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A Forlì, la “mosca nera” della Chiesa del Castellaccio

La Chiesa di Santa Maria Madre di Dio in Castellaccio
TEMPLUM MARIAE DEIPARAE 

Compresa nella Diocesi di Forlì-Bertinoro, ma per pochi metri già nel territorio della provincia di Ravenna, la sera dello scorso 1° gennaio la Chiesa di S. Maria Madre di Dio in Castellaccio finalmente mi è apparsa nella luminaria di una grande cometa, quasi fosse pure luce salvifica dall’ansia del gran nebbione, in quel momento incombente sulla campagna romagnola. Finalmente!
La chiesa forlivese dei nostalgici della tradizione tridentina, precedente al Concilio Vaticano II: insomma anche a Forlì, a contrasto col candore delle mosche conciliari, la “mosca nera” della Fraternità Sacerdotale San Pio X, fondata nel novembre 1970 dall’arcivescovo cattolico francese Marcel Francois Lefebvre.

Da tempo mi ripromettevo di visitarla per assistervi alla celebrazione della S. Messa, ma il proposito s’era a lungo perso tra rinvii e, soprattutto, lo confesso, l’alternativa di qualcosa, da me ritenuto più interessante, pure più piacevole rispetto alla celebrazione della solita messa festiva.

Lo so, sono un pessimo cristiano, credo, ma professo poco, soprattutto dalla caduta di sacralità della chiesa conciliare a partire dalla Santa Messa, il 7 marzo 1965 celebrata da Paolo VI, proprio nella nuova forma e in lingua italiana, presso la parrocchia romana di Ognissanti.
Eppure, sino a quella data, ormai quasi quattordicenne, avevo avuto il pedigree del buon ragazzo cattolico, partecipe e sostenitore di tante iniziative della mia Parrocchia della Santissima Annunziata a Firenze, persino chierichetto provetto, impeccabile nella tunica nera e la cotta bianca, chiusa al collo da un nastrino rosso, come testimonia un vecchio scatto Kodak, prova inconfutabile di questi miei precedenti filoclericali.
In realtà, dietro la nuova messa conciliare di Papa Paolo VI c’era solo la resa più vasta della Chiesa all’avanzata pretenziosa, politicamente supportata dalla sinistra italiana, del cosiddetto “cattolicesimo progressista o del dissenso”, prodromo del ’68 e dei suoi “cattivi maestri”, assertore che il progresso della Chiesa potesse realizzarsi soltanto fuori dalla tradizione, fuori dalla continuità tra passato e presente: risultato è stata una chiesa sempre più secolarizzata perché laicizzata, convinta che debba essere Dio a cercare il fedele e non viceversa, quindi con banchi sempre più vuoti, quasi che Dio debba cercare i figli fuori dalla sua casa.

La messa post Concilio Vaticano II ha imposto così il rito del celebrante rivolto ai fedeli, alle sue spalle magari il santo tabernacolo o l’immagine regale di un Cristo Redentore, attorno sempre più rari, inconsapevoli chierichetti e improvvisati suonatori, addirittura band di musicisti o strimpellatori chitarristi per musiche di accompagnamento ai canti postconciliari: in conclusione, uno stravolgimento radicale della liturgia, del rito, non più fedeli e celebrante rivolti a Dio per rinnovare la propria fede nell’incontro, nel patto con l’Altissimo, ma l’happening di una comune religiosa, per una celebrazione quasi egualitaria tra Dio e l’uomo. Alla Chiesa di S. Maria Madre di Dio in Castellaccio, poco fuori Forlì, la Santa Messa è quella del rito tridentino, officiata in latino e, all’occorrenza, con musiche d’organo e canti di anelito, preghiera a Dio, non piatti ritornelli o motivetti conciliari con tanta esigua dignità sacrale. La comunità dei fedeli della Chiesa forlivese del Castellaccio, ispirata al messaggio del vescovo Lefebvre, partecipa intensamente e consapevolmente allo svolgimento del rito austero, solenne e ascetico della messa tridentina, rinnovando così la propria devozione filiale al Padre Eterno, anche modulata dalle note dell’organista e dalle voci dei cantori, essi stessi fedeli di questa comunità.

Immagino le obiezioni, pure ironiche, persino taglienti dei bianchi, immacolati cattolici forlivesi postconciliari contro la “mosca nera” della Chiesa del Castellaccio: “Via su, la messa in latino!”; “Una messa fuori dai nostri tempi, roba da medioevo!”; “Una professione di fede bigotta e clericale!”.
Eppure, ogni domenica la Chiesa del Castellaccio è sempre più affollata di fedeli, anche curiosi, di ogni età ed estrazione sociale, che condividono tanta retriva ritualità!
Eppure, ogni messa alla Chiesa del Castellaccio è raccoglimento di uomini e donne dei nostri tempi che rimettono la vanità della modernità per pregare nello spirito della grande tradizione cattolica! Il latino non è fondamentale, né divide né risulta anacronistico: il foglietto della messa reca, comunque, sempre il testo italiano a fronte!
Eppure, ogni celebrazione alla Chiesa del Castellaccio si avvale del servizio impeccabile di chierichetti, ne ho visti ben quattro, perfetti nel loro ruolo, sicuramente senza pari altrove!
Eppure, dopo ogni messa domenicale il sagrato antistante alla Chiesa del Castellaccio si anima di tanti che si soffermano a chiacchierare, scherzare, ciascuno nel proprio look, variabile da quello scanzonato del teen-ager a quello più misurato dell’agée!

La ritualità alla Chiesa del Castellaccio ribadisce solo fermamente quanto dovuto a Dio, non l’appiattimento tra Dio, il fedele e, magari, lo stesso Cesare. E’ bene ricordare come, oggi, ancora di più dopo la remissione di una passata, incauta scomunica papale, la Fraternità Sacerdotale di San Pio X agisca legittimamente all’interno della Chiesa, pur discutendone taluni indirizzi e finalità.

Una mosca nera non costituisce certo un’eccezione, ma nel caso della San Pio X e della stessa Chiesa del Castellaccio lo è diventata per la prevalenza dell’incolore conformismo delle bianche mosche cattoliche conciliari: lasciamo che questa significativa eccezione svolazzi, insistente e ammonitrice, contro il luminoso candore delle pareti interne della Chiesa del Castellaccio, in fondo è pur sempre una creatura di Dio.

 

FRANCO D’EMILIO

 

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Franco D'Emilio

Storico, narratore, una lunga carriera da funzionario tecnico scientifico nell'Amministrazione del Ministero per i beni e le atiività culturali

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