Si riporta qui di seguito un intervento pubblicato mercoledì 23 ottobre su
“L’ANTIDIPLOMATICO” a firma di Fabrizio Poggi (*1)
Questa complessa e circostanziata analisi offre una visione molto più dettagliata a quanto sintetizzato in una breve nota già pubblicata sulla Consul Press – sempre in data in data 23.10 e parimente estrapolata dalla Rete – intitolata “UNA ILLUMINANTE CONVERSAZIONE”.
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Antivigilia elettorale in Georgia, dove il 26 ottobre si vota col proporzionale per il rinnovo del Parlamento e dove domenica scorsa, secondo le diverse stime di cui scrive Sputnik Gruzija, l’opposizione antigovernativa de “La Georgia sceglie la UE” avrebbe radunato dalle 20 alle 50.000 o addirittura 100.000 persone nel centro di Tbilisi.
Per la verità, stando a distinti sondaggi, risulta che, da una parte, il partito di governo “Sogno georgiano”, col premier Irakli Kobakhidze già da mesi sottoposto a pressioni e aperte minacce euroatlantiche, possa abbastanza tranquillamente contare sulla conferma della maggioranza dei seggi. Dall’altra, invece, si dice che le forze di opposizione riunite (a loro volta somma di più minuscole “coalizioni) potrebbero ottenere più voti, stimolate dalla presidente Salome Zurabišvili che, “idealmente” alla testa dell’opposizione, assicura che «le elezioni del 26 ottobre dovrebbero segnare un trasferimento democratico del potere», sottintendendo che “Sogno georgiano” considerato “filorusso”, non possa per ciò stesso essere considerato democratico.
D’altra parte, afferma la politologa Tamar Kiknadze, la campagna elettorale dell’opposizione è abbastanza passiva e ciò dimostrerebbe che si stia preparando non tanto alle elezioni, quanto a dichiararle, già dal 27 ottobre, falsificate. Anche per questo, sottolinea, è importante che “Sogno georgiano” ottenga non solo la maggioranza dei seggi, ma anche la maggioranza costituzionale, in modo da poter avviare il processo per dichiarare incostituzionali l’ex partito di governo “Movimento nazionale unito” dell’ex presidente Mikhail Saakašvili & Co., per i crimini commessi quando erano al potere.
Di fatto – basterebbe dare un’occhiata anche solo ai titoli dei “sinceri democratici” media italici – “Sogno georgiano” è costretto a scendere in lotta con l’Occidente, tanto che, anche in Georgia e ancora una volta, le cancellerie liberal-europeiste riducono tutta la faccenda alla formula della “lotta tra Occidente e Russia per la Georgia”.
Sull’agenzia IARex.ru, l’osservatore Vladimir Tskhevediani delinea diversi scenari del voto: il primo, improbabile, per cui l’opposizione vinca le elezioni; Zurabišvili forma un “governo tecnico” e vengono indette nuove elezioni, in cui “Sogno georgiano” non avrà la minima possibilità di entrare in Parlamento, tutti i politici “non europeisti” vengono “epurati” e Tbilisi passa a una politica fortemente antirussa. Secondo scenario, più probabile: “Sogno Georgiano” vince le elezioni, ma l’opposizione dichiara i risultati falsificati; di nuovo Zurabišvili trasferisce pieni poteri a un “governo tecnico” e l’opposizione assalta Parlamento e edifici governativi, mentre alcune regioni della Georgia chiedono “aiuto esterno”, dando vita a un “secondo fronte”, come era stato prospettato durante la Euromajdan a Kiev a inizi 2014.
Ancora su IARex.ru, Fëdor Makukhin ricorda come, dagli idilli euro-georgiani susseguenti la fine dell’URSS e i passi di partenariato con Bruxelles e Washington degli anni ’90 e, poi, soprattutto le mosse della presidenza Saakašvili (nel 2004 il Parlamento georgiano aveva istituito una Commissione per l’integrazione europea e la carica di Ministro per l’integrazione europea ed euroatlantica) e quelle successive (nel 2014 veniva firmato un accordo di associazione tra UE e Georgia; a marzo 2022 Tbilisi aveva presentato domanda di adesione alla UE e a dicembre 2023 otteneva lo status di candidato ufficiale), si sia arrivati al 2024, quando il meccanismo si è inceppato: pietra d’inciampo sulla strada dell’integrazione europea è stata la legge “Sulla trasparenza dell’influenza straniera”, approvata dal Parlamento lo scorso 3 giugno, che prevede un registro delle organizzazioni non governative il cui bilancio annuale sia finanziato per il 20% dall’estero e le obbliga a presentare i bilanci annuali. Ribrezzo e insofferenza a Bruxelles – e, naturalmente, anche tra i “sinceri democratici” media italici – per simile “antidemocratica” pretesa “filorussa” del Parlamento georgiano e alzata di spalle e imperturbabilità di fronte alle dichiarazioni di Irakli Kobakhidze sulla partecipazione di ONG finanziate dall’estero ai tentativi di organizzare sollevazioni in Georgia nel 2020-2023, come anche di fronte alle affermazioni che Paesi occidentali hanno costantemente spinto la Georgia ad aprire un secondo fronte di guerra contro la Russia.
Risultato: processo di integrazione sospeso e congelamento dei 30 milioni di euro previsti per le forze armate georgiane. Con l’aplomb da perfetto esponente della “iena d’Europa, l’ambasciatore UE in Georgia, il polacco Pawel Herczynski dichiara che «la retorica antioccidentale e antieuropea è del tutto incompatibile con l’obiettivo di aderire all’Unione Europea»; il 18 ottobre, con la stessa mefistofelica disinvoltura euromafiosa, ammonisce Tbilisi che «se la traiettoria del governo non cambia, purtroppo la Georgia perderà sempre di più», per poi, appena un giorno fa, ribadire che «il livello delle relazioni tra Georgia e UE è al minimo storico a causa delle azioni delle autorità della Repubblica». Matteo Messina Denaro avrebbe saputo essere più diplomatico.
Secondo fronte contro la Russia, si diceva. Senza scomodare gli appelli al “secondo fronte” lanciati alla Rada ucraina nel 2015 da comandanti di battaglioni neonazisti, in occasione di una serie di assalti islamisti in Cecenia, sono di questi giorni le dichiarazioni del fondatore di “Sogno georgiano”, Bidzina Ivanišvili, secondo cui un non meglio identificato alto funzionario occidentale avesse proposto all’ex premier (da febbraio 2021 a gennaio 2024) Iraklij Garibašvili di scatenare una guerra di tre-quattro giorni (più di quelli, la Georgia non sarebbe stata in grado di combattere, come aveva dimostrato l’avventura di Saakašvili nel 2008 e oggi, secondo Global Firepower Index 2024, l’esercito georgiano è al 84° posto su 145 Paesi) contro la Russia, per poi passare alla “resistenza partigiana” sulle montagne.
Tbilisi aveva saputo resistere a tali abboccamenti e il primo ministro Kobakhidze, per noin spargere ulteriore benzina, osserva ora che, una volta terminata la guerra in Ucraina, «l’interesse per l’apertura di un “secondo fronte” in Georgia finirà immediatamente, e ciò contribuirà a reimpostare le nostre relazioni con UE e USA».
A parere dell’ex Capo di SM georgiano, Guram Nikolaišvili, nell’attuale situazione «agisce in maniera accorta il presidente azero Il’ham Aliev, che si bilancia tra diversi interessi… ha un partner come la Turchia e mantiene la neutralità. Noi invece non abbiamo un partner del genere, dobbiamo difendere da soli gli interessi dello Stato». Dunque, proprio per questo è molto efficace il messaggio del “No alla guerra, scegli la pace”, lanciato alla vigilia del voto da “Sogno georgiano”: le persone, dice Nikolaišvili vedono la grossa differenza tra «le distruzioni in Ucraina e la vita pacifica in patria».
Ovviamente, se Tbilisi avesse ceduto alle “raccomandazioni” occidentali, il suo esercito non avrebbe fatto miglior figura di quella del 2008, ma avrebbe comunque costretto Mosca a dirottare non poche forze a sud, per di più in una regione in cui, c’è da scommettere, gruppi islamisti, del tipo di quelli ingaggiati a suo tempo dall’allora leader georgiano Eduard Ševardnadze per attaccare l’Abkhazia, sono “dormienti” e non sono mai stati messi completamente
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