A Torre del Lago, la Tosca di Puccini in “camicia nera”
LA TOSCA IN UN’INOPPORTUNA RIVISITAZIONE SCENICA
_______________ FRANCO D’EMILIO
Le critiche, la polemica, soprattutto le battute sferzanti, anche salaci, tanto più adesso in pieno clima di accesa campagna elettorale, sembrano davvero non desistere sulla bocca dei tanti melomani, appassionati d’opera lirica, accorsi da tutta Italia e dall’estero, ma delusi, amareggiati, addirittura inquietati dalla messa in scena della Tosca di Giacomo Puccini all’edizione in corso del Festival di Torre del Lago, come ogni anno dedicato appunto al grande compositore lucchese.
Sinora, con il debutto del 18 luglio questa Tosca ha gelato, sbigottito gli spettatori, poi con la replica del 29 luglio li ha messi spalle al muro nell’impossibilità di capire perché il suo assurdo, inconcludente allestimento scenico, un’idea malsana, veramente senza capo né coda; con le repliche del 13 e 26 agosto si corre il rischio, pur in mancanza del dissenso del loggione dei veri intenditori, che lo sdegno del pubblico solleciti le acque placide del Lago di Massaciuccoli ad una sorte di tsunami che spazzi via una rappresentazione offensiva della natura e dello spirito, dell’ispirazione e della stessa contestualizzazione storica della Tosca.
Motivo di tanto discutere? Presto detto!
Innanzitutto, lo spostamento temporale: la trama di Tosca, anziché nel giugno 1800, tempo di restaurazione a Roma dello Stato Pontificio dopo la parentesi, 1798-1799, della Repubblica Romana su esempio della Prima Repubblica Francese, viene trasferita negli anni ’30 del secolo scorso ovvero, ohibò, in pieno, crudele e sanguinario Fascismo.
Di conseguenza: le guardie pontificie indossano divise fasciste; il barone Scarpia è un temibile gerarca fascista, mediocre imitatore di Mussolini e, come il Duce, incline a sfruttare il suo potere per sedurre le belle donne come Tosca; Mario Cavaradossi e Cesare Angelotti sono due antifascisti di comuni ideali; infine, Tosca, indecisa, gelosa e seduttrice, diviene quasi una diva “da telefoni bianchi” della commedia cinematografica degli anni ’30 e, in certe pose in cima ad una scalinata, persino, vanamente emula della fatale Wanda Osiris.
Tutto si svolge sullo sfondo scenografico di una Roma schiacciata dal potere temporale della dittatura e da quello clericale della Chiesa, un netto richiamo all’Uomo della Provvidenza a braccetto con Pio XI.
Firma di tanto capolavoro scenico tale Pier Luigi Pizzi, certo autore poco prolifico di nuove idee se all’odierno Festival di Puccini ha riproposto un allestimento della Tosca, ideato nel 2013 per il teatro estivo delle Terme di Caracalla a Roma e, poi, ripreso ancora nel 2017: sempre in tempo, comunque, a cambiar mestiere e restituire due braccia sinora sottratte all’agricoltura.
Pare che Pizzi, con questo allestimento in camicia nera della Tosca, abbia voluto mettere sotto accusa ogni totalitarismo che conduce gli uomini di potere alla sopraffazione e abusi su cittadini indifesi, tanto più in questa edizione del festival pucciniano, dedicato ai giovani ai quali si vogliono offrire momenti di riflessione e speranza per il futuro.
Da qui l’opportunità, l’espediente, la falsificazione culturale di asservire la grande musica, una celebratissima opera lirica agli interessi propagandistici, mistificatori di un antifascismo nostalgico, ridotto a poco più di una bocciofila. Suvvia, per favore e per dignità, finiamola con questa quasi decennale solfa della Tosca pucciniana, rivisitata, come cavoli a merenda, in chiave antifascista e con un forzato richiamo a “ora e sempre Resistenza”.
La Tosca di Giacomo Puccini è opera superba dove la musica davvero unica sospinge una storia d’amore e di morte, di lotta tra vecchio potere e nuove idee di libertà; è un’opera che, già da sola nella sua originaria collocazione temporale, sa parlare a giovani e anziani, muovendo riflessioni, giudizi, auspici per il tempo che verrà.
Dal giorno della sua prima rappresentazione, a Roma il 14 gennaio 1900, la Tosca di Puccini ha conquistato la sua immortalità musicale, culturale e l’immortalità non la si può, non la si deve affatto costringere negli abiti inadatti, stretti di un passato trascorso e discusso, quale, appunto, il Fascismo.
Neppure, la Tosca di Puccini può essere ridotta nel ruolo ancora più angusto, perché fazioso e divisivo, di una sorta di celebrazione operistica dell’ANPI, Associazione Nazionale Partigiani d’Italia.
Certo, resta persino il sospetto che l’allestimento della Tosca in camicia nera sia sotto sotto anche un colpo basso contro la piena adesione al Fascismo di Puccini, scomparso il 29 novembre 1924, poco più due anni dopo la Marcia su Roma; di questa professione di fede fascista resta la testimonianza del maestro Arturo Toscanini e la seguente dichiarazione dello stesso Puccini nel corso di un’intervista al quotidiano fiorentino La Nazione: “Se non c’è un governo forte, con a capo un uomo dal pugno di ferro, come Bismark una volta in Germania, come Mussolini, adesso in Italia, c’è sempre pericolo che il popolo, il quale non sa intendere la libertà se non sotto forma di licenza, rompa la disciplina e travolga tutto. Ecco perché sono fascista: perché spero che il fascismo realizzi in Italia, per il bene del Paese, il modello statale germanico dell’anteguerra.”
Davvero non può andar giù che sia stato fascista un immortale genio musicale !