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Autore: Alessandro P. Benini

Esperto di Finanza e di Storia dell'Economia.

Tra Palestina ed Israele …. una lunga tregua ?

LIA VIOLA CATALANO presenta il suo ultimo LIBRO

“LA LUNGA TREGUA” 

Lia Viola Catalano, psicologa del Centro Osservazione di Rebibbia dal 1975, docente di psicologia giuridica e magistrato onorario, presenta il suo ultimo titolo “La Lunga Tregua” venerdì 20 ottobre, alle ore 18,00, al Mercato Trieste di Roma. La scrittrice è autrice di pubblicazioni scientifiche, e di due titoli, fra i suoi numerosi, che non cessano di imprimersi nell’apprezzamento di numerosi lettori e nel mondo letterario: Malanascenza, ed Elettroshock, dei quali si augura di poter riparlare a breve. Questa sua ultima fatica riporta l’ambiente mediorientale sia nella mentalità, sia nella notazione geografica in modo veramente vivo, tale da far sentire il lettore testimone e partecipe del percorso doloroso del protagonista palestinese Habib. Attraverso di lui si ha certa la posizione spirituale di chi subisce atti di guerra ed il desiderio di una risoluzione ferma, che, nella Lunga Tregua assumono l’aspetto di una profezia che, come dimostra l’accordo fra Hamas ed Abu Mazen, attualmente si è avverata.

Vi è stato uno scambio di opinioni con Lia Viola Catalano intorno alla genesi di questo suo romanzo, come evidenziate nel corso seguente intervista

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La Censura V/ i Generi dell’ Umanità

Quanti sono i generi dell’Umanità?

…….. Per evitare la CENSURA, rispondi QUATTRO ! 

La libertà, invocata di continuo, esaltata in ogni programma politico, richiesta a gran voce da tutte le correnti artistiche e culturali, si è rivelata, ancora una volta, una mera illusione, o, come in questo caso, una libertà unilaterale per offendere l’altrui libertà.

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La cattiva memoria della viltà

Continua a serpeggiare una forma, immorale e fuori tempo, di odio politico rivolto ad un passato lontano più di settant’anni: è uno sconsiderato attacco alla memoria dei morti ammazzati, morti fascisti, così impropriamente definiti. Si polemizza addirittura sulla lapide commemorativa di una bambina, stuprata ed assassinata nel savonese nel lontano 1945; si discute in seno all’ANPI, sull’opportunità di questo ricordo, e, per chi ha letto la notizia, ha potuto constatare come l’innocenza di una ragazzina viene, in questi nostri giorni di political correct ed ipocrita buonismo, massacrata: la vittima è definita una “bambina fascista” . Non credo si possa aggiungere altro se non l’orrore e lo sgomento.

Non basta, l’Amministrazione Comunale milanese non ha ritenuto opportuno deporre, come atto di pietà, una corona di fiori nel campo X° del Cimitero Monumentale di Musocco, luogo dove sono sepolti i caduti della RSI. Ancora una volta si soffia sul fuoco della divisione nazionale, quando i superstiti di quella terribile stagione sono tutti, o quasi, scomparsi. Si vuole approfondire la spaccatura fra buoni e cattivi. La storia, quella scritta dai vincitori, ancora una volta, è fatta di omissioni ed intrisa di voluti errori.

In quel cimitero milanese non ci sono, come raccontato e scritto, i torturatori di “Villa Triste”, gli uomini della banda Koch, una formazione di polizia autonoma, già arrestati dalle stesse autorità di Salò, ma molti di quei giovani che con i reparti paramilitari, non avevano niente a che fare. Ci sono lì i resti mortali dei soldati di quella breve Repubblica, di giovani che di stragi e rappresaglie nulla sapevano, che indossavano la divisa con i gladi da richiamati o da volontari, la cui dignità era pari a quella dei tanti militari italiani deportati in Germania e fedeli al Regio Esercito. Combattenti veri, da una parte e dall’altra e non assassini , non artefici di vendette postume per interesse di parte al servizio di quelle potenze responsabili di pulizie etniche ed altre amenità tenute a lungo nascoste, come la polvere, sotto il tappeto.

Vittime, dunque, come tutti i caduti di quell’idea, comune, di salvare, almeno nella dignità, una Italia dilaniata, percorsa in lungo e largo da armate occupanti, dove l’Appennino era segnato da eccidi per rappresaglia e la Ciociaria oltraggiata da truppe coloniali complice il silenzio impotente di quelle autorità a Nord come al Sud, che avrebbero dovuto, in primo luogo salvaguardare la vita della nostra popolazione.

Riaccendere una inutile rivalità, con tutte le nefandezze di quel periodo, non serve se non come collante di una certa sinistra. Rispetto, occorre rispetto per i morti, così come è necessario occuparsi realmente del massacro sociale e morale che tutti, oggi, ci travolge.

Mediterranean Forum of Rome – // 2

Solamente con un’illuminata “Politica Economica
si può salvare l’Umanità

E’ finito il tempo della propaganda mendace, dell’ipocrisia buonista fondata sul dogma di eguaglianze inesistenti, come, ad esempio, il continuo riferimento, da parte di tutti i livelli politici, all’emigrazione italiana, quel falso accostamento alla trasmigrazione dall’Africa, a quella dei nostri connazionali verso le Americhe e l’Europa del Nord. I nostri lavoratori partirono per l’estero con un bagaglio, nel quale, oltre alla sofferta povertà, c’erano capacità indiscusse di tradizione e sacrificio in quelle attività a fatica conquistate, e, in primo luogo, antico buonsenso ed umiltà che contraddistinguevano la terra di provenienza, culla di millenaria civiltà.

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La Fatima della R.S.I.

La MADONNA della PIETA’ 

UN EPISODIO COMPLETAMENTE DIMENTICATO, ma qualcuno di coloro che fu presente e constatò il grande afflusso di fedeli è forse ancora vivo e potrebbe testimoniare del comportamento esemplare delle autorità locali. Una “Apparizione Mariana”, vera o frutto d’immaginazione, in un momento storico così drammatico, ha comunque un significato di profonda fedeltà religiosa: Maria è apparsa ad una bambina, forse troppo fantasiosa, ma dal fatto è ancora una volta scaturita la verità, vivissima nel nostro popolo che Maria è la Regina della Pietà. Proprio in quel tempo.

Alessandro P. Benini

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Unione Europea: ultima fermata

L’Europa costruita con norme e trattati trovava la sua ragione d’essere nella diffusa crescita del benessere che, in una concezione ottimistica delle previsioni, tutte improntate sulla inarrestabile ascesa del mercato, libero da tassi e balzelli di varia natura, non sarebbe mai venuta meno. Su questo postulato, sulla cieca fiducia in un dogma fideistico, si è proceduto alla instaurazione della moneta unica, una valuta senza sovranità, se non quella delle banche, che, da subito, nelle operazioni di cambio con la nostra moneta nazionale, ha presentato un primo, pesante danno al reddito ed al risparmio, privilegiando, causa i mancati controlli, gli arrotondamenti a favore di intermediari e di finanziarie protesi a sfruttare nel modo a loro più conveniente, l’evento.

Ancora pochi anni, poi la crisi, che, attraversando l’Atlantico, ha messo il continente europeo alle corde ed, in modo ancor più gravoso, ha bloccato ogni possibile iniziativa di rilancio dell’Italia, anello debole, dove l’illusione di una prosperità progressiva, basata solo sul castello cartaceo di una finanza “creativa”, aveva posto in secondo piano il vero motore del benessere, rappresentato dalle attività realmente produttive.

Inevitabilmente, le conseguenze disastrose determinate da pressappochismo e miopia di una classe dirigente europea priva di una visione solidale delle problematiche scaturite dalla circostanza, ha dato vita ad una politica di parametri coercitivi nell’esclusivo interesse delle economie più avanzate; è, dunque, questa l’Europa del Trattato di Roma? No, è molto peggio. Questo burocratico Club dove vale, sempre e comunque la politica del più forte, non ha un’anima, ma ha comunque, un comune interesse: un mercato liberista dove chi sbaglia la mossa per minore astuzia o maggiore debolezza, paga pegno.

L’abbiamo visto con la Grecia, un caso limite, ma facilmente applicabile all’Italia e forse a tutta l’Europa mediterranea. È un Club, questo di Bruxelles, molto simile ad un pensionato per la terza età, dove gli ospiti sono convinti di essere ancora in pista, come negli anni verdi, e di esercitare un potere del passato, dove la grandeur francese, come per abitudine, la forza industriale della Germania e l’attitudine imperiale britannica potevano ancora regolare le sorti del mondo.

Oggi tutto questo non esiste ed i vari revivals degli ultimi tempi sembrano anticipare un definitivo “de profundis”.

Si è smarrito, forse ad arte, il senso stesso dell’Europa, che non nasce in visione unitaria come si vuol far credere, nell’isola di Ventotene, ma affonda le sue radici nella romanità, nell’abbraccio vitale di un Impero capace di unire nazioni diverse con la forza del diritto e della lingua comune, bastione di civiltà a difesa delle pressioni esterne da un Est ancora idolatra e desideroso di saccheggio e distruzione.

L’idea di un continente europeo figlio dell’Impero di Roma non è stata mai del tutto abbandonata, questa idea, anche se volutamente oscurata, ha continuato ad appassionare intellettuali e filosofi proprio in Italia e nel bel mezzo del Ventennio fascista. Già nel 1929, vedeva la luce “Antieuropa” un mensile di “azione e pensiero” di Asvero Gravelli, fautore di un rinnovamento spirituale del continente, che dieci anni prima, a Versailles, aveva gettato le basi per un nuovo conflitto e diffuso il germe assassino dello stesso ruolo di punta europeo nella storia. Scriveva Gravelli, nell’editoriale del primo numero “…noi siamo l’eresia della moderna Europa…” volendo intendere come eresia la volontà di una rivolta morale capace di portare solidarietà sociale contro l’alienazione del capitalismo gabbato per modernismo.

L’Unione Europea, quella del fiscal-compact e delle politiche depressive, è giunta, probabilmente, alla fine del suo non esaltante percorso: cosa rimarrà? Le formazioni di diverse ideologie che invocano un ritorno alla completa sovranità nazionale, prima fra tutte quella monetaria, con tutti i rischi connessi, specie per l’Italia, ad un nuovo rapporto di cambio e la definitiva scomparsa politica di un continente, schiacciato da superpotenze d’Oriente e d’Occidente. Ed allora, non sarà opportuno stare insieme, non certo nel modo odierno?

Alessandro P. Benini

(Articolo già pubblicato su “IL BORGHESE”, periodico diretto da Claudio Tedeschi)