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Album “Indiani di Riserva”

intervista al Maestro Mario Alberti

D: Eccoci qua, parliamo dell’album “Indiani di Riserva” direttamente con il suo autore, il Maestro Mario Alberti.

Rispetto ai tuoi album precedenti come Suonate Barocche (2002), Antiche Melodie (2003), Danza Antica (2006), Francesco che sarà santo (2010), Anima nuda (2015), che erano vicini alla musica classica, “Indiani di Riserva” sperimenta la forma canzone nella più colta tradizione cantautoriale.

Come mai una sperimentazione del genere?

R: Si, negli album precedenti c’è molta musica classica, anche perché io sono un flautista specializzato in musica barocca e musica antica.

Per questo disco ho utilizzato proprio la canzone d’autore, che è sempre stata anch’essa una mia grande passione.

Però, se vai ad analizzare bene, ti accorgerai che non è che io sia tanto distante dalla musica antica… si fa molta confusione: la canzone d’autore infatti, è forse molto più antica della musica antica.

La canzone d’autore nasce con l’uomo, praticamente. La canzone d’autore l’ha scritta Dante, Petrarca, Omero.

Questi artisti cantavano le loro opere, non le recitavano in prosa.

Come, non lo sappiamo, perché non ci sono arrivate documentazioni precise, però affondiamo le radici in questa situazione qua…

D: Perché la decisione di dedicare l’album agli Indiani d’America?

Qui in Italia, come sai, De Andrè e Bubola avevano già utilizzato la figura dell’indiano per parlare più che altro delle vicende del popolo sardo. Quali similitudini trovi tu invece tra la vicenda degli indiani e le vicende del nostro tempo moderno?

R: Allora guarda, ce ne sono purtroppo tantissime. Innanzitutto un popolo nativo che è stato sradicato dalla propria terra… tu dirai, cosa c’entra? C’entra perché sta succedendo pure oggi… lo abbiamo fatto in Sud Africa con i nativi, lo abbiamo fatto in Australia con gli aborigeni, e lo stiamo facendo ancora adesso in Amazzonia, nel silenzio più assoluto di tutti, dove migliaia di nativi si sono rifugiati sugli alberi, mentre i bianchi li stanno tagliando tutti… ed è una cosa che dovrebbe interessarci e le conseguenze di questa deforestazione le sapremo tra qualche anno… capito qual è il problema? L’ambiente, l’ambiente… per gli indiani la terra era una cosa sacra…

D: “Indiani di Riserva”, il pezzo d’apertura che da anche il titolo all’album e ne rappresenta il primo singolo, è un brano scritto sostanzialmente dal punto di vista dei colonizzatori, oltre ad essere un omaggio al Maestro Morricone, con quelle sonorità tipiche delle sue famose colonne sonore dei film western…

R: Si assolutamente… ha quel tipo di sonorità da cinema western e via dicendo… perché questo album, per esempio attraverso pezzi come “Innocente Cattiveria” (l’ultimo brano dell’album, n.d.r.) è un modo anche di chiedere scusa, perché io sono stato veramente cattivo da piccolo… stavo dalla parte dei cowboys perché noi siamo stati colonizzati culturalmente, parlo almeno della mia generazione. Noi eravamo imbevuti di indiani “cattivi”… pensa a quanto è importante la comunicazione: diciamo che con i film e tutto, cominciamo a riscattare i nativi d’America solo negli anni ’70… penso a pellicole come “Soldato Blu” (Ralph Nelson, 1970 n.d.r.)… quando iniziano ad uscire questi film allora si riequilibra un po’… ma gli anni ’60 sono stati una cosa allucinante, gli indiani erano sempre i cattivi, e io infatti giocavo ad ammazzare gli indiani.

D: A tuo avviso chi sono oggi i “soldati tutti uguali che hanno imposto a tutti la loro verità” (versi del brano “Indiani di Riserva” n.d.r.)

R: Bé guarda, ci sono molte metafore, eh… ci sono molte metafore… l’informazione anche, perché comunque la storia è sempre stata raccontata dai vincitori. Ma questa idea qui comincia un po’ a scricchiolare perché sai, la comunicazione è diversa: anche le minoranze attraverso i social possono dire la propria, quindi è tutto ingarbugliato, e non si capisce più chi dica la verità e chi no… i soldati tutti uguali di quel brano stanno a significare che, ai tempi dei nativi americani, la storia l’hanno scritta gli occidentali, e in questo modo hanno imposto a tutti gli altri la loro verità.

E quindi ci riguarda eccome, attenzione…. faccio un esempio banale: senza voler tirare in mezzo la politica partitica, però è come quando un ministro parla in televisione e i fischi che riceve vengono tramutati in applausi al montaggio… insomma, è preoccupante, sta lì la manipolazione…

D: Allora ti anticipo una domanda che volevo farti più tardi: ora che siamo all’avvento dell’Intelligenza Artificiale, non rischiamo di perdere totalmente la possibilità e quindi la capacità di distinguere tra il vero e il falso?

R: Si, giusto, e siamo tutti un po’ in imbarazzo… nessuno ha la verità in tasca, magari avessimo delle risposte… c’è un forte rischio, è vero, però sta all’intelligenza umana… ricordiamoci sempre che agli inizi del ‘800, quando arrivarono le macchine da lavoro, i primi a ribellarsi furono operai e contadini… poi piano piano si sono sistemate le cose, ma tutte le innovazioni sono viste con sospetto… io sono uno di quelli molto preoccupati per l’intelligenza artificiale; però poi confido nell’umanità, nel genere umano proprio… e quindi speriamo di cavarcela.

D: Questi discorsi, se ci pensi, li faceva già Pasolini negli anni ’70, al riguardo della TV e delle sue conseguenze sui telespettatori. Ora che le tecnologie sono molto più invasive della sola TV, ti chiedo se c’è ancora da sperare nell’umanità e nel genere umano.

R: Con Pasolini apri una parentesi importante… Pasolini è ancora attuale, da questo punto di vista lo dobbiamo ancora scoprire e storicizzare… qui in Italia non riusciamo a storicizzarlo, perché è ancora troppo presto.

D: Parlaci del brano “Aquila per un momento”, un pezzo molto forte, che tratta un argomento particolarmente tragico come lo stupro e la violenza carnale.

R: Si purtroppo è molto tragico. Parla dello stupro di un adolescente… ho cercato di essere delicato per un tema così importante, perché oltretutto io, in quanto maschio, sarei la parte che offende.

E’ la storia di una madre che si rivolge alla figlia che sta per essere violentata, e che le augura di divenire un’aquila, anche solo per un momento, giusto il tempo di fuggire via dai suoi torturatori.

Attenzione però, sono tutte metafore per riflettere sullo stupro come bottino di guerra, e questo riguarda tutto il genere umano, non solo la vicenda dei nativi americani.

Gli indiani stessi violentavano le bianche, anche i nazisti violentavano le donne di religione ebraica… capito qual è il problema? Destra, Sinistra, regimi comunisti, regimi fascisti, regimi democratici… lo stupro resta un fatto ricorrente, altro che educazione civica! Poi ci chiediamo come possiamo dare una spiegazione a fenomeni come il femminicidio… dovremmo cambiare in fretta mentalità sulla faccenda della violenza carnale… anche nelle ultime vicende tra Israeliani e Palestinesi, si è scritta un’altra pagina orribile in questo senso: Hamas ha violentato le donne israeliane durante il suo sanguinoso raid, dopodiché l’esercito israeliano ha violentato le donne palestinesi durante la sua controffensiva… è una prassi allucinante, e riguarda tutti a livello mondiale.

Poi c’è una contraddizione di fondo che non riesco proprio a capire: lo stupro etnico e di “razza” mi lascia molto perplesso, mi fa pensare… voglio dire, come fa un nazista a violentare una donna di religione ebraica quando in pratica la considera poco più che un animale? Come fa un “viso pallido” a violentare una nativa dal momento che non la considera neppure appartenente alla razza umana? Questa è una cosa che mi fa pensare che ci sia qualcosa di brutale e animalesco dentro di noi…

D: Visto che hai accennato alla guerra ti anticipo una domanda che ti avrei fatto per il brano “America”, che contiene un verso che dice “le mani nude possono abbracciare ma se provocate possono ammazzare”, introducendo un tema molto attuale, cioè quello della provocazione bellica che ai giorni d’oggi sembra quasi una “scusa” per il perpetuarsi dei conflitti: si sente spesso dire ‘ha bombardato ma è stato provocato’, ‘ha invaso ma è stato provocato’, voglio dire, non si corre anche qui il rischio di fare molta confusione per non dire le cose come bisognerebbe invece dirle, cioè che la violenza è violenza e punto. Il tema è delicato, però mi viene da chiedermi se sia giusto rispondere alle provocazioni, se è lecito. Come funziona esattamente?

R: E’ proprio un grande dubbio, però credo che a volte si arrivi a soprusi così gravi, davanti ai quali anche l’animo più forte, l’animo più pacifista, alla fine tira fuori l’aggressività che fa parte del nostro DNA… ecco perché bisogna stare attenti.

Questo è un brano da capire, nel quale descrivo le tre etnie fondamentali in America, la bianca, la rossa e la nera. Manca tutta l’America Latina… è un discorso complesso… ma con Colombo cambia la connotazione mondiale, e dalla sua scoperta in poi sono spariti cento milioni di nativi. Eppure, come per tutto, ci sono i pro e i contro, ecco perché è un discorso complesso.

E’ vero che dopo la scoperta, nel continente americano ci sono stati enormi disastri, ma allo stesso tempo noi europei abbiamo potuto dimezzare le carestie, grazie all’importazione di prodotti come le patate, i cereali, i pomodori…

D: Il ‘Grande Padre’ che dà il titolo al terzo brano dell’album e che nel testo urla “ci dovete assomigliare”, da chi è rappresentato oggi? Esiste qualcuno che può contrastare e opporsi a questa figura?

R: Il Grande Padre è il nome che gli indiani davano al Presidente degli Stati Uniti. Guarda, “Grande Padre” è un brano simbolico, allucinante nella sua semplicità, e si può interpretare in tanti modi.

Se tu lo interpreti come il bisonte (citato nel brano n.d.r.), ovvero l’opulenza, la ricchezza verso cui tutti tendono, allora capisci per esempio che il problema delle immigrazioni non lo risolvi se non risolvi il problema della fame.

Io ci gioco, il Grande Padre ordina di non noma dare, e gli indiani lo pregano allora di tenere fermo il bisonte, così che non si debba più inseguirlo.

Il bisonte è la società dell’opulenza, e le società più povere lo inseguono per godere anche loro di quella ricchezza e di quel benessere, e questo è un dato di fatto.

Mi chiedi se c’è qualcuno in grado di opporsi e mettere fine a questo andamento delle cose, allora ti faccio io una provocazione: i giornalisti potrebbero, a patto però di raccontare sempre la verità. Invece i giornalisti stanno scomparendo perché siamo diventati tutti editorialisti, facciamo tutti l’articolo di fondo, mentre i giornalisti stanno diventando semplici opinionisti.

Il giornalista che va a caccia della notizia con l’unico fine di riportarla così com’è, sta sparendo… perché poi se è un giornalista di sinistra deve dire una cosa, se è di destra deve dirne un’altra… è un mestiere che va riscoperto, anche perché è stupendo, è uno strumento meraviglioso che può salvare le persone che non hanno voce in capitolo.

D: Si torna dunque al discorso sulle nuove tecnologie, che permettono a tutti di pubblicare e quindi di essere editori di se stessi, mentre i professionisti della categoria perdono la loro specificità e il loro ruolo.

R: Si certo.

D: Perché fai riferimento a Riace nella strofa finale del brano?

R: Semplicemente per questa cosa qua: in tutto il casino che è successo (la vicenda del Sindaco si Riace Mimmo Lucano n.d.r.) io voglio vedere un momento di speranza… anche nella sua follia, c’è stato un tentativo di integrazione tra etnie, e non c’è un altro posto in Italia dove è stata tentata una cosa del genere.

Che poi è fallita, è andata male, è un altro paio di maniche… l’intenzione era quella di integrare.

Non c’è un altro posto in cui l’integrazione è stata fatta in maniera così sfacciata, talmente sfacciata che a Lucano hanno dato 12 anni di galera… inoltre quando ho scritto questo brano lui era stato appena condannato, era inviso da tutti.

Però l’esperimento che ha fatto è molto interessante.

Ecco perché suggerirei Riace per ospitare in Italia una ipotetica riserva indiana, non ci sono altri posti, non li puoi mandare a Lampedusa… e ti dico che la politica non c’entra, se fosse accaduto a Predappio io avrei scritto Predappio senza nessun problema.

D: Nella canzone “Cinquemila peschi” ci racconti una storia vera, quella cioè dell’abbattimento di cinquemila alberi da parte dei bianchi per trovare l’oro.

A me ha ricordato da subito la vicenda degli ulivi pugliesi…

R: Si si, certo come no…

D: Allora ti chiedo ‘nel lungo cammino della speranza’ (verso del brano n.d.r.) c’è ancora da sperare?

R: Secondo me si. Questa è una canzone molto triste, quindi volevo un finale con un po’ di speranza, Infatti la bambina che abbraccia la vecchia, così come le ho descritte nel finale, ha in mano una collana di ossi, che poi altro non sono che noccioli di pesca.

Gli ossi sono semi, e quindi si possono piantare di nuovo i cinquemila alberi tagliati dai bianchi.

E’ una storia vera, non l’ho inventata; è accaduto ad una tribù di Navajo… con i divieti di caccia erano stati costretti a diventare agricoltori, e lo fecero con estrema dedizione, trasformando un terreno secco e arido in terra fertile.

I cinquemila peschi erano il loro orgoglio; immagina cinquemila peschi in fiore… uno spettacolo davvero straordinario.

Poi però si sparge la voce che in quel terreno c’è l’oro, e il Grande Padre allora autorizza i coloni a scavare… altrimenti avrebbe avuto delle sommosse… da qui l’abbattimento di tutte le piante. Per i Navajo fu una vera onta; addirittura c’erano alcuni capi disposti a perdonare e passare sopra a stupri e omicidi, ma mai in nessuno modo all’abbattimento di quegli alberi. Perché per loro l’albero è sacro, sacro veramente…

D: Parliamo di “Mezzosangue blues”, brano in cui affronti appunto il tema del mezzosangue, del creolo, il meticcio.

R: I mezzosangue erano invisi da tutti, dai pellerossa e dai “visi pallidi”.

E’ un tema che ci riguarda ancora adesso; fino agli anni ’70, vedere una bianca e un nero tenersi per mano non era una cosa accettata così tranquillamente.

Le razze miste sono tuttora malviste, e per questo mi sono sentito in dovere di scrivere questo brano, perché nella mia visione le persone più intelligenti, le persone più forti sono sempre quelle “miste”.

Non è un caso che la Giamaica sforni grandi corridori e grandi atleti: lì ci sono mescolanze davvero importanti e infatti esce fuori l’eccellenza.

Ci sarà un motivo per cui i figli dei re sono sempre dei rimbambiti.

Non mischiando il sangue uscivano dei deficienti veri, ma non lo dico io lo dice la Storia. Le dinastie di tutto il mondo si incrociavano sempre tra sorelle, cugine e non facevano figli che campavano tanto, avevano sempre dei problemi e invidiavano i figli del popolo, che si mischiava eccome invece.

D: Hai anticipato la domanda che avevo preparato per questo pezzo circa “le ibride razze” di cui parli nel testo. Mescolarsi rappresenta una risorsa per il nostro futuro o rischia di compromettere le realtà particolari?

R: E’ assolutamente una risorsa, anche perché mescolandosi c’è un atto d’amore, c’è l’incontro non lo scontro, l’incontro di culture diverse, e quando si incontrano le culture si cresce.

D: Nell’arrangiamento del pezzo ho sentito un bell’accompagnamento di steel guitar, molto blues…

R: Sì, la suona Francesco Aversa, un bravissimo chitarrista. Siamo solo io e lui a suonare in questo album.

D: Nel brano “Vi guardo dall’alto” è il Sole che parla…

R: No, io semino delle cose… l’ho fatta volutamente molto molto ermetica, ma è il Cielo quello che parla…

D: Ero stato ingannato dal verso “sorella luna” che si trova più avanti nel testo…

R: Esatto, esatto. Ma nel punto in cui dico “quando le ombre si allungano tendo a nascondermi”, mi riferisco alla sera, e quando è sera il Cielo va via perché non si vede più…

D: La domanda che avevo preparato per questo brano è comunque valida, anche se non si tratta del Sole ma del Cielo: anche questi due elementi sembrano dividerci oggi, per esempio c’è chi vede il Sole come una risorsa, per l’energia eccetera, e c’è chi invece ci vede una potenziale minaccia per il caldo ormai eccessivo o le tempeste solari anomale, registrate dagli scienziati in questi ultimi tempi. Il discorso vale anche per il Cielo, chi lo vede limpido e chi si sofferma sulle “scie chimiche” o sui pericolosi temporali e grandinate a cui assistiamo ultimamente… anche qui sembra esserci molta confusione, non abbiamo più una visione condivisa.

Per carità, la divisione va bene, ma lo scontro invece presuppone comunque la violenza.

R: Già, e qui ritorniamo all’intelligenza artificiale e all’uso che se ne fa. Con il Sole Archimede ci incendiava le navi, attraverso gli specchi rifletteva la luce intensa e bruciava le vele delle imbarcazioni nemiche. In quel caso il Sole era cattivo per gli offesi… in realtà il Sole è vita… siamo sempre lì, e’ l’uso che se ne fa.

Bisogna avere fiducia nel genere umano perché sennò siamo fregati…

D: E’ proprio come l’arco che può offendere ma anche produrre musica, come recita un verso della tua canzone “America”…

R: Esatto, esatto…

D: Sempre in “Vi guardo dall’alto” c’è un verso che mi ha fatto sorridere: “[…]nascondo dio ma in verità vi dico che non l’ho mai visto nemmeno io”. Mi fa sorridere perché dice di non conoscere Dio, usando però la frase “ma in verità vi dico” che è una frase molto legata a Dio, messa in bocca a Gesù.

R: Già, perché se ascolti la canzone concentrandoti su un punto di vista ateo, allora si capisce quello che voglio dire. Nessuno ha visto Dio eppure c’abbiamo un miliardo e mezzo di persone che credono in Dio… ma allo stesso tempo negarlo non è possibile.

Qualcuno ha mai visto il vento?

Eppure sappiamo che c’è, non l’abbiamo mai visto eppure lo sentiamo.

E quindi, se non lo vedo, posso dire con certezza che non esiste? Ecco la contraddizione del Cielo che dice di non aver mai visto Dio, in questo senso…

D: Arriviamo all’ultima canzone, quella che chiude l’album e alla quale abbiamo accennato all’inizio dell’intervista: “Innocente Cattiveria”, in cui parli della tua infanzia, quindi un pezzo molto intimo, nel quale inoltre ammetti con coraggio di essere stato ingannato, tu e la tua generazione.

Ho l’impressione che ogni generazione abbia i suoi inganni, generazione dopo generazione.

Allora ti chiedo, funziona proprio così il sistema educativo, il modo in cui ci alleviamo? C’è ancora spazio per la verità, e cosa accadrà con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale di cui sopra?

R: Il brano è dedicato alla mia infanzia, ma parla anche dell’attualità. Pensa alla tua di infanzia, quando andavi alle scuole elementari… la Storia… qualcuno ti ha mai parlato della tragedia degli Indiani d’America? In tre righe ci hanno spiegato la corsa all’oro, l’immigrazione e la giovane democrazia, punto.

Nessuno ci ha mai detto, e ancora nessuno lo dice, che lì prima c’erano degli abitanti… come è successo tutto questo? La Storia li ha completamente cancellati.

Io ho a che fare con bambini di scuola elementare, perché io amo i bambini e organizzo per loro dei laboratori musicali… ancora oggi dei pellerossa americani le insegnanti non ne parlano, non sta proprio nel programma ministeriale, capisci? E questo è un problema, oltretutto a monte.,,

D: Ti rubo altri dieci minuti per chiederti del Premio Tenco. L’album “Indiani di Riserva” ha ricevuto due prestigiose candidature alle targhe come miglior album e miglior singolo.

Che tipo di esperienza è questa del premio e cosa ti aspetti?

R; Diciamo che è soprattutto una questione della casa discografica, perché nei miei obiettivi non c’era il Festival Tenco, ti dico la verità. Non amo molto il successo e queste cose qua… io ho realizzato dodici album…

D: Immagino però che le candidature ad un premio così prestigioso ti abbiano fatto piacere, no?

R: Sì ma certo, come no, assolutamente… mi ha fatto molto piacere, ma non è la mia ambizione.

Anche solo un concerto intimo dove poter parlare di questi temi vale molto per me.

Allo stesso tempo le candidature mi hanno fatto piacere, anche perché più l’album si divulga, più persone lo ascoltano e più si ha la possibilità di far venire dubbi e curiosità sulla storia degli Indiani d’America, e questo mi farebbe estremamente piacere.

D: La turnée come va?

R: La turnée è appena iniziata. Abbiamo fatto un concerto nel mio paese natale (Marino n.d.r.) per provare un poco l’esibizione e sondare come, sia il pubblico che i media, potessero rispondere ad una cosa così.

E’ stata una cosa inaspettata, molto bella e molto sentita, e allora ho pensato ‘ok, bisogna insistere e partire con questa cosa qui’. Ci sono già un po’ di date: Colonna, Castel Sant’Elia, Ariccia… e con la casa discografica stiamo imbastendo un po’ tutto… partiamo per tutti i Comuni che intendono ospitare questa manifestazione.

Sempre con un set chitarra e voce, mi esibisco da solo per mantenere un effetto di intimità per tutto il concerto.

La mia è una provocazione, ormai la musica tutta ha bisogno di cose roboanti, di culi che si muovono e di effetti speciali… quindi ci stiamo dirigendo tutti verso una forma di estetismo e non badiamo più ai contenuti. Io ho azzerato tutto l’estetismo, ho azzerato tutto e mi baso proprio e solo sui contenuti.

Poi può piacere o meno, ma questo fa parte del gioco.

L’intervista finisce qui, ringrazio ancora il Maestro Mario Alberti per la sua disponibilità e la sua estrema cortesia, e colgo l’occasione di ringraziare anche Martina Nasini, che tra le altre cose ha realizzato la suggestiva foto in copertina del disco, e che ha reso possibile il mio incontro con il Maestro.

Il vostro affezionatissimo si è divertito e spero così di voi.

I miei saluti,

Danilo Pette