Atreju può dare una svolta alla politica europea?
articolo di Terenzio d’Alena
Si è conclusa trionfalmente la kermesse politica di Atreju, organizzata quest’anno in maniera più celebrativa a Roma in piazza Risorgimento, che qualcuno ha tentato di ribattezzare “piazza Miki Mantakas” in onore del giovane greco aderente al FUAN ucciso in circostanze ormai chiare nel 1975. Il numeroso e correttissimo pubblico ha apprezzato relatori ed intervistati capaci di parlare fuori dei denti, una volta tenuto volontariamente lontano il politicaly correct. Passeggiando lungo la location non priva di stand di sapore natalizio, fra piste di pattinaggio e presepi viventi, alla fine tutti si sono rivelati ampiamente soddisfatti del successo di pubblico e degli stimoli culturali, con la ciliegina finale della relazione di Giorgia Meloni, come al solito capace di dare il meglio di sè quando gioca in casa. Dunque una organizzazione curata e fantasiosa, ma imperfetta se solo si pensa alle polemiche suscitate dai controllori dei green-pass, oberati di lavoro all’ingresso del megapadiglione assembleare (anch’esso disegnato e allestito con gusto), però pronti a favorire l’amico dichiarato o il sedicente senatore nonostante i precisi ordini di chiusura per fine capienza.
Nel corso della settimana si sono succeduti gli interventi di alcuni personaggi più in vista: Berlusconi in videoconferenza ha confermato l’indissolubilità dell’alleanza politica, Conte ha involontariamente messo in rilievo i limiti politici suoi e del movimento che sostiene di dirigere, Letta ha ipocritamente ribadito la sua contrarietà ad un partito che governa senza la legittimazione popolare, Salvini ha mostrato una disponibilità totale particolarmente per la Meloni, Di Maio e Giorgetti non hanno convinto entrambi nel dibattere temi economici, Cartabia fortunatamente ha dimostrato molta determinazione e chiarezza nell’affrontare i vari problemi collegati con la giustizia; Cesa e Renzi, centristi, hanno ribaditole loro posizioni rispettivamente pro e contro la destra.
Dunque nell’ultimo giorno di kermesse hanno aperto gli applauditissimi interventi dei rappresentanti della destra polacca (Fogiel) e spagnola (Bruxade) e del Likud israeliano (Granet), mentre meno convincenti si sono dimostrati il discorso sconclusionato di Giuliani da New York, quello timidissimo di Schinas da Atene, quello poco adeguato di Wharton da Londra. Giorgia Meloni in qualità di ospitante ha fatto il punto finale e posto le basi per la ripartenza con un forte richiamo identitario. Il concetto di Patria-Nazione e non di Paese, è sottolineato quando il discorso cade inevitabilmente sulla scelta del prossimo candidato al Quirinale. Non lo dice, ma lo sottintende la leader: non potrà mai essere Draghi, l’uomo ammirato in Italia e invidiato in Europa secondo il dettato del pensiero unificato della stampa nostrana; attenti ai falsi profeti, ci hanno scommesso contro gli Italiani nel passato con strabilianti ripensamenti.
Egli può ripetere l’operazione attraverso una incauta politica economica e fiscale che porterà danni ingenti alla tasche degli italiani, questo è il criptico messaggio della Meloni e chi ha buone orecchie per intendere è bene che intenda. Ma il vero problema è una consorteria sinistrorsa che da tempo immemorabile ha tramato contro gli interessi italici, prima con il favore della Unione Sovietica e la forza disgregante dei sindacati paraleninisti, poi -finita l’ubriacatura ideologica- col rifiuto improvviso di dottrine senza uscita (epoca della caduta della cortina di ferro) e la contemporanea adesione alla politica monetaria di una Europa orfana del marxismo, ma rivolta alla spartizione delle risorse nazionali ed al lavoro per un appiattimento al ribasso della cultura, della economia, dell’etica dei cittadini del Continente. Tutto questo è normale bagaglio politico della leader dei Conservatori e Riformisti Europei, lei conosce bene gli ostacoli che la sinistra ha posto e pone al governo della destra, con tutti i mezzi compresa l’extrema ratio giudiziaria; in questo senso l’incapacità fin qui dimostrata di eleggere un Capo dello Stato di matrice destrorsa la dice lunga sulla facilità con cui le forze politiche avversarie riescono a produrre governi non legittimati dal popolo. Perciò la coerenza contro i poteri forti può portare tanto consenso elettorale (vedi Lega e 5 Stelle nel passato), ma poi quei poteri sono effettivamente così forti da impedire il governo della Nazione ed assorbire il partito antisistema che diviene meno credibile.
Credo che la Meloni, conscia dei pericoli di chi trionfa anche personalmente in periodi storici favorevoli e poi viene considerato artefice di ogni male (vedi monetine per Craxi e voti referendari contrari per Renzi) nel breve volgere di una stagione politica, abbia preferito percorrere un itinerario alternativo. La capacità di essere la guida della terza forza parlamentare europea (conservatori) può davvero essere un investimento vincente nel breve o medio termine, soprattutto senza rinunciare alla propria identità. L’onore e la responsabilità di trainare il consenso crescente non dovrà consentire alla Meloni voli pindarici di onnipotenza: l’orgoglio di noi che ancora ci sentiamo Italiani ed Europei sotto la bandiera della cristianità non puè essere vieppiù mortificato.
Se la Meloni dovesse correggere il tiro per scopiazzare schemi già visti a sinistra, perderemmo tutti all’orizzonte l’obiettivo di una e vera propria palingenesi. Lasciamo volentieri ad altri questo mondo fintamente proiettato nel futuro, retorico, egualitario, votato al lavaggio cerebrale in bagni comuni; rimangono solo i soldatini di piombo della sinistra pseudointellettuale, i sognatori imboniti, parecchi soggetti incastrati e macinati da una politica inumana ed insensata. Rimane una élite al potere cui tutto è concesso e che ci ricorda tanto la nomenclatura sovietica, tranne per fortuna ancora una contestazione cosiddetta “dei social” non ancora eliminata dalla neodittatura globalista. L’esortazione di Giorgia Meloni è di partecipare attivamente alle battaglie ed alle sfide dei prossimi anni, in un mondo che cambia a ritmi vertiginosi, con l’acume necessario per intuire le grandi prospettive e con la consapevolezza di essere PADRONI ED ARTEFICI DEL PROPRIO DESTINO. L’Europa dei popoli, scevra degli egoismi collegati alla moneta artificiale, è dietro l’angolo ed è pronta alla RIVOLUZIONE CULTURALE.