanze nascoste dagli storici di professione che il compianto giornalista e scrittore Giampaolo Pansa chiamava Gendarmi della Memoria. Grazie a loro, e altri fior di galantuomini della medesima fatta, la Congiura del Silenzio torna a casa con le pive nel sacco. La speranza che qualche produttore capace di contemperare mire commerciali ed esiti artistici e soprattutto umani è più che mai vivida. E deve rimanere vivida anche domani. Il primo galantuomo alieno a chi se prende un pugno sostiene di aver dato una mentata sulle nocche della mano del diretto contendente –  tipo Stjepan Mesić, l’ex Presidente della Croazia, che si ostina ad abbinare il giorno del Ricordo elementi di aperto razzismo, revisionismo storico e revanscismo politico – si chiama Piero Tarticchio (nella foto).

Non voglio spendere ulteriori parole sull’onestà intellettuale, sulla deontologia giornalistica, sulla concreta speranza della creazione di un film sensibile al tema della spiritualità, ai legami di sangue e di suolo, in virtù d’una messa in scena curata ad hoc, della concezione pittorica delle immagini, che non lasciano comunque sospeso il giudizio. La coscienza vince sulla scienza. Lo spirito prevale sulla materia. Sin dai primordi il Padre del cinema americano, David Wark Griffith, ha rivendicato lo stesso diritto concesso alla parola scritta: mostrare il lato oscuro del male in modo da poter mettere in risalto il lato luminoso della virtù. I presupposti sono buoni. Come critico cinematografico e giornalista allergico alle caste non ho il potere di spostare gli equilibri. Ma ho il dovere di fare i conti con la realtà che mi circonda. Di fare della buona informazione. Di non lasciare naufragare le speranze contro il muro dell’indifferenza. Di scoperchiare le convenienze autoctone e internazionali abituate ad amnesie incredibili ancor prima che stigmatizzabili. Di andare oltre le speculazioni di pensiero. E di ascoltare il cuore. Lasciando prima al signor Piero Tarticchio l’onere e l’onore di dare il benservito alle strumentalizzazioni di sorta, alle pregiudiziali ideologiche, alla pigrizia delle idee, se così si possono chiamare, prese in prestito.

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1). D). Lei è un pittore ancor prima che uno scrittore e un giornalista?
R / Certo. E quindi mi ritengo più un descrittore che un narratore.

2). D). Come tale è sensibile ai motivi figurativi convertiti dalla scrittura per immagini del cinema in ragguagli introspettivi. Ci sarebbe bisogno di qualche ragguaglio attraverso il linguaggio della Settima Arte per far capire agli spettatori all’oscuro di tutto,l e ce ne sono, cosa hanno significato le azione d’infoibamento compiute sfruttando le caratteristiche morfologiche del paesaggio carsico, l’atroce occultamento dei cadaveri, il sadismo dei partigiani titini, il sostegno dei partigiani comunisti italiani, l’esodo degli istriani, la condizione di esuli nella propria Patria?
R / Di film, a parte Red Land – Rosso d’Istria, che affrontino l’argomento a trecento sessanta gradi non ce n’è neanche uno. Segno che ai produttori non interessano. D’altronde se nessuno lo va a vedere il rischio d’insuccesso diventa sicuro. Servirebbe un film bello come dice lei. Coi valori figurativi che non risultano fini a se stessi. dando magari al film uno spessore che poi a ben guardare non ha. Occorrono valori figurativi densi e produttori coraggiosi. Le storie non mancano. Forse mancano il coraggio e la volontà di fare un film d’autore che abbia la forza significante e morale di arrivare a tutti. Anziché a una ristretta cerchia d’intenditori. Così serve a ben poco.

3). D). Signor Tarticchio la comunicazione senza intoppi tra emittenti e destinatari per sensibilizzare il pubblico su temi tabù per chi ha la coscienza sporca necessita pure in termini pratici della letteratura?
R / Ci ha preso in pieno. L’opera figurativa si può vedere nelle mostre. Al limite la può comperare una persona. Ma se voglio comunicare a tante persone, alle masse, devo passare dalla pittura alla letteratura. Un libro non costa migliaia di euro come può costare un’opera d’arte. Un libro può costare al massimo venti o trenta euro. E quando ce l’hai te lo puoi leggere una, due, tre volte.  Tutte le volte che puoi. Resta il fatto che è una forma di comunicazione di massa. Con un numero cospicuo di lettori curiosi di approfondire gli argomenti trattati e di conoscere il punto di vista dell’autore. 

Non so in quale foiba abbiano gettato mio padre" la testimonianza del  segratese Tarticchio - Giornale di Segrate

4). D / L’autore in questi casi non deve dare colpi al cerchio e uno alla botte. Dire la propria senza mezzi termini annulla le distanze come sostiene l’attrice Francesca Antonelli per la parlata capitolina? R / Una parlata, quella romana, che si evince fortemente, caro Serriello, dalla sua cadenza. È bella questa cosa che il senso di appartenenza della parlata spontanea annulla le distanze. La forza della comunicazione sta tutta lì: se le distanze si creano diventa un’autorete. Per comunicare accorciando se non altro le distanze (annullarle è dura) bisogna dire, o scrivere, le cose come stanno. Senza tentennamenti. Il problema – ahimè – è che alla mano sinistra e un po’ anche alla destra ho una sorta di tremore essenziale. Ciò mi preclude di operare come operavo prima in qualità di pittore. Quindi per un po’ di tempo ho smesso di dipingere: avrei tentennato. E non va mica bene. Ma un mio amico, che è un critico sia d’arte figurativa sia di letteratura, mi ha detto: tu non hai mai smesso di dipingere.

5). D / Dipinge con le parole?
R / Esattamente. Almeno secondo il mio amico critico. Forse ha voluto consolarmi.

6). D / Non credo. Che quadro esce fuori dai suoi libri secondo lei?
R / Non spetta a me giudicare. Ma è il quadro di una situazione orribile. Che è doveroso ricordare. Specie per chi l’ha vissuta sulla propria pelle.

7). D / Da ricordare a chi questa realtà non la conosce o la conosce superficialmente. Non si respirava allora un clima di giustizia sommaria e basta. Bensì di atrocità. Di reati contro l’umanità. Perpetrati dagli stessi che li condannavano quando furono commessi dai loro nemici. Come dire: se li perpetriamo noi non è reato; se li commettono loro è un reato contro l’umanità. La penna dello scrittore facendosi pennello come può raccontare questo?
R / Beh, non è facile. Soprattutto per chi come me serba il ricordo di quando ci svegliarono nel cuore della notte per portare via mio Padre. Un brav’uomo che in vita sua non aveva mai fatto male a una mosca. Anzi aveva aiutato tanta di quella gente. Senza mai guardare alla tessera del partito politico. Né allo stato sociale. Senza fare discriminazione tra italiani e slavi. I sentimenti anti italiani non lo riguardavano. Eppure quella notte l’orientamento nazionale degli slavi titini ha scatenato l’inferno. L’ondata di violenza ha colpito tante altre brave persone. Persone innocenti. Io da posso provare a portare il lettore dentro la storia. Prendendolo per mano. Per tracciare con le parole delle pennellate in grado di rendere quell’atmosfera surreale per cui un ragazzino, tale ero io, vede suo Padre sparire, arrestato per una scusa accampata con fredda premeditazione, per cui dietro la scusa altresì dei regolamenti di conti della componente slava contro quella italiana si è consumata una tragedia. Frutto del sadismo. Della cattiveria.

8). D / Degli psicopatici che provano piacere nel vedere gli altri soffrire. Lo dimostra il rito macabro praticato legando i condannati colpevoli di non rinnegare la madre terra sul ciglio di quella stessa terra per poi sparare a quelli attigui al precipizio in modo che cadendo si trascinassero quelli vivi costringendoli a coniugare l’esistenza all’imperfetto in preda all’agonia. Il guaio è che quei sadici vengono percepiti come buoni dai faziosi incatenati ai calcoli. Un film d’arte non guarda al calcolo. Bensì alla giustizia. Per mettere in luce la cecità politica di fronte all’innocenza. Anche soltanto l’immagine di copertina del suo libro Sono scesi i lupi dai monti ha un forte impatto a livello visivo. Lei come autore ha una conoscenza intima della materia trattata. La comunicazione audio-visiva del cinema può aiutare ad anteporvi lo spirito leale?
R / Personalmente penso tutto il bene possibile del cinema. Inteso nella sua accezione più ampia ed esaustiva. Ossia come veicolo di dubbi ed emozioni. Come mezzo di espressione più diretto rispetto alla letteratura. Sono molti quelli che preferiscono vedere un film invece che leggere un libro. È più veloce come comunicazione. Poi, ovviamente, ci sono quelli che hanno letto un libro e vogliono vederlo raccontato di nuovo attraverso la scrittura per immagini. Lei poi in veste di critico cinematografico certe cose le sa meglio di me. I registi si portano dietro il loro bagaglio di esperienze ed emozioni quando girano un film. Così come se lo portano dietro gli spettatori. Insieme alla curiosità di apprendere cose nuove. Che ignoravano. I registi ci mettono pure la loro cifra stilistica. Il modo in cui girano i film. Ed esprimono la loro opinione sull’argomento trattato. Se lo conoscono bene o hanno imparato a conoscerlo per girare il film. Come ha fatto Maximiliano Hernando Bruno. Che ha girato con Red Land – Rosso d’Istria un film bellissimo. Che rende alla perfezione l’atmosfera sinistra che si respirava  a Trieste, nel Goriziano, nell’Istria. Però un film ormai ha una finestra di tempo piuttosto limitata. Lo vedono in pochi ormai. Per scuotere le coscienze un film sulle Foibe, sull’Esodo Giuliano Dalmata deve andare in televisione. Anzi, per meglio dire, deve essere pensato e realizzato per la televisione. Una serie televisiva intendo. Vista da tanti spettatori invece che da quattro gatti. Ed è un peccato quando un film pieno di sensibilità ed estro va incontro al diniego del pubblico. Al disinteresse. 

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7). D / La cosa interessante, a beneficio dei lettori, non per fare un film, ma per spiegare, è capire la trama e i luoghi del suo libro pensandolo per immagini. Chi sono i lupi che scendono dai monti?
R / I lupi sono i partigiani di Tito. Che dopo l’8 settembre, con l’Italia affidata a Badoglio pronta a rinnegare l’alleato tedesco schierandosi dalla parte degli ex nemici alleati, commisero le mostruosità che io ho descritto nel libro. Ma non solo la mostruosità perpetrata ai danni di don Angelo Tarticchio. Che era un mio prozio.

8). D / Al quale fecero qualcosa di orribile. Paragonabile allo scempio compiuto dai partigiani nei confronti dei repubblichini esposti al pubblico ludibrio. Di che tipo d’oltraggio fu oggetto il suo prozio?
R / I titini gli fecero qualcosa di orribile per spaventare la gente. Era, come lei ha capito benissimo, qualcosa di pianificato con sinistra ed empia freddezza. Lo scopo era portare la barbarie alle estreme conseguenze. Come accadde con il martirio di  Giuseppe Cernecca, di Gimino d’Istria.

9). D / Esposto alla gogna dai biechi partigiani slavi che lo torturarono con un sadismo giustificato secondo la loro testa che avevano per dividere le loro orecchie da lupi dalla liquidazione dei cittadini istriani italiani e anticomunisti. Una colpa da scontare per loro. Tanto onore secondo me.
R / Un onore che Cernecca scontò, caro Serriello, legato con una catena usata di solito per i buoi. Mentre la gente infoiata dall’odio gli sputava addosso. Gli dava pedate. Bastonate.

10). D / Lo portarono, dopo, in un boschetto di ciliegi. Lì completarono la loro abietta, vigliacca opera?
R / Lì, in quel boschetto di ciliegi, il martirio toccò l’acme: gli misero in spalle un sacco contenente delle pietre. E con quelle pietre lo lapidarono.

11). D / Orribile. Al cinema quel boschetto di ciliegi rifletterebbe in eterno, secondo i dettami della geografia emozionale, quell’orrore. Serbandone il ricordo nel luogo eletto a location. In quei luoghi fecero pure di peggio. Sarebbe un film horror?
R / Si comportarono peggio dei mostri delle pellicole horror i partigiani slavi comunisti. Giocarono a pallone con la testa del martire istriano lungo le strade limitrofe. Fino alla ferrovia. E non sono invenzioni per portare l’acqua al mulino dell’anticomunismo.

12). D / La delazione che portò al martirio che trascende da qualunque horror, sia pure cruento, poteva essere italiana-partigiana?
R / La sicurezza assoluta non c’è. Ma nove su dieci sì: è altamente probabile. Ho conosciuto la figlia di Cernecca. Che lavora al Comune. Lei è andata a cercare il boia. Una donna coraggiosa.

13). D / Si chiamava Nidia. Ha lottato per difendere il ricordo della Terra del Padre. Del padre stesso. L’ha conosciuta?
R / Sì. Ho avuto questo privilegio.

14). D / Il boia si chiamava Ivan Motika. Nidia seppe stanarlo?
R / Nidia non si fermava davanti a nulla. Aveva la forza della ragione. L’attaccamento al padre. Al luogo patrio. Rintracciò prima l’assassino materiale del padre, Martin Tomassich, poi stanò il giudice, detto il boia di Tisino, che lo aveva condannato con fredda premeditazione al martirio. E di mezzo c’era quasi sicuramente una delazione partigiana italiana.

15). D / Per me è più che probabile. Ancora oggi i seguaci del Socialismo mondiale in Italia o minimizzano l’accaduto o lo negano. Con buona pace di chi sostiene che il negazionismo riguarda solo lo Shoa. Guai a negare! Ma dall’altra parte le bugie che poi hanno le gambe corte sono ed erano all’ordine del giorno.
R / Concordo con lei. Le pretese di legittimazione abituano la mente umana alle più vili delle strumentalizzazioni. Ed è impossibile ancor oggi in questi termini fare una riflessione seria. Al di là del fatto se quei partigiani italiani fossero dei banditi che avevano rinunciato all’onore, schierandosi contro altri italiani mettendosi con gli ex nemici americani, o se invece abbiano combattuto dalla parte della ragione per liberare la penisola dai nazisti furiosi per il tradimento dell’8 settembre, la delazione contro un compatriota reo di avere un sentimento ideologico diverso non merita commento.

16). D / La battaglia legale di Nidia merita una lode incondizionata?
R / Senz’alcun dubbio. Il Pubblico Ministero era Giuseppe Pititto.

17). D / Come no! L’intoppo di quella battaglia legale fu l’assenza di giurisdizione italiana sul suolo istriano e fiumano. Poi la gente crede che i legami di suolo e di sangue sono uno slogan!
R / Altro che slogan. Il vero guaio è passare dalla rilevanza dell’accadimento di carattere storico all’accadimento di carattere giudiziario.

18). D / Un altro intoppo è che pensare al passato, quello a che certa gente non fa comodo, diviene un’involuzione. Il bisogno di giustizia da parte dei parenti degli infoibati, dei martiri istriani è ritenuto una sorta di strabismo sociale. Vanno di moda gli slogan sociali sul passaggio da un mondo contadino e operaio a uno terziario che dà occupazione. Intanto è passato in cavalleria il  rinvio a giudizio nei riguardi dei boia con centinaia di persone identificate sulla coscienza. La coscienza cementa il Ricordo?
R / Nel modo più assoluto.

19). D / Qual è il suo ricordo da bambino adulto, signor Piero?
R / Dopo aver assistito alle esequie di don Angelo Tarticchio l’incubo si manifestò nella sua forma più atroce e inaspettata per un bambino della mia età.

20). D / Ad Angelo Tarticchio, tanto per far capire a chi legge, fu legata una corona di spina in testa e i partigiani titini comunisti gli staccarono i genitali e glie li misero in bocca. Mi perdoni, sempre per chi avrà la pazienza di leggere, cosa ci può essere di peggio?
R / Agli occhi di un ragazzino di nove anni, com’ero io, il sentimento d’incertezza era la cosa peggiore. Non sapere era peggio della paura più cieca. Noi consumammo in famiglia una cena in silenzio. Ero solito sedermi in camicia da notte sui gradini che portavano dalla cucina al piano superiore dove c’era la camera da letto. E ascoltavo dalla porta che era sempre semi-aperta i discorsi degli adulti: sentii parlare di Norma Cossetto e del suo martirio. Furono mio Padre e mio Nonno a commentare quell’infamia, lo stupro commesso ai suoi, l’azione d’infoibamento commessa dai partigiani titini.

21). D / I lupi che scendono dai monti a cui lei fa riferimento nel suo ultimo libro piombarono in casa nel cuore della notte tra il 3 e il 4 maggio del 1945. Cosa provò?
R / Terrore. Stupore. Incredulità. Aprii mia Nonna. I colpi alla porta di quei lupi emanavano un sinistro presagio. Tenga presente una cosa, tornando ai delatori italiani così difficili da stanare, quei traditori contro il loro stesso sangue furono i primi essere infoibati. È noto che i comunisti si servono dei traditori ma poi li ammazzano perché sanno che non c’è da fidarsi. Nelle foibe ci finirono i fascisti, gli istriani fascisti, gli istriani che non erano fascisti, gli slavi filo italiani, i partigiani italiani comunisti che avevano fatto la spia contro altri istriani italiani.

22). D / Colpevoli di non rinnegare la loro terra. Di essere anticomunisti. Di non lisciare il pelo dal verso giusto ai lupi che sostenevano come membri del movimento di liberazione croato di rendere pan per focaccia ai militari nemici e alle spie di professione mentre invece ammazzavano per il gusto di farlo chiunque non li fiancheggiasse nella mattanza alle spese degli innocenti. Che capo di accusa montarono contro suo Padre?
R / Mio Padre aveva una bottega di genere alimentare. Era prima di tutto un Istriano Italiano! Fu bollato come un fascista e sfruttatore del popolo slavo. Tutto per avere una bottega di genere alimentare. Mio Padre è sempre stato una persona perbene. Generosa. È stato un onest’uomo. Che, glie lo posso assicurare, durante la seconda guerra mondiale, ha aiutato tanti ma tanti paesani. Stracciando i conti della spesa. Dando anche degli indumenti, soprattutto calze di lana, a chi si era avventurato tra i boschi. Mio Padre non aveva mai indossato la camicia nera. Per il semplice fatto che c’erano le adunate settimanali. Per poi fare degli esercizi ginnici. Mio Padre non poteva perché svolgeva una sorta di servizio pubblico in quei momenti perché vendeva generi alimentari alla gente. Fu accusato di fare dell’economia sommersa. Lui che aveva aiutato indistintamente chi ne aveva bisogno nei limiti chiaramente delle sue possibilità. Lo legarono come un bestia davanti ai nostri occhi. Provocando le vivide proteste di mia Madre. A sua volta minacciata di morte. Non ne abbiamo saputo più nulla.

25). D / Per forza. È il destino dei morti ritenuti di serie B dai seguaci del menzognero livellamento ugualitario. Gli Istriani non hanno dalla loro un narratore cinematografico come Steven Spielberg per mostrare quanti Padri di famiglia sono finiti occultati nelle Foibe.
R / Per cementare il Ricordo a futura Memoria in un film sul Passato dell’Istria non abbiamo neanche uno come Roberto Benigni. Che quando declama La Divina Commedia nel IX canto dell’Inferno si guarda bene dal nominare Pola. Non so se ci ha fatto caso. Il canto in questione fa così: Sì come ad Arli, ove Rodano stagna, sì com’ a Pola, presso del Carnaro…

26). D / Certo, mi scusi se la interrompo. Prosegue: ch’Italia chiude e i suoi termini bagna, fanno i sepulcri tutt’il locon varo…
R / Bravissimo! Conclude: così facevan quivi d’ogne parte, salvo che ‘l mondo v’era più amaro. Ebbene Benigni non so se per sua scelta o per un ordine di scuderia o per una scelta deliberata salta Pola. Non la menziona.

27). D / Non ci avevo fatto caso. Ho basato la mia tesi di laurea su Totò e Alberto Sordi. Citando Benigni come una sorta di loro erede. Però in effetti non si può saltare Pola: è geografia emozionale. Arles sta in Provenza. Il Rodano sfocia in mare e s’impaluda. Pola delimita i confini dello Stivale dalle parti del golfo di Quarnaro. Totò non avrebbe mai menzionato il Golfo dimenticando Pola.
R / Ogni tanto leggo ‘A livella di Totò e mi emoziono profondamente. Come fosse la Divina Commedia. Totò resta il miglior attore italiano di sempre. Un galantuomo. Un comico che allietato milioni di persone che si odiavano tra loro. Che non si potevano vedere. Ma che hanno riso alle sue battute. Per la sua mimica. Per la sua inarrivabile classe recitativa. Benigni secondo me non gli arriva nemmeno vicino. Benigni spiega al volgo la Divina Commedia. E di questo bisogna rendergli merito. Ma Totò ha scritto ‘A livella!

28). D / Con me parlando del Principe de Curtis in arte Totò sfonda una porta aperta. Tra l’altro, oltre a scrivere ‘A livella che manda a carte quarantotto la dabbenaggine del livellamento ugualitario agognato dai lupi che scendevano dai monti, ha interpretato in Arrangiatevi di Mauro Bolognini un nonno napoletano trapiantato a Roma che deve dividere l’alloggio con un coetaneo ed esule istriano passando dallo sfottò sugli sconfinamenti all’affetto.
R / Lo ricordo. Quando i due italiani, uno napoletano e l’altro istriano, si dicono addio, dopo aver tanto battibeccato, è un momento di grande cinema. Una poesia. Ma Totò era il più bravo di tutti.

29). D / Il miglior attore di tutti i tempi. Un uomo all’antica che guardava al futuro con il cinema preservando i valori del passato.
R / Un Amico degli italiani istriani e di tutta la Penisola. Un fuoriclasse.

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Ci sono tanti modi di essere fuoriclasse. Si è fuoriclasse restando legati al Ricordo. Senza rimuoverlo. La cugina di Claudio Bronzin (nella foto), ai tempi quindicenne, preferì rimuovere il Ricordo della Strage di Vergarolla. La geografia emozionale non è un’astrazione intellettuale né una speculazione propagandistica o patriottarda: i due cugini sono tornati insieme da quelle parti. Dalle loro parti. Piero Tarticchio è diventato un milanese d’adozione. Claudio Bronzin cittadino onorario di Cascina - Il Tirreno Pontedera

Preservando i suoi legami di sangue e di suolo con l’Istria. Il signor Claudio BRonzin spesso, prima del Covid, faceva una volata in automobile. Da persona schietta, spiccia ed energica. Allergica ai salamelecchi. Ai paroloni vuoti. Alle ostentazioni di stima. Alla cifra dell’odio. All’infamia di chi occulta. Lui è un Uomo che ha il coraggio di serbare il ricordo. E come tale l’ho intervistato.

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1). D). L’Esodo Giuliano Dalmata apre molte ferite. Lasciare la propria terra è un po’ come morire. La rinascita è affidata alla terra adottiva. Com’è la Toscana in tale veste?  
R / Firenze ormai è la mia città. Ci vivo da tantissimi anni. Nel corso degli anni cambiano tante cose. Pure il modo di sentire i problemi sociali, l’appartenenza, le critiche sollevate ai politici. Ma un conto è la politica, i clan di partito, e un altro i condizionamenti ambientali. Si può pensare in modo diverso senza entrare nel merito dei fatti che si hanno sott’occhio tutti i giorni. Il posto dove si vive è importante. Non ho interesse a trovare questo posto buono per forza. Però ormai mi ci trovo bene.

2). D). L’importante che ci sia un clima di dialogo. Gli spazi di confronto sono importanti. Mia Madre lo ripete sempre. Glie l’ha insegnato il Papà. La sua Famiglia era trapiantata nell’Urbe. A Piazza Vescovio. Ma è toscana doc. I toscani sanno confrontarsi?
R / Sì. Spesso a muso duro. Se hanno idee differenti. L’ambiente talvolta, ripeto, queste idee le condiziona. C’è lo spirito borghese. C’è quello proletario. Gli spazi per confrontarsi in effetti non mancano. Ce ne stanno per tutti i gusti.  Da che parte della Toscana viene la Famiglia di sua Madre?

3). D / Da Buti. In provincia di Pisa.
R / Sono andato due anni fa a Cascina in veste di reduce della Strage di Vergarolla per raccontare la mia storia. Mi hanno fatto cittadino onorario.

4). D / È motivo d’orgoglio. Oggi non la farebbero più cittadino onorario. Roma è la mia città. E la amo. Ma odio la faziosità. Il Pd colleziona figure ignominiose. Sembra avere l’abbonamento alle bucce di banana in cui inciampa chi è ipersensibile per le cose proprie e insensibile per quelle degli altri. Cosa ne pensa?
R / Ho capito cosa intende. Ne avevamo anche parlato fuori dall’intervista appena ci siamo conosciuti. La commemorazione per i martiri delle Foibe è stata bocciata nel X Municipio della Capitale. Un Consiglio Comunale, al di là dell’orientamento politico, dovrebbe conoscere e apprezzare la Verità Storica. Cascina adesso è in mano alla sinistra. Due anni fa l’amministrazione comunale era di destra.

5). D / Ma la Verità Storica non è né di destra né di sinistra. In Brasile si dice: Ser uma pessoa de verdade. Quando ci è andato lei nel Consiglio Comunale di Cascina c’erano Pessoas de Verdade?
R / Presumo voglia dire, così a orecchio, persone vere.

6). D / Sì: Persone di Verità.
R / Io in quella circostanza non avrei dovuto nemmeno parlare. Mi ha telefonato Carlo Cesare Montani (nella foto). Lo scrittore. 

Andria – Foibe, Giorno del ricordo: incontro con gli esuli Laura Brussi e Cesare  Montani. VIDEO e GALLERY BATmagazine – Notizie d'approfondimento di  Barletta Andria Trani – provincia bat – Provincia Barletta

7). D / L’autore del libro Venezia Giulia-Istria-Dalmazia. Pensiero e vita morale.  
R / Per la precisione. Ed è stato lui a coinvolgermi. In quel caso il Consiglio Comunale di Cascina ha apprezzato la mia testimonianza. Anche se io non sono né uno scrittore né uno storico.

8). D / Forse proprio per quello: chissà. Comunque, Claudio, la spontaneità di tratto d’una testimonianza aliena ai segni d’ammicco dei falsi intellettuali condizionati dagli asservimenti ideologici fa bene all’anima. Ed è anche un ottimo viatico per l’immediatezza espressiva. Senza fronzoli od orpelli. Ed è sulla scorta di quella schiettezza che glie lo domando: cosa le ha comportato vedere da vicino quella strage nel pieno dell’età verde?
R / Mi ha fatto diventare grande sin da piccolo. E come me sono tanti gli esuli istriani nel fiore degli anni che sono diventati grandi sin da piccoli. A parte poi che non ero neanche così piccolo perché avevo undici anni. Sicché. L’esodo l’ho fatto a dodici.

9). D / Allora i genitori responsabilizzavano più i figli rispetto ad oggi o è l’ennesimo adagio dei laudatores temporis acti?
R / Il passato si rimpiange sempre un po’: è vero. A volte può sembrare una lagna. Ma non in questi casi.

10). D / Sono casi in cui entra in gioco l’attaccamento alla terra e lo sradicamento da quella terra. Mica briscole. Inoltre il passato per i vecchietti sempre sulla breccia rappresenta la giovinezza?
R / Per forza. Il passato riguarda i valori. Quelli veri. Ereditati dalla famiglia. Che non c’entra niente con l’abitudine di dire: ai miei tempi era tutta un’altra cosa. A me la lagnanza sui tempi odierni interessa poco o niente. Quello che mi preme è serbare il ricordo di quello che ho visto. Anche se atroce.

11). D / In quei momenti non si andava molto per il sottile.
R / Non si scherzava. La responsabilità che ci davano i genitori serviva anche per affrontare a testa alta i momenti terribili come quello.

12). D / Prima della tempesta da affrontare a testa alta c’è il sereno. Sembrava filare tutto liscio. Poi?
R / Gli slavi erano stati allontanati. Poi è cominciata ad arrivare qualche notizia non tanto buona. Noi istriani eravamo concentrati nello sport. Nelle manifestazioni: ne abbiamo fatte tante. E una di questa è stata organizzata il 18 agosto del 1946.

13). D / Se permette, mi allaccio: i lupi, citando Tarticchio, sembravano lontani ormai anni luce dalla Terra dei Padri istriani. Nella spiaggia di Vergarolla, vicino Pola, in antitesi coi monti di quei lupi, la concentrazione è riposta alle gare natatorie per la Coppa Scarioni: l’iniziativa della società dei canottieri “Pietas Julia” sembrava un antidoto contro i discorsi sugli sconfinamenti degli italiani comunisti. Che identificavano tutti gli istriani con i fascisti. Ed ergo con l’applicazione del futuro slogan d’ascendenza sovietica: Uccidere un fascista non è reato. Le bandiere italiane presenti in spiaggia erano un ramo d’ulivo preferito all’alloro?
R / Beh, sì: spezzavano una lancia a favore dell’italianità degli istriani. Una cosa per altro vera. E la verità è anche la cosa più facile da ricordare. Però a qualcuno quel clima di pace, d’ironia e d’autoironia non piaceva per niente. Noi andavamo spesso in questa spiaggia. Come tutte le famiglie. La mia famiglia aveva il negozio a Pola. Quindi si aspettava la domenica per staccare la spina dal lavoro. E andare a fare il bagno tutti assieme. La spiaggia di Vergarolla era l’ideale: ben ombreggiata, coperta dal mare mosso. Perché sta dentro il Golfo di Pola. Le spiagge lì sono così: se c’è un po’ di vento, non si può fare il bagno; di sabbia a Pola non ce n’è. In quella spiaggia ci avevo giocato. Mi trovavo bene. Specie nella parte della Pineta. Che era quella che ci piaceva di più. Io, mio Padre, mia Madre e mio Zio siamo rimasti staccati a circa un’ottantina di metri di distanza dalle gare di nuoto. A mio padre interessava vedere le gare. In pace. Ma non ci fu verso. Non me lo sarei mai immaginato. Abbiamo comunque visto tutte le gare. E nel momento di pausa che si è interrotta quella pace di cui parlo. 

14). R / Ed è là, nella pausa delle gare, che, appunto, l’alloro, il simbolo della guerra, prevalse sul ramoscello d’ulivo presente idealmente in Pineta e nella spiaggia come simbolo di pace. I lupi redivivi scesi dai monti fanno esplodere nove tonnellate di esplosivo. In Italia, per dirla come Candice Bergen in Soldato blu, chi recitava poesie sul mito resistenziale non recita un verso sulla più grande strage perpetrata dai lupi sempre in guerra in tempo di pace. E il gioco?
R / Il giocattolo si ruppe. D’improvviso, alle 14 10, ho sentito nitidamente un colpo di pistola. Un colpo secco. Nel silenzio. Era un momento di pausa. Molte persone stavano dormendo. Ho alzato gli occhi e ho visto un’enorme colonna di fuoco salire verso l’alto. È diventato fumo, polvere. Arrivava di tutto. Io riuscii ad afferrare la mia cuginetta. La presi per mano. E corremmo dai nostri genitori. Fino a pochi istanti prima, come lei ha ben intuito, regnava la pace. Insieme a un clima di distensione. Una squadra femminile di simpatizzanti slavi partecipò alle gare. C’era una ragazza dalla chioma fulva che veniva chiamata la Rossa per via dei capelli e dell’orientamento ideologico stava serenamente allo scherzo. Rideva. Faceva battute. Dopo pochi attimi il clima di distensione cedette il passo alla guerra. Al caos. Alle corse in ospedale. Noi stavamo vicino a un capannone al momento dello scoppio per vedere da un piano rialzato il panorama insieme alle gare. Vidi un gran movimento invece. Vidi arrivare i camion. Vidi gente che soccorreva. Che si dava da fare. Eravamo circondati da gabbiani che si buttavano ai nostri piedi e in mare emettendo un grido assordante. Che ho ancora nelle orecchie. Io pensai che si fossero impauriti anche loro. Lo scoppio fu talmente grande da far volare di tutto persino a Pola. Con un raggio di quattro chilometri. Tenga presente questo. È così che siamo passato da essere istriani italiani in un clima di pace e distensione a profughi ed esuli indesiderati in Italia. Così passammo dalla pace alla guerra. 

La strage di Vergarolla raccontata da Claudio Bronzin, esule da Pola a  Firenze – Varutti e Esuli giuliani, Udine

Il signor Claudio ricorda la condizione di esule. I giochi coi ragazzini della sua età. Quando portava un pallone di cuoio acquisendo un po’ di sano prestigio presso i coetanei che giocavano con una sfera fatta con gli stracci. Ricorda gli esuli anziani, come l’amico-nemico di Totò in Arrangiatevi, che bevevano. Che si chiudevano nel mutismo. Allora non capiva. Forse li giudicò abbrutiti. Oggi li comprende. Oggi è un decano senza retorica. Che va dritto al punto. E serba il Ricordo. Anche nei giorni che seguiranno al Giorno del Ricordo. Vivaddio.

MASSIMILIANO SERRIELLO

 

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