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Autore: redazione di roma

Passeggiata Letteraria con Antàl Szerb

Come  ci si può ritrovare in una bella città

Giovedì 26 aprile p.v. alle ore 19.00 si ripeterà, visto il grande interesse da parte del pubblico, dall’Accademia d’Ungheria in Roma (Via Giulia, 1) la Passeggiata letteraria al chiaro di Luna, reading itinerante, che prende come riferimento il romanzo di Antal Szerb: “Il viaggiatore e il chiaro di luna”.Nel corso della passeggiata con lettura di brani si visiteranno diversi luoghi del Trastevere descritti nel romanzo.

 

L’evento è stato organizzato in occasione della ripubblicazione da parte dalle Edizioni E/O del romanzo (novembre 2017), traduzione: Bruno Ventavoli, dopo 80 anni dalla sua prima pubblicazione in ungherese e a distanza di 20 anni dalla sua prima edizione in lingua italiana.

 

Evento gratuito, prenotazione obbligatoria, entro il 24 aprile (max. 30 persone): accademiadungheria@gmail.com

Negli anni Trenta una coppia di Budapest parte in luna di miele per l’Italia. I due nascondono irrequietezza sotto un’apparenza borghese. Ma l’incontro con un’Italia oscura e magica spezza il loro razionale equilibrio. Lui inizia un viaggio mistico e allucinato, prima alla ricerca di un amico d’infanzia diventato monaco in un’Umbria oscura e arcaica; poi in una Roma sensuale dove morte ed erotismo s’incontrano. Lei parte per Parigi a meditare su un matrimonio fallito, ma anche a verificare nel tourbillon d’incontri galanti e pericolosi la saldezza della sua vocazione borghese.
La luna di miele si trasforma in un doppio viaggio spirituale, una ricerca sul significato della vita e della morte scritta con elegante levità.
L’autore
Antal Szerb è nato a Budapest nel 1901 ed è morto nel 1944 in un campo di lavoro forzato. È autore di un altro romanzo pubblicato dalle Edizioni E/O: “La leggenda di Pendragon”.

4 Musicisti Russi al “Salotto Romano”

 L’ OTTOCENTOCLUB   di MOSCA al Salotto Romano

   Un’esperienza incantevole

Giovedì 5 aprile nella Sala Capitolare di Santa Maria sopra Minerva ll  consueto incontro letterario mensile organizzato da “Voce Romana”, grazie al Direttore  Sandro Bari e alla Prof.ssa Francesca Di Castro, ci ha  offerto – come un vero dono –  un’ eccezionale rappresentazione artistica di un gruppo di musicisti venuti da Mosca, l’Ottocentoclub.

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Danze Bulgare a tutto ritmo!

Prepariamoci alla “Festa della Primavera”

 

SEMINARIO DI DANZE BULGARE A SOFIA con
 “IL TAPPETO VOLANTE” – Culture in ballo – 

a PADOVA dal 2 AL 9 LUGLIO

Il Tappeto Volante, Culture in ballo,  di Padova propone un viaggio seminario a Sofia,  dal 2  al 9 luglio 2018 , per scoprire il fascino delle danze bulgare insieme alla maestra Valentina Kitova, il cui  vasto repertorio comprende le danze di tutte le regioni della Bulgaria.

Seminario base di 10 ore aperto a tutti , dalle ore 9.30 alle 12.00 dal martedi 3 al venerdi 6 inclusi , tenuto nella sala conferenze dell’hotel  prescelto nel cuore di Sofia  dove pernotteranno i partecipanti

La docente Valentina Kitova balla dall’età di 14 anni, e inizia a studiare  le danze del suo paese presso l’istituto di musica e coreografia di Sofia. Presto il suo talento viene riconosciuto a livello nazionale e diventa ballerina solista del corpo di ballo dell’armata della Bulgaria: viaggia in tutto il mondo per rappresentare  il suo paese durante eventi, manifestazioni culturali e festival.   Insieme a  suo marito Stefan Stefanov crea l’ensemble Kremikovtsi presso la casa culturale “Svetlina Kremikovtsi-1906”.Oggi dirige le troupe di Kremikovtsi e Lokorsko composta da circa 120 persone (ballerini e musicisti)  di eta’ compresa tra 7 e 50 anni.

La proposta comprende: il   seminario di 10 ore, il  pernottamento (7 notti) in albergo*** nel cuore della città (in camera doppia, prima colazione inclusa) (pernottamento in camera singola : supplemento di 110€).Per gli accompagnatori è prevista la formula soggiorno.Quota : tessera associativa Tappeto Volante 2018 : 10€ ; il pacchetto seminario + pernottamento come indicato sopra : 400€. l volo non è compreso ; lo staff del Tappeto Volante viaggia da Treviso con Ryanair: chi vuole può viaggiare insieme a noi : partenza lunedi 2 e ritorno il lunedi 9 luglio. Per motivi organizzativi e essendo un periodo di vacanze estive è richiesta la prenotazione al più presto. Prenotazione con il pagamento di un acconto di 200€, che non verrà  restituito in caso di disdetta da parte del partecipante dopo il 25 maggio. Se il seminario viene annullato da parte dell’organizzazione l’intera somma versata sarà restituita.

 

L’associazione culturale Il Tappeto Volante ASD, affiliata CSEN, è presente a Padova dal 1990, e ha come scopo la diffusione delle culture orientali attraverso corsi di danza, musica e canto, viaggi, conferenze, spettacoli musicali e di folklore.

Accademia Tiberina: “rendez vous” con gli artisti russi

UN INCONTRO CULTURALE DA NON PERDERE 

La Cultura è il vero viale per la comprensione e la fratellanza fra i popoli! Ricordiamocelo, ed invece di restare fermi ai nostri onorabilissimi dolori, guardiamo al tessuto costruttivo di popoli che sono solo geograficamente più lontani, ma ricchi di talenti e carattere che possono ottimamente interagire con i nostri. Proviamo riscrivere la storia, vista da Papi, re, e despoti, e non diffusa secondo il reale ed effettivo agire e significato di Paesi grandi come il nostro.

_____________Marilù Giannone

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Il Minareto di Jam: storia d’amore e di guerra

Focus su un punto della situazione storica attuale

Il titolo di questo libro evoca le favole del fascinoso Oriente, quelle che, purgate da troppi incisi, si leggono avidamente soprattutto da bambini. Ma la realtà appare quasi subito a sconfessare l’attraente finale promesso: il Minareto di Jam è un libro che rivela l’attualità del Vicino Oriente, un mondo sconvolto da guerriglia sanguinosa e intermittente per mille false paci, bombardato, distrutto.

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Verso l’8 Marzo… la “Poesia in Rosa”

Un pomeriggio garbatamente femminista 

Un evento particolare, organizzato da “Voce Romana”, lo scorso giovedì 1 marzo, presso la Sala Convegni della Basilica di S. Maria Sopra Minerva, ha riguardato la forte presenza femminile nel mondo della letteratura, sebbene scarsa quanto a numero. Forte, perché si tratta di personalità artistiche di alto livello ed è giusto portarle alla luce dell’apprezzamento e della lettura in quanto non tutti ne sono a conoscenza.

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Renato Merlino: attore e drammaturgo in lingua romana

Comunicazione muta

Caro Renato, ero una tua estimatrice, ma non te ne sei mai accorto. Quando recitavi per noi, uno dei brani di qualche tua commedia, qualche frase di una parte di un film, ed ancor meglio una delle tue disincantate poesie, davo di gomito a chi mi sedeva accanto se parlottava, io, così rumorosa (caciarona, avresti detto tu), per ascoltarmela bene . Entravi con il cappello bianco, a gran passi, sorridendo, e tutti ti applaudivano. “sentite qua…” e cominciavi, con l’arguzia che ti distingueva, con quel sottofondo drammatico che non manca mai al romano verace: “Giuda, che nun ce po’ stà ad avere tradito Nostro Signore“, oppure quelle considerazioni del fico di via Margutta, simbolo inosservato del Saint Germain romano.

Era molto che non ti si vedeva, noi poeti, e sapevamo che eri ammalato, ma non ci si aspettava che il tuo saluto sarebbe arrivato così presto: l’artista è parte del flusso vitale universale, e la sua voce va al di là degli anni, del decadimento, perfino degli amori e dei contrasti: è già eternità, è già vittoria sul relativo e sull’incerto. Non finiremo mai di ricordare, di vedere te che avanzi verso di noi, scanzonato, sorridente, non perderemo mai le tue storie che, oltre al divertente, facevano chiaro qualcosa di noi da perfezionare, che fino ad allora ignoravamo.

Marilù Giannone

Affreschi alla Domus Aurea

Roma divina ed infinitamente meravigliosa

La sala di Achille a Sciro nella Domus Aurea è stata restaurata, offrendo a cittadini e visitatori cascate di colori e di immagini magistrali.  Il merito è dei nostri archeologi, della Fondazione Isabel & Balz Baechi e della Direttrice del Parco Archeologico del Colosseo Alfonsina Russo, che, al pari dei Ministro e Sovrintendenti dei Beni Culturali, si adoperano per insegnare al mondo cosa è civiltà, riportando Roma e le bellezze artistiche italiane alla luce piena.

Si dà breve notizia della comunicazione lasciata alla Stampa lo scorso 15 febbraio, con i dovuti ringraziamenti.

 

“I restauri della volta della Sala di Achille a Sciro sono stati presentati alla stampa il giorno 15 febbraio, illustrando i metodi adoperati ed i colori secondo tradizione, contenenti fra l’altro il blu egizio e la foglia d’oro” ,  dice Gabriella Gatto, (Electa) e dunque seguendo ciò che Nerone aveva proposto e riportando la magnificenza inimitabile che questo imperatore, non del tutto conosciuto, aveva scelto per questo edificio, che la cattiva tradizione sostiene di essere stato costruito a totale disposizione dell’Enobarbo e che invece era dedicato alla città di Roma, Caput Mundi.

 

Marilù Giannone

Futurism & Co, riprendiamoci la nostra storia

Piccola grande Galleria 

Giovedì 15 febbraio, a via Mario de’ Fiori, si è ripetuto l’esperimento gratificante di uno studio su Giacomo Balla e Dorazio, con una nuova esposizione artistica costruita anch’essa come un faro che punta una grande personalità d’arte figurativa, accostandole, come un contrappunto, una o due a voce simile.

Si tratta della accuratissima passeggiata nell’anima del futurista Eadweard Muybridge, completato da Umberto Boccioni, Fortunato Depero ed altri e condotta, in modo assolutamente innovativo, nella Galleria Futurism&Co. L’innovazione consiste nell’accostamento di temi e scritture pittoriche in accordo fra loro, reso leggibile anche a chi non è esperto, ma comunque spiegato dall’ideatore della mostra, Giancarlo Carpi. La plurimonografia (se mi è concesso indicare così questa nuova via di studio) su Muybridge ha come tema il “Corpo con le ali”.

Il dinamismo come molla vitale, come creazione e ri-creazione continua riprendono la guida della ricerca dell’arte attuale come indagatrice delle possibilità fisiche e spirituali di un “vivente”. La lectio magistralis del Futurismo rimette in evidenza l’unione dell’umano, come stasi e velocità, e del non umano, come oggetti, ambientazioni, particolari, coinvolti in armonia storica, che lascia la contemplazione, ma attiva, a chi l’ammira. È auspicabile che questo stile espositivo prosegua, per dare ancora mete nuove.

Il punto di partenza, che costituisce il nome della piccola Galleria, Futurism&Co, è l’italianissimo Futurismo di Giacomo Balla, Fortunato Depero, di Dottori, Boccioni, e dunque dei massimi esponenti dell’arte del primo Novecento che aprirono campi nuovi alla conoscenza mondiale e che meritatamente tornano in primo piano espungendo caos e falsità di varie arti di “metodo”, dove conta più il materiale che si adopera della pallida idea, se pur esiste, da trasmettere. Non è un “futuro che ritorna” ma è la fiducia rinvigorita per quella lingua che i frastuoni della terribile storia che si vive non hanno mai soffocato.

Il ” fuoco” mira a raccontare le opere fotografiche di Muybridge che indulgono a segnare la velocità come creatrice del corpo umano che: «si basa sulla traiettoria dello spostamento e non analizza le sue fasi cinetiche» (Anton Giulio Bragaglia). Corpi umani, e figure di animali, estensioni, evoluzioni, e la bellissima festa corale di “Piedigrotta” che, secondo Carpi, «è un complesso plastico che supera il concetto classico di pittura e scultura ed è, in pieno spirito, Ricostruzione futurista dell’universo, in grado di darci le voci dell’infinito.» Allora tornare al Logos come musica, parola, arte, è l’evidente, dolcemente ingiuntivo consiglio per la condizione vitale umana.

Marilù Giannone

Ladispoli: la sorpresa di una piccola città

Lia Viola Catalano parla dei suoi libri

Erano anni che non andavo a Ladispoli, piccolo luogo marinaro che mi aveva visto ospite saltuaria di amici, ormai “andati avanti”. Sulla falsariga di tante piccole zone abitate del Lazio, andando colà per assistere alla presentazione dei libri di un’amica un poco speciale, Lia Viola Catalano, psicoterapeuta di Rebibbia e Magistrato, mi aspettavo il solito sbadigliante luogo, pieno di girovaghi, nomadi e cartacce varie, come si sono ridotti gli abitati da alcuni anni.

Invece ho trovato una cittadina pulitissima, ordinata, piena di interessi (che strano, le capitali sembrano aver raggiunto il loro culmine e stagnano nelle solite menate culturali) e fiorita di coordinamenti per spettacoli, installazioni per conferenze, ampi ed ordinati liberi parcheggi, negozi aperti e illuminati con discrezione, nessun vagabondo colorato o no col cappello in mano, per lo meno in Corso Italia, insomma, una vera sorpresa.

Nella Sala Consiliare del Comune, dove Lia Catalano offriva i suoi scritti, realmente corrispondenti ai nostri nazionali principali problemi, vale a dire mafia e femminicidi, un numero notevole di studenti zitti ed attenti, a divorare i motivi e le evoluzioni dei temi contenuti in “Malanascenza” ed ” Elettroshock”.

La scrittura agile e talvolta sofferta, in capitoli particolari, dell’Autrice ha toccato i ragazzi, che si guardavano talvolta fra loro colpiti. Si tratta, per il primo, di un’esposizione di come si diventi “omo de panza” già da tenera età e quasi senza avvedersene, come il latte succhiato dalla mamma, e come si possano inevitabilmente, da questa formazione, scendere via via i gradini che portano al proprio annullamento. Il secondo è un astuto e ripetuto divorzio all’italiana di un sanitario di gran nome, senza conseguenze né penali, né economiche, così facilmente condotto da far capire quante volte, dietro morti improvvise di mogli, si celi la fredda cattiveria, l’egoismo del sesso detto forte. Il dolore che qua e là Lia Catalano lascia trasparire la dice lunga sulla sensibilità sua e sulla veridicità delle storie che mette in evidenza. Un sottile e prezioso fil rouge espressivo porta all’analisi di questi oscuri personaggi e interessa i lettori per l’indagine dell’animo umano. I ragazzi hanno poi proposto domande precise e si sono precipitati, alla fine, a prendere qualche volume che veniva loro offerto.

Ma il Sindaco Alessandro Grando fra loro lascia ammirati tutti: è giovane e capace, dispostissimo allo spazio alla cultura ed all’evoluzione giovanile, come sostiene la Dirigente Scolastica Fabia Baldi e come, e con entusiasmo, precisa la Coordinatrice del Progetto Erasmus e docente dei ragazzi del Liceo Scientifico “Martini” Rossella Spano, piacevolmente sorpresa dei problemi umanissimamente esposti da Lia Catalano che portano contributo alla sua ricerca su problemi sociali femminili. Il Primo cittadino di Ladispoli costituisce un esempio, come costituisce una porta aperta nel futuro la bravura di un’Autrice e l’avvenenza della sua personalità.

Marilù Giannone

Una scrittrice interessante, Silvana Folliero

La Galleria di Neòtero

Il libro “La Galleria di Neotero” offerto gentilmente da Marilita Molinari, Presidente dell’Associazione “Ermes 2000”, nel corso di un evento culturale, non è l’ultima opera della scrittrice Silvana Folliero, ma una delle più significative, in quanto raccoglie, in tre differenti sezioni, temi che la scrittrice ha prodotto di migliori.

Autrice di diversi titoli, imperniati sulla ricerca del senso della vita, del compito inespresso di ogni uomo o creatura in esso, Silvana Folliero penetra nel tessuto dell’umanità abulica che fa da sfondo alle sue narrazioni per evidenziarci personaggi e storie tanto singolari quanto al limite del probabile quasi volesse rilevare, al di sotto di un’apparente normalità, una realtà straniata, spesso morente, malata, ma sempre rinascente dai suoi lubrici o malsani territori. Non sono mai storie simili alle favole ed a lieto fine, ma è il carattere nonostante tutto etico e positivo delle sue creature che si svincola dai suoi errori, ciò che dà una fine comprensibile e spesso accettabile ai racconti che scrive.

La critica giustamente l’ha dotata di riconoscimenti e premi particolari qui solo accennati, largamente citati in biografia, ma al lettore ciò che preme è saperla riconoscere come eccezionale, sia per la liscia perfezione del tessuto scritto (ha collaborato, fra l’altro, al Grande Dizionario della Lingua Italiana) sia per l’insolito filo conduttore della sua ricerca, la terra sommersa possibile del vivente e le sue dinamiche.

Già il racconto “il Figlio” che le ha fatto conseguire un premio (Olevano 2000) e che mette in luce la paternità e la maternità connaturate in ognuno a prescindere dell’esito manifesto, si collega, come spirito, alla raccolta: “Inventario”, ma l’atroce giovinezza di due fratelli, “Junghita”, raggiunge limiti quasi utopici per la creazione di un legame, nel magma indifferente dell’odierna società nel quale esso si acquatta, che troverà in “Utopia e coscienza” il motivo razionale del suo verificarsi. Lo stile morbido ed il delicato vocabolario non negano in nessun modo le mende riprovevoli e la colposa indifferenza dell’attuale ambiente, accettato dai personaggi come consueto e quasi con rassegnazione, come ultima, gandhiana ribellione.

Le sue figure non amano il lettore e forse non sanno neanche farlo. Sono immagini a tutto tondo e non ombre, che danno a chi legge l’ombra oscura dei suoi errori, sono gli occhi che indagano e giudicano chi le avvicina, che prova sgomento, ma anche la mano tesa, senza indice accusatore, di un comprensivo sorriso.

Marilù Giannone

Nikolajewka: la battaglia sulla via del ritorno

Un omaggio sentito ai Nostri Caduti

Una ricorrenza con un’infiorescenza di sentimenti differenti, che spesso appaiono perduti dietro gli affanni voluti da tristi governi: la commemorazione, il 28 gennaio (il diciottesimo anno) dei Caduti di Nikolajewka, sulla via Cassia, nella piazza ai Caduti sul Fronte Russo. Un fluido invisibile di Fratellanza Militare scivola sui presenti nel nome Patria, esalta l’onore e la sofferenza per i parenti caduti nell’eroismo di un inverno ingrato, l’inverno russo, tremendo e struggente.

È un canto, questa giornata, per i fiori dell’umanità che dormono sotto la neve e si spera possano al più presto risvegliarsi: il coraggio, l’onestà, il merito, l’amore anche familiare, il patriottismo. Mani, che stringono strumenti, bandiere, altre mani ansiose di stringersi nell’arpeggio fresco ed azzurro della terra italiana.

Passano divise, passano insegne ed onorificenze, trascorrono lenti o in carica uomini e corpi militari: Artiglieria, Alpini, Marina, Paracadutisti, Carabinieri, Bersaglieri, uniti a Croce Rossa, la Polizia di Roma Capitale con il Gonfalone, fra mantelli, chepì e scintillio di gradi.

Manca materialmente, ma “penna nera” Silvano Leonardi incarna l’indomito esercito che è morto lontano perché l’Italia fosse libera e grande: è andato avanti lo scorso anno ma ognuno lo vede, presso l’altare , nel proprio cuore che conosce il dovere, costi ciò che costi. A lui va la luce di questo giorno, il pensiero ammirato diffuso da voci e strumenti della fanfara dei Bersaglieri, la presenza commossa delle Istituzioni. A sigillare il senso di pace e l’augurio che non possano più esserci conflitti sono, fra i militari italiani, due addetti della Difesa dell’Ambasciata di Russia, un Ufficiale dell’Aviazione ed un Capitano di Fregata, che hanno aggiunto al commento del Generale Flumeri e del Tenente d’Artiglieria Sandro Bari la voce di uno Stato che ha dovuto, come il nostro, obbedire, ma conferma nella fede ai valori la meravigliosa e possibile fraternità di due grandi popoli.

Due parole da amico, con quel lieve accento slavo e la correttezza, questa volta non formale, da diplomatico. Nikolajewka è storia e dolorosa, ma questo gesto ha aperto un varco verso un sereno futuro da uomini liberi.

Marilù Giannone

Goethe Libero Muratore

Un lato poco esplorato di un grande Letterato

Lunedì 22 gennaio 2018, a villa Sciarra, uno dei posti più incantevoli di Roma, è stato presentato uno studio su Goethe Massone, a cura dei professori Marino Freschi e Roberta Ascarelli, e presentato da Gianluca Paolucci, Ricercatore presso l’Istituto di Studi Germanici stante nella Villa detta, con Gianmario Cazzaniga dell’Università di Pisa. Numerosi gli uditori, attratti da questo aspetto della personalità del Genio europeo inusitato per una biografia specifica di cultura letteraria ma immancabile in quanto la spiritualità della Massoneria ha rivelato una sua piena esistenza nelle opere del Grande tedesco.

Il commento riguarda innanzitutto il contatto e l’adesione di Wolfgang Goethe alla Loggia Anna Amalia delle Tre Rose, l’uscita da essa a causa di impegni diplomatici presso il Duca di Weimar, del quale il Nostro era Consigliere Segreto, ed il suo avvicinamento ad un gruppo di Illuminati, una scuola sempre sulla linea della Massoneria classica, dalla quale Goethe sarebbe poi ritornato alla Loggia primitiva. Ma ciò che è importante è la resa, alla luce delle tracce massoniche, di alcune giganti figure delle sue produzioni: Prometeo, Faust, e quel bellissimo legame che il Poeta ebbe con la Natura, sia essa una visione di luoghi, sia essa la definizione dello spirito di un personaggio, visto come un girovago del pensiero che segue la via del miglioramento per raggiungere il suo culmine, e questo è il nucleo della sua opera Wanderjahre di Wilhelm Meister, con il capolavoro del protagonista e della sua compagna che l’invita a conoscere «la terra dove fioriscono i limoni e dove risplendono le arance.»

Non è solo la gioia di ritrovare una così grande stima di Goethe per l’Italia a far ammirare quest’opera, che si spera possa far meditare gli italici denigratori della loro casa, ma è l’impulso, quasi una coazione a seguire la vita ora facile ora tormentosa, fiorita o corredata di incertezza del Meister, sentimento che rivela l’inevitabile legame dell’uomo con la sua esistenza.

Ma non ci si ferma qui: attraverso lo studio su Goethe si dà ampio panorama del pensiero corrente sulla Massoneria dal 1700 in poi in Europa, per nulla ostile, talvolta quasi un atteggiamento alla moda, o, specie in Germania, una considerazione rispettosa, incarnata in grandi letterati come Lessing, Herder, Wieland. Lo stesso ordine degli Illuminati, visti oggi da letterati di cassetta come demoniaci, era un ordine mistico e pacifico, di vicinanza templare e di un esoterismo privo di storture immaginate da profani. Il pensiero tedesco in particolare era attratto dalla ricerca spirituale più degli altri stati europei come può attestarlo non solo il Goethe, ma anche quell’opera vivamente apprezzata che fu “Dialoghi Massonici” di Lessing.

Ci si augura che lo spirito critico possa sceverare dal ricco bagaglio di commenti più o meno superficiali quella semplice verità che, luminosa com’è, è sempre sottoposta ad azioni di contrasto da parte dei poteri correnti.

Marilù Giannone

Israele: ciò che non si conosce

Un affresco chiarificatore al di là delle solite “menate”

C’è chi li dice avari, chi lamentosi. Di certo, sembra che nessuno conosca i fratelli maggiori citati da Giovanni Paolo II. Queste sono le parole d’inizio di un evento tenutosi venerdì 26 gennaio, presso la Basilica degli Angeli di Roma, nel quale un professore di significativa qualità, ONORATO BUCCI, esperto in Diritto Romano, e Diritti particolari di varie popolazioni mediterranee, nonché mediorientali ed iraniane, uomo di fiducia sicura di tutto un mondo culturale del campo, ha illustrato il carattere degli Ebrei e di Israele, facendo sponda da remote età ai giorni più recenti. Una vasta illustrazione di vari gruppi anche in antitesi fra loro, Sadducei, i più aperti alla conoscenza ed i meno adesi alle regole quali la circoncisione e l’obbligo alla religione;i seguaci di Isaia, più vicini al pensiero che sarà accessibile ai futuri cristiani, quindi i Farisei, e dei loro vicini e dirimpettai: Maroniti, Palestinesi, Sumeri, Greci e Romani.

L’uditorio era letteralmente preso dalla favella scorrevole e precisa come un bisturi del Professore, che ha fatto in parte rivedere il giudizio di alcuni su questo popolo che non cessa mai di far parlare di sé né in bene, né in male. Israel, o I-sara-el vuol dire “coloro che combattono Dio”, essi dunque sono in perenne contrasto fra loro, fra se stessi, e gli altri. Sono i padroni nel senso conoscitivo dei due estremi entro i quali si muove la vita, maschio e femmina, bianco e nero, ferocia e gentilezza.

Presi tutti dall’impegno di armonizzarli, gli Ebrei – sostiene il Professore – sono un continuo mistero, chiusi in sé, conservatori assoluti della loro origine e del passato, ed insieme eminenti e dinamici accoglienti del nuovo: in loro non c’è distacco sprezzante verso gli “stranieri” (falascia) ma una più profonda e radicata individualità di nazione.

Più volte perseguitati, a cominciare dai Russi, per passare ai Bulgari, agli Ungheresi ed a dolori più recenti, essi si rendono nemici ed amici : colpiti dalle Leggi Razziali, ma senza deportazione per mano italiana, sono stati i primi a sollevare il capo, dopo la chiusura dell’ultima guerra, anche in grazia della Legge Romanelli. Un mistero, creato dall’irrazionalità senza la piaga dell’Illuminismo, sostiene il Professore, creato forse anche per la confusione avuta a seguito della mescola con i Greci e l’Ellenismo. Hanno come scopo quello di giudaizzare il mondo.

Sarà un bene, sarà un male, una cosa è certa: non si può non ammirarli.

Marilù Giannone

Futurism & Co.: un piccolo gioiello

Ritorno al Futuro

A Roma può succedere che, andando a vedere una vernice in una galleria di recente apertura, l’attenzione cada su un piccolo locale espositivo in via Mario de’ Fiori 68, Futurism & Co., portando i passi immediatamente dentro di esso.

Si viene accolti da opere di Giacomo Balla e di Piero D’Orazio, in posizione alterna sulle pareti per un confronto, quasi un richiamo da pifferaio magico di quadri sapientemente accostati e simili, garbatamente succedanei: Balla ha aperto la porta all’astrattismo, e per soggezione, a diverse scuole moderne.

Era tempo, era davvero tempo che non potessero vedersi, in vari eventi, opere che abbiano la potenza di far godere un visitatore, ed insieme di condurlo lungo i sentieri dei loro messaggi. Questa galleria ha volutamente messo punto ai finti artisti, a quei critici e pittorini che non sanno cosa sia arte, che è l’umiltà di studio che conduce alla fiducia ad occhi chiusi per la propria sensibilità che, come una voce irresistibile, reclama verità e totale disponibilità di ideazione e di esecuzione, ad altissimi costi di tempo.

Questo è essere pittori, uniti alla capacità ed alla personalità creativa, se si è grandi. È cosa nota che, nel mare di mediocrità rattristante solo qualche nome dal dopoguerra ai nostri giorni sembra essere un accettabile faro. Da quando si va dietro ai virtuosi del metodo e dello strumento, più o meno d’oltremare o non italiani, chi cerca arte deve andare ramingo per luoghi ed istituzioni alla ricerca di qualche opera che dia conoscenza, così in pittura come in letteratura.

Futurism & Co. vuole riprendere un bel discorso interrotto, senza negare nulla, né l’esperienza, né il rapporto diverso con l’ambiente, e ci si augura un successo dovuto, che il desiderio di riprendere il livello nazionale suggerisce. La parola d’ordine è negare il ripetitivo, il passaggio a livello della politica di comodo ed innaturale, seguire l’immaginazione dinamica ed armoniosa di Giacomo Balla, scoprire come D’Orazio ha fatto suoi, con altra poetica, quei fraseggi e versi multicolori.

Marilù Giannone

Genio Italico: Scarpediem

Il nuovo libro di Pino Ammendola

È bastata un’occhiata e l’uomo in piedi ad un lato dello stand di un’editrice è stato riconosciuto come Pino Ammendola, attore della Televisione e del Cinema: lui si è limitato a rispondere con un gran sorriso, senza false modestie.

Ma Pino Ammendola, amico di Renzo Arbore ed interprete di vari personaggi per i maggiori registi cinematografici, da Tornatore a Fellini, teatrali, quali ad esempio Lavia, ha in sè una sorta di iceberg, la cima del quale, che si nota, è il sorriso che lascia partecipare anche gli occhi. Al di là della cima, Ammendola è a sua volta regista, autore teatrale, ha compiuto un fiorito cammino dalla Laurea in Giurisprudenza sulla poesia licenziosa dei giuristi settecenteschi della sua città, Napoli, fino a svelare una nuova faccetta del suo carattere: è anche scrittore, di una prosa delicata e variopinta, a metà fra la fiaba ed il quotidiano sovente faticoso e con una vena di umorismo accattivante. Il titolo è già un suggerimento dell’opera: Scarpediem.

Un invito a descrivere la vita com’è, senza ansie di lontani traguardi, ma percorsa su ciò che è logico portare per camminarvi su spediti, le scarpe. Si pensa all’inizio, abbracciando il piccolo formato fra le mani, che sia un gioco, che si tratti di un’elaborazione scherzosa e, perché no, leggera di qualche avventura o storia immaginata, ma non è così. Scarpediem è un breve, ma succoso compendio di come si possa essere ricchi di delicatezza e di sentimenti diretti, senza svenevoli sfumature, e vivere di poco e talvolta di speranza. Scritto da una mano e da una mente stilisticamente encomiabile, intorno ad una miriade di personaggi che si possono incontrare ovunque e, come tutti i migliori, silenziosi, senza autoreferenze, contenti di passare un percorso avendo come fondale Napoli e le sue bellezze, i suoi dintorni.

La lingua usata si punteggia a volte di modi di dire e vocaboli del vernacolo partenopeo, indici di pensieri e concetti semplici che formano una sorta di filosofia secolare, mai alla gloria delle scienze, ma garbatamente realistica. Le scarpe riescono a dimostrare l’unità di una famigliola, l’angoscia di un collezionista particolare che ha quasi del maniaco, sedata dall’intelligenza del detective al quale si rivolge per riottenere il pezzo a lui rubato, che rivela un amore un poco tragico e dolcissimo.

Il libro si legge in tre modi: se si vuole un evasione dai problemi quotidiani, se si vuole assumere informazioni su come possa essere ricca la quotidianità, se si ricerca la vera umanità fuori dai successi, le luci, gli spot, le finzioni.

La serie di racconti si chiude a Capri, fra musiche, mare, giardini principeschi e tanta poesia, un piccolo luogo che si apre infinito nel mitico, o fiabesco, singolare e toccante insieme. Partenopeo verace nel ventaglio dei sentimenti e per la ricerca di un intimismo dorato, Pino Ammendola si serve dello stile letterario corposo per creare un’opera letteraria nel vero senso del termine, che ha apprezzamento ovunque. Ciò che potrebbe apparire un limite, è invece una chiave di diffusione e ci si rammarica se questo suo libro vuol farlo rimanere da solo, se non cura il tempo fuori dalla sua professione per ammaliarci ancora.

Marilù Giannone

Gene Gnocchi e la sua maiala

 Commento ad una povera frase di un “povero saltimbanco”

Si capisce, siamo in un periodo nel quale l’indigenza avanza, ed attori, presentatori, uomini e donne minimi di spettacolo devono come gli altri fare le capriole per ottenere un bocconcino di lavoro. Ma questo non giustifica la perdita di dignità del ridursi a tappetino per tentare di farsi ancora notare, come è avvenuto, recentemente, per un “coso” che ha chiamato Claretta Petacci la troia che gira libera nella Capitale, per i degradi degli ineffabili Cinquestelle. (Inutile dire che sono stati i precedenti. E’ così? Bene. Ma spetta a voi porre rimedio)

A parte il fatto che “comico” in questa contingenza ha ascendenza linguistica come buffone da “comi”, vale a dire di orgia, nemmeno “cena elegante”, si è reso conto, il misero omarino, che (per evitare conseguenze) ha insultato una donna assassinata, che non si era mai interessata di politica ed era, semmai, solo una donna innamorata? Forse il poveretto non sa cosa vuol dire nemmeno innamorarsi e la frase sparata acidamente gli ricade addosso come una pioggia di commiserazione, è l’emblema degli stracci morali nei quali è caduto, come direbbe lo stesso, “il Paese”. Oppure il cosino aveva in mente non l’ascendenza linguistica, ma i suoi ascendenti e collegati, che gli hanno dato l’emblematico cognome, per lo meno a Roma. Decisamente, potrebbe aver voluto adeguarsi alla moda preelettorale, ed allora lo si può chiamare Gender Gnocca. Forse, se si guarda allo specchio, avrebbe senz’altro questa idea.

Insultare un defunto, maschio o femmina (e qui mi meraviglio del silenzio più volte rotto in proposito dalla ex Presidente della Camera) è assolutamente schifoso. Ma non chiederà scusa, perchè è solo un poveraccio che a malapena fa sorridere, che non è altro che “ronzio di un’ape dentro un bugno vuoto”.

Marilù Giannone

Piano Americano, un vademecum per gli scrittori

Come scrivere un libro e riuscire (con fatica)  a pubblicarlo

Scrivere un libro partendo dall’assunto che si è deciso di non scriverlo, quel libro; parlare a ruota libera di scrittura affermando che con la scrittura si è chiuso definitivamente; far emergere i personaggi quando gli si è voltate le spalle senza pentimenti… è un libro che cavalca apparenti paradossi quello di Antonio Paolacci, Piano Americano, uscito per i tipi di Morellini editore. Eppure non c’è maggior cristallina visione che quella di chi prende le distanze da qualcosa o da qualcuno e in questa metaletteratura Paolacci in realtà riversa tutta la sua esperienza di narratore, editor, correttore, redattore e amante dei libri e del cinema.

Questo anche perché l’autore conosce bene il mondo in cui si muove. Un mondo fatto di attese e aspettative. Dedicarsi mesi, anni alla realizzazione di un testo, inviarlo alle case editrici, aspettare mesi e mesi per una risposta. Vedersi recapitare la frase di circostanza “la ringraziamo per aver pensato a noi, ma siamo spiacenti di comunicarLe che la sua opera non rientra nelle nostre linee editoriali”. O peggio ancora i silenzi, quel silenzio-diniego che può mettere in crisi le più convinte vocazioni. Riscrivere, rettificare, cercarsi un editor complice, provare a bussare alla porta di agenti letterari potenti, direttori di collana, dirigenti di riviste letterarie cartacee e del mondo del web. Rielaborare la frustrazione e tentare con una seconda opera, una terza, una quarta. Rimodellare i propri personaggi in modo da farli aderire al sentire comune o ai gusti redazionali o ancora alle tendenze del momento. Provare e riprovare cercando di prendere l’avversario per stanchezza salvo sperare di diventare l’autore di punta di una qualsiasi casa editrice. E molto altro ancora. Questo è il mondo a cui l’autore si riferisce nel suo libro.

“Piano Americano” è un libro che può essere letto almeno in tre ottiche diverse. Quella legata allo svago di chi desidera leggere una storia; l’ottica di chi ama cercare di comprendere i meccanismi della narrativa e i suoi risvolti più laterali, le sue inibizioni, le ansie, i dubbi; il piacere di sfogliare pagine dove le citazioni sono puntuali e i riferimenti sui piani della realtà e della finzione si scambiano di continuo i ruoli. Anche perché quest’opera è densa e la sua densità è data in parte dalle vicende metanarrative e in buona sostanza dai rimandi a testi e autori che immaginiamo Paolacci abbia amato e continua ad amare tanto da tributar loro una collocazione predominante in questa storia.