AMNISTIA ed INDULTO:
alcune considerazioni di metodo e di contenuto.
Non amiamo autocitarci ma a volte, come in questo caso, ci tocca farlo.
Abbiamo cercato di tracciare un quadro (possibile) di rinnovamento del mondo carcerario in un lavoro scritto e già pubblicato in data 28/07/2024 su Consul-Press, Il “Pianeta Carceri”, all’interno del “Sistema Giustizia” .
Abbiamo analizzato (o cercato di farlo) il quadro principale della problematica carceraria: il sovraffollamento degli istituti di pena che rende impossibile la rieducazione e crea situazioni limite sotto gli occhi di tutti. Abbiamo puntato il dito su di un dato oggettivo e cercato di individuare qualche suggerimento per invertire la rotta.
Se è vero che il “sovraffollamento” carcerario è la punta dell’iceberg che ognuno di noi (addetto ai lavori o meno) può inquadrare, è vero che ciò è quanto scaturisce da dati oggettivi.
Ma vi sono due ulteriori verità (e necessità) del sistema penitenziario: la pena ha (anche se non esclusivamente) la funzione rieducativa (oltre a quella punitivo/sanzionatoria e special preventiva); la pena per essere realmente rieducativa deve essere umana e deve essere socializzante.
In una parola, il detenuto deve scontare la pena per ragioni retributive, di tutela della società e di prevenzione, ma deve poterlo fare in strutture, nelle quali il percorso di risocializzazione, reintegrazione e rieducazione sia reale e concreto. Questi istituti in Italia sono pochissimi e questa è la ragione per la quale dopo la detenzione si incorre (quasi in modo inevitabile) incontro ad una recidiva.
Altra consapevolezza che deve esserci in una politica criminale-penitenziaria è quella che vi sono soggetti (vedi quelli affiliati ad associazioni mafiose o terroristiche) che devono essere contenuti ed isolati (il 41-bis non è incostituzionale).
Dobbiamo smettere di pensare alla favola del detenuto “buono” e vessato: vi sono e per costoro è questa analisi, ma vi sono criminali che non possono più essere risocializzati tanto è il loro status criminale e livello di “contrasto” con le istituzioni.
Lo Stato deve applicare pene umane, ma non essere la “crocerossina” in aiuto ai criminali che non si dissociano e non si staccano dalle realtà criminali efferate a cui appartengono (Mafia, Camorra, Ndrangheta, associazioni terroristiche di ogni tipo).
La realtà va guardata negli occhi e va guardata negli occhi perché è onere di chi analizza fare le dovute differenze. Vi sono percorsi che possono essere ultimati e percorsi che non possono essere fatti; deve lo Stato essere umano, ma al tempo stesso, irremovibile in certe particolari situazioni.
Fatte queste considerazioni che si uniscono a quanto già scritto ed in parte lo riprendono e lo precisano, bisogna porsi una domanda: siccome il sovraffollamento ha raggiunto livelli al di sopra (molto) del livello di guardia e (insieme ad altri aspetti già segnalati) esso è la ragione per la quale la rieducazione è difficile (se non, in taluni casi, impossibile) può essere lecito pensare ad una amnistia ed un indulto? Siamo fermamente convinti che una amnistia e/o un indulto – senza una riforma strutturale della normativa (e non solo) delle leggi penitenziarie – non sia nemmeno da ipotizzare.
Non possiamo pensare che lo Stato faccia una amnistia ed un indulto al mero fine di ottenere una funzione di “scolmatore” della “pressione” umana nel mondo carcerario.
Al di là del fatto che non servirebbe a nulla e dopo poco il problema si ripresenterebbe (come si è sempre ripresentato nei decenni passati), un provvedimento del genere sarebbe “politicamente” incomprensibile e, fortemente, penalizzante. Ma noi non siamo politici, siamo giuristi.
Attenzione, non ci interessano i risvolti di consenso alle urne di chi lo votasse, ma l’accettazione (accettabilità) di un tale gesto da parte della collettività e della popolazione tutta (anche quella carceraria che non ne beneficiasse). E non mi si venga a dire nulla in merito alla natura “forcaiola” della popolazione.
Il punto è un altro: un provvedimento del genere senza un progetto risulta essere solo un gesto “caritatevole” o “regale”, ma non strutturale; ergo, inutile se non addirittura dannoso.
Non cambierebbe nulla. Non cambierebbe nulla e la collettività percepirebbe solo una soluzione temporanea.
Quindi, un provvedimento che prevede una amnistia o un indulto senza un serio ed approvato dal Parlamento progetto di ristrutturazione delle carceri (in senso ampio sia legislativo sia edilizio sia di supporto ai detenuti) e della politica carceraria, deve ritenersi improvvido, iniquo ed inutile (se non, addirittura, “potenzialmente” dannoso).
Va da se che a fronte di una riforma che tenesse conto di quanto già analizzato (Consul-Press / articolo del 28/07/2024) e di altro che volesse essere migliorato, troverebbe una ragione d’esser anche un provvedimento d’amnistia e di indulto.
Due paiono le questioni più ostiche sul piano delle riforme: a) l’edilizia carceraria; b) la attuazione delle REMS.
Sulla edilizia carceraria sono stati fatti, negli anni, studi di grande rilievo [1] perché il luogo di detenzione e, quindi, le modalità di detenzione incidono, grandemente, sulla persona del condannato in funzione rieducativa.
Siamo, però, consapevoli che mettere mano alla realizzazione di strutture nuove occorrono studi, tempo e denaro.
La soluzione (più immediata, ma non la sola) potrebbe essere un deciso ammodernamento di quelle esistenti e la riapertura di case circondariali, oggi, non utilizzate (perché, magari, dislocate in luoghi ameni o impervi), ma che possono essere ammodernate e dotate di tutti quegli strumenti edilizi, al fine di contenere detenuti (magari, quelli meno pericolosi in un numero contenuto).
Questo comporterebbe una dislocazione sul territorio dei detenuti ed una vivibilità carceraria migliore già in partenza. Carceri chiusi per ragioni economiche, ma che adesso con i fondi PNRR potrebbero riprendere vita ed ospitare detenuti che vivrebbero la detenzione in modo più umano.
Molti gridano alle nuove strutture, ma riaprire quelle chiuse appare del tutto necessario per accogliere detenuti che in una situazione di detenzione più umana avrebbero una risocializzazione migliore ed una rieducazione certa (con costi contenuti).
Ovvio che al seguito di una politica del genere ci deve essere tutto quanto abbiamo già espresso nel precedente contributo (cit. in Consul Press del 28/07/2024) ed, in particolare, la attuazione della detenzione domiciliare, l’uso di braccialetti e l’applicazione dei lavori socialmente utili.
Tema assai scottante e di grande rilievo è l’attuazione delle strutture per soggetti che hanno problematiche psichiatriche. Queste strutture nel Paese sono del tutto insufficienti (per non dire inesistenti) e ciò porta a due conseguenze:
- la violazione da parte dello Stato dei diritti di queste persone che hanno diritto (e necessità) a strutture di contenimento e cura;
- al peggioramento delle condizioni di certi soggetti “obbligati” a vivere in uno stato di costrizione che fa acuire le problematiche di cui sono affetti.
Inoltre, la presenza di detenuti con problematiche psichiatriche in carceri “comuni” comporta che il clima interno a detti istituti si altera grandemente a danno di tutti. Unica soluzione è il varo e l’attuazione delle REMS che non possono essere confuse con le carceri “comuni” e sono qualcosa di molto diverso e di “protettivo” del detenuto che ha determinate necessità e problematiche.
Anche questo, oltre a migliorare la situazione dei vari soggetti, porta con se un effetto di “svuotamento” dei carceri comuni.
Al carcere, come tale, si deve pensare in ragione delle persone che vi vivono e nel rispetto della umanità della pena, portare a termine una socializzazione e pacificazione interna del detenuto.
Tutto ciò – e qui insistiamo – deve essere fatto con la collaborazione fattiva della Polizia Penitenziaria (soggetto essenziale e specializzato) che vive, ogni giorno, a contatto con questo mondo e, quindi, conosce tutti i risvolti e le problematiche pratiche che si pongono.
Il tema reato/pena è proprio ai Tribunali, il tema pene/persone/rieducazione è proprio di tutti coloro che vivono nel “Pianeta Carcere”. Senza una umanizzazione della pena ed una concreta presa in carico da parte dello Stato di questa altra finalità, non crediamo che si possa risolvere nulla.
In questo contesto e con queste (ed altre) riforme strutturali può risultare compatibile il provvedimento di amnistia ed indulto, al solo fine di accelerare la applicazione delle riforme.
Quindi un secco “NO” ad amnistia ed indulto senza riforme strutturali del sistema penitenziario.
________________________ MASSIMO ROSSI *
[1] Tra i vari “Studi” ed approfondimenti su tali tematiche si possono citare:
# Gli spazi della pena e l’architettura del carcere in Giardino degli incontri di Sollicciano (2009);
# Architettura penitenziaria: sicurezza e rispetto della dignità umana nella progettazione di nuove carceri (2010) Prof. Giacomo Borreso (Presidente Istituto Internazionale di Studi sui Diritti dell’Uomo;
# Domenico Alessandro de’ Rossi Architettura penitenziaria.
*Avvocato Penalista e patrocinante in Cassazione
Docente in Seminari di Studi e
Relatore in Convegni a Livello Nazionale
Studio Legale in Siena, v.le Cavour 136
avvocatomassimorossi@yahoo.it
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