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Albania. L’identità di un popolo attraverso la fede patriottica

La storia delle genti albanesi inizia in epoche remote sebbene nell’Europa occidentale la documentazione più antica è conservata in documenti degli archivi ecclesiastici, soprattutto quelli della Congregazione di Propaganda Fide a Roma. La politica missionaria di Propaganda Fide viene descritta in numerosi documenti, a partire dagli anni successivi la battaglia di Lepanto (1571) e soprattutto dopo la Controriforma, fin poi al primo conflitto mondiale. Non vi è dubbio che – a pochi chilometri da “casa nostra Italia” – troviamo un importante laboratorio che assume nuova rilevanza anche attraverso le vicende del socialismo reale dopo l’esperienza del protettorato italiano e poi del regno d’Italia e d’Albania, unito da casa Savoia.

Le relazioni inviate a Roma dai prefetti apostolici documentano in che modo l’Albania fungesse da crocevia tra l’Italia e i Balcani. Dove coesistevano e sussistevano ben 4 confessioni religiose, cattolica a nord zona di Scutari, Durazzo, ortodossa al sud e lungo i confini con la Grecia, a maggioranza musulmana sunnita nel resto del paese dove era presente con circa il 70%. In particolare, vorremmo soffermarci su una sètta detta dei Bektashi che mostra un sincretismo interessante. In Albania nello stesso territorio, presso la stessa etnia, che abbiamo detto è un popolo molto antico, troviamo più religioni monoteiste. Dovremmo chiederci senza retorica come poteva avvenire l’interazione, dato che di integrazione non può parlarsi visto che popolo, lingua, razza e cultura sono le medesime. E, chiederci anche, se tra i villaggi e i clan c’erano tentativi di proselitismo fra le diverse realtà religiose. Quindi notiamo che tentativi di proselitismo organizzato non hanno mai assunto rilevanza, proprio perché la comunanza etnico-linguistica e culturale ha dato origine ad una sorta di laicità diciamo impropriamente pre-liberale. Si era comunque albanesi, e le convinzioni religiose restano un fatto privato, non tale da mutare un connazionale in un elemento alieno. L’elemento su cui si è soffermato lo storico Morozzo della Rocca nei suoi libri è piuttosto la fede patriottica albanese più che intorno la fede religiosa. Infatti il patriottismo è senz’altro una fede collettiva comune a tutti gli albanesi, mentre il credo religioso restava un fattore basato sulle convinzioni personali. In ciò ha giocato un ruolo importante la paura della cancellazione dell’identità etnica, giacché il piccolo popolo delle aquile si è visto “inglobato” in un impero musulmano di vaste dimensioni, poi circondato da popoli slavi. Sporadiche conversioni da una religione all’altra ve ne sono state, ma per lo più limitate a casi di matrimonio fra persone appartenenti a credi religiosi diversi. Le famiglie interreligiose in Albania sono sempre esistite, e in genere non hanno mai dovuto fronteggiare discriminazioni sociali.

Fede patriottica era, ed è dunque, il vero collante e quindi riferito al passato era in grado di strumentalizzare le penetrazioni straniere (prima veneziana, poi turca, slava e greca, e, dopo Venezia, l’entità cattolica è stata assunta da Vienna dal 1815 che spodesta il potere degli italiani-veneziani) attraverso un uso strumentale dell’appartenenza religiosa. La fede patriottica è stato il fattore che ha permesso la sopravvivenza dell’etnia albanese e della sua lingua non-slava. L’appartenenza all’una o all’altra religione invece non è mai stata vissuta come un ostacolo all’unità albanese.

Così, come appare da una crescente storiografia, tra il X e XII secolo gli albanesi accettano la fede cattolica nel nord dell’Albania, per coesistere con i potenti vicini slavi o greci ortodossi e non assimilarsi così a questi, trovando nella fede degli Stati italiani (Roma dei Papi, regno normanno svevo del Sud Italia e soprattutto Venezia, signora dell’Adriatico e Mediterraneo orientale). Poi, con un’analoga resistenza patriottica, nazionalista, mediata dall’equilibrio del potere nei secoli XVI e XVII le genti dell’Albania centro meridionale passano alla fede coranica e, insieme, alla dominazione turca e il sistema dei “Millet”: cioè un protettorato da un centro di potere si potente, ma lontano, una garanzia contro le annose pressioni dei popoli confinanti cristiani. Un po’ come era avvenuto con i cristiano bogomili in Bosnia, vessati, e quindi convertiti all’islam per salvare la propria identità, nazionale e di fede originale.

In realtà l’identità nazionale bosniaca è molto più artificiosa e tenue rispetto a quella albanese. I Bosniaci sono slavi quanto lo sono i Croati e i Serbi, ed è stata semmai la religione a far nascere o a preservare come distinte comunità pur appartenenti alla medesima etnia. Fra gli Albanesi invece l’adesione a religioni diverse non ha indebolito la preesistente coesione nazionale, ma semmai ha permesso ad un piccolo popolo di sviluppare relazioni esterne e di uscire dall’isolamento.

Poi, nel 1967 la proclamazione dell’ateismo di Stato, quasi a dimostrazione di razionalità “scientifica” della preminenza della fede patriottica su quella religiosa. Il regime di Enver Hoxha ha portato la persecuzione antireligiosa a livelli mai raggiunti in altri regimi comunisti, nemmeno al tempo dello stalinismo. La preminenza del patriottismo come elemento identitario preminente era comunque già forte come detto nei secoli passati. Si pensi ad esempio al fatto che ben prima del comunismo l’eroe nazionale degli albanesi era Skanderberg, un cristiano che combatteva per l’indipendenza nazionale da un impero islamico. Anche i patrioti musulmani si riconoscevano nella sua figura. Il caso del Kossovo conferma questo elemento di prevalenza dell’identità nazionale, prima durante e dopo la caduta del comunismo. I kossovari sono nella stragrande maggioranza musulmani e tra loro hanno militato anche elementi cristiani o laici.

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