Gli ultimi tre decenni dell’ OTTOCENTO trasformarono la nuova Capitale in un grande cantiere: l’attivismo di tanti costruttori ed imprenditori diede una sonora sveglia all’atavica sonnolenza di una città adagiata tra le gloriose, antiche memorie e il ristretto panorama dell’inefficienza del morente regime temporale del Papa.
Commemorare o meno il 25 aprile, quella data che settantaquattro anni fa segnò la conclusione del conflitto iniziato cinque anni prima, rappresenta, malgrado il lungo tempo trascorso, un dilemma irrisolto. Una festa nazionale, che, nei fatti, non è condivisa, al contrario è motivo di recriminazioni, di vetuste contrapposizioni ideologiche e mistificazioni.
Non possiamo dimenticare l’Iran, il Paese mediorientale più vicino a noi di tante nazioni dell’indifferente “occidente”nordico. E’ un legame, quell0 che ci lega alla grande Repubblica che affonda le sue radici nei tempi dei tempi, quando i due Imperi, il Persiano ed il Romano, pur su fronti opposti, creavano cultura, progresso e, in una parola, civiltà in un mondo di barbarie.
Di questi tempi, con il dilagare dell’antieuropeismo, gli accresciuti timori di un forte squilibrio economico capace, sotto la spinta sovranista, di sconvolgere l’attuale ordine – disordine europeo, è giunto il momento di correggere le incongruenze e le debolezze di un organismo imperfetto.
Un fatto è fuori discussione: stiamo passivamente assistendo alla dissoluzione delMediterraneo: si è dissolta quella costruzione sociale, politica ed umana che il tempo aveva edificato attorno al nostro mare.
Anche il giardinetto sottocasa, quei pochi metri quadri ricavati a stento tra un palazzo e l’altro, un tempo adibito a parco giochi dei bambini, appare un incolto territorio dove, tra quel che rimane di altalene e scivoli, spettrali resti arrugginiti, campeggia l’immancabile immondizia in un cumulo maleodorante alzato in giorni e settimane.