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Autore: redazione di roma

Futurism & Co, riprendiamoci la nostra storia

Piccola grande Galleria 

Giovedì 15 febbraio, a via Mario de’ Fiori, si è ripetuto l’esperimento gratificante di uno studio su Giacomo Balla e Dorazio, con una nuova esposizione artistica costruita anch’essa come un faro che punta una grande personalità d’arte figurativa, accostandole, come un contrappunto, una o due a voce simile.

Si tratta della accuratissima passeggiata nell’anima del futurista Eadweard Muybridge, completato da Umberto Boccioni, Fortunato Depero ed altri e condotta, in modo assolutamente innovativo, nella Galleria Futurism&Co. L’innovazione consiste nell’accostamento di temi e scritture pittoriche in accordo fra loro, reso leggibile anche a chi non è esperto, ma comunque spiegato dall’ideatore della mostra, Giancarlo Carpi. La plurimonografia (se mi è concesso indicare così questa nuova via di studio) su Muybridge ha come tema il “Corpo con le ali”.

Il dinamismo come molla vitale, come creazione e ri-creazione continua riprendono la guida della ricerca dell’arte attuale come indagatrice delle possibilità fisiche e spirituali di un “vivente”. La lectio magistralis del Futurismo rimette in evidenza l’unione dell’umano, come stasi e velocità, e del non umano, come oggetti, ambientazioni, particolari, coinvolti in armonia storica, che lascia la contemplazione, ma attiva, a chi l’ammira. È auspicabile che questo stile espositivo prosegua, per dare ancora mete nuove.

Il punto di partenza, che costituisce il nome della piccola Galleria, Futurism&Co, è l’italianissimo Futurismo di Giacomo Balla, Fortunato Depero, di Dottori, Boccioni, e dunque dei massimi esponenti dell’arte del primo Novecento che aprirono campi nuovi alla conoscenza mondiale e che meritatamente tornano in primo piano espungendo caos e falsità di varie arti di “metodo”, dove conta più il materiale che si adopera della pallida idea, se pur esiste, da trasmettere. Non è un “futuro che ritorna” ma è la fiducia rinvigorita per quella lingua che i frastuoni della terribile storia che si vive non hanno mai soffocato.

Il ” fuoco” mira a raccontare le opere fotografiche di Muybridge che indulgono a segnare la velocità come creatrice del corpo umano che: «si basa sulla traiettoria dello spostamento e non analizza le sue fasi cinetiche» (Anton Giulio Bragaglia). Corpi umani, e figure di animali, estensioni, evoluzioni, e la bellissima festa corale di “Piedigrotta” che, secondo Carpi, «è un complesso plastico che supera il concetto classico di pittura e scultura ed è, in pieno spirito, Ricostruzione futurista dell’universo, in grado di darci le voci dell’infinito.» Allora tornare al Logos come musica, parola, arte, è l’evidente, dolcemente ingiuntivo consiglio per la condizione vitale umana.

Marilù Giannone

Ladispoli: la sorpresa di una piccola città

Lia Viola Catalano parla dei suoi libri

Erano anni che non andavo a Ladispoli, piccolo luogo marinaro che mi aveva visto ospite saltuaria di amici, ormai “andati avanti”. Sulla falsariga di tante piccole zone abitate del Lazio, andando colà per assistere alla presentazione dei libri di un’amica un poco speciale, Lia Viola Catalano, psicoterapeuta di Rebibbia e Magistrato, mi aspettavo il solito sbadigliante luogo, pieno di girovaghi, nomadi e cartacce varie, come si sono ridotti gli abitati da alcuni anni.

Invece ho trovato una cittadina pulitissima, ordinata, piena di interessi (che strano, le capitali sembrano aver raggiunto il loro culmine e stagnano nelle solite menate culturali) e fiorita di coordinamenti per spettacoli, installazioni per conferenze, ampi ed ordinati liberi parcheggi, negozi aperti e illuminati con discrezione, nessun vagabondo colorato o no col cappello in mano, per lo meno in Corso Italia, insomma, una vera sorpresa.

Nella Sala Consiliare del Comune, dove Lia Catalano offriva i suoi scritti, realmente corrispondenti ai nostri nazionali principali problemi, vale a dire mafia e femminicidi, un numero notevole di studenti zitti ed attenti, a divorare i motivi e le evoluzioni dei temi contenuti in “Malanascenza” ed ” Elettroshock”.

La scrittura agile e talvolta sofferta, in capitoli particolari, dell’Autrice ha toccato i ragazzi, che si guardavano talvolta fra loro colpiti. Si tratta, per il primo, di un’esposizione di come si diventi “omo de panza” già da tenera età e quasi senza avvedersene, come il latte succhiato dalla mamma, e come si possano inevitabilmente, da questa formazione, scendere via via i gradini che portano al proprio annullamento. Il secondo è un astuto e ripetuto divorzio all’italiana di un sanitario di gran nome, senza conseguenze né penali, né economiche, così facilmente condotto da far capire quante volte, dietro morti improvvise di mogli, si celi la fredda cattiveria, l’egoismo del sesso detto forte. Il dolore che qua e là Lia Catalano lascia trasparire la dice lunga sulla sensibilità sua e sulla veridicità delle storie che mette in evidenza. Un sottile e prezioso fil rouge espressivo porta all’analisi di questi oscuri personaggi e interessa i lettori per l’indagine dell’animo umano. I ragazzi hanno poi proposto domande precise e si sono precipitati, alla fine, a prendere qualche volume che veniva loro offerto.

Ma il Sindaco Alessandro Grando fra loro lascia ammirati tutti: è giovane e capace, dispostissimo allo spazio alla cultura ed all’evoluzione giovanile, come sostiene la Dirigente Scolastica Fabia Baldi e come, e con entusiasmo, precisa la Coordinatrice del Progetto Erasmus e docente dei ragazzi del Liceo Scientifico “Martini” Rossella Spano, piacevolmente sorpresa dei problemi umanissimamente esposti da Lia Catalano che portano contributo alla sua ricerca su problemi sociali femminili. Il Primo cittadino di Ladispoli costituisce un esempio, come costituisce una porta aperta nel futuro la bravura di un’Autrice e l’avvenenza della sua personalità.

Marilù Giannone

Una scrittrice interessante, Silvana Folliero

La Galleria di Neòtero

Il libro “La Galleria di Neotero” offerto gentilmente da Marilita Molinari, Presidente dell’Associazione “Ermes 2000”, nel corso di un evento culturale, non è l’ultima opera della scrittrice Silvana Folliero, ma una delle più significative, in quanto raccoglie, in tre differenti sezioni, temi che la scrittrice ha prodotto di migliori.

Autrice di diversi titoli, imperniati sulla ricerca del senso della vita, del compito inespresso di ogni uomo o creatura in esso, Silvana Folliero penetra nel tessuto dell’umanità abulica che fa da sfondo alle sue narrazioni per evidenziarci personaggi e storie tanto singolari quanto al limite del probabile quasi volesse rilevare, al di sotto di un’apparente normalità, una realtà straniata, spesso morente, malata, ma sempre rinascente dai suoi lubrici o malsani territori. Non sono mai storie simili alle favole ed a lieto fine, ma è il carattere nonostante tutto etico e positivo delle sue creature che si svincola dai suoi errori, ciò che dà una fine comprensibile e spesso accettabile ai racconti che scrive.

La critica giustamente l’ha dotata di riconoscimenti e premi particolari qui solo accennati, largamente citati in biografia, ma al lettore ciò che preme è saperla riconoscere come eccezionale, sia per la liscia perfezione del tessuto scritto (ha collaborato, fra l’altro, al Grande Dizionario della Lingua Italiana) sia per l’insolito filo conduttore della sua ricerca, la terra sommersa possibile del vivente e le sue dinamiche.

Già il racconto “il Figlio” che le ha fatto conseguire un premio (Olevano 2000) e che mette in luce la paternità e la maternità connaturate in ognuno a prescindere dell’esito manifesto, si collega, come spirito, alla raccolta: “Inventario”, ma l’atroce giovinezza di due fratelli, “Junghita”, raggiunge limiti quasi utopici per la creazione di un legame, nel magma indifferente dell’odierna società nel quale esso si acquatta, che troverà in “Utopia e coscienza” il motivo razionale del suo verificarsi. Lo stile morbido ed il delicato vocabolario non negano in nessun modo le mende riprovevoli e la colposa indifferenza dell’attuale ambiente, accettato dai personaggi come consueto e quasi con rassegnazione, come ultima, gandhiana ribellione.

Le sue figure non amano il lettore e forse non sanno neanche farlo. Sono immagini a tutto tondo e non ombre, che danno a chi legge l’ombra oscura dei suoi errori, sono gli occhi che indagano e giudicano chi le avvicina, che prova sgomento, ma anche la mano tesa, senza indice accusatore, di un comprensivo sorriso.

Marilù Giannone

Nikolajewka: la battaglia sulla via del ritorno

Un omaggio sentito ai Nostri Caduti

Una ricorrenza con un’infiorescenza di sentimenti differenti, che spesso appaiono perduti dietro gli affanni voluti da tristi governi: la commemorazione, il 28 gennaio (il diciottesimo anno) dei Caduti di Nikolajewka, sulla via Cassia, nella piazza ai Caduti sul Fronte Russo. Un fluido invisibile di Fratellanza Militare scivola sui presenti nel nome Patria, esalta l’onore e la sofferenza per i parenti caduti nell’eroismo di un inverno ingrato, l’inverno russo, tremendo e struggente.

È un canto, questa giornata, per i fiori dell’umanità che dormono sotto la neve e si spera possano al più presto risvegliarsi: il coraggio, l’onestà, il merito, l’amore anche familiare, il patriottismo. Mani, che stringono strumenti, bandiere, altre mani ansiose di stringersi nell’arpeggio fresco ed azzurro della terra italiana.

Passano divise, passano insegne ed onorificenze, trascorrono lenti o in carica uomini e corpi militari: Artiglieria, Alpini, Marina, Paracadutisti, Carabinieri, Bersaglieri, uniti a Croce Rossa, la Polizia di Roma Capitale con il Gonfalone, fra mantelli, chepì e scintillio di gradi.

Manca materialmente, ma “penna nera” Silvano Leonardi incarna l’indomito esercito che è morto lontano perché l’Italia fosse libera e grande: è andato avanti lo scorso anno ma ognuno lo vede, presso l’altare , nel proprio cuore che conosce il dovere, costi ciò che costi. A lui va la luce di questo giorno, il pensiero ammirato diffuso da voci e strumenti della fanfara dei Bersaglieri, la presenza commossa delle Istituzioni. A sigillare il senso di pace e l’augurio che non possano più esserci conflitti sono, fra i militari italiani, due addetti della Difesa dell’Ambasciata di Russia, un Ufficiale dell’Aviazione ed un Capitano di Fregata, che hanno aggiunto al commento del Generale Flumeri e del Tenente d’Artiglieria Sandro Bari la voce di uno Stato che ha dovuto, come il nostro, obbedire, ma conferma nella fede ai valori la meravigliosa e possibile fraternità di due grandi popoli.

Due parole da amico, con quel lieve accento slavo e la correttezza, questa volta non formale, da diplomatico. Nikolajewka è storia e dolorosa, ma questo gesto ha aperto un varco verso un sereno futuro da uomini liberi.

Marilù Giannone

Goethe Libero Muratore

Un lato poco esplorato di un grande Letterato

Lunedì 22 gennaio 2018, a villa Sciarra, uno dei posti più incantevoli di Roma, è stato presentato uno studio su Goethe Massone, a cura dei professori Marino Freschi e Roberta Ascarelli, e presentato da Gianluca Paolucci, Ricercatore presso l’Istituto di Studi Germanici stante nella Villa detta, con Gianmario Cazzaniga dell’Università di Pisa. Numerosi gli uditori, attratti da questo aspetto della personalità del Genio europeo inusitato per una biografia specifica di cultura letteraria ma immancabile in quanto la spiritualità della Massoneria ha rivelato una sua piena esistenza nelle opere del Grande tedesco.

Il commento riguarda innanzitutto il contatto e l’adesione di Wolfgang Goethe alla Loggia Anna Amalia delle Tre Rose, l’uscita da essa a causa di impegni diplomatici presso il Duca di Weimar, del quale il Nostro era Consigliere Segreto, ed il suo avvicinamento ad un gruppo di Illuminati, una scuola sempre sulla linea della Massoneria classica, dalla quale Goethe sarebbe poi ritornato alla Loggia primitiva. Ma ciò che è importante è la resa, alla luce delle tracce massoniche, di alcune giganti figure delle sue produzioni: Prometeo, Faust, e quel bellissimo legame che il Poeta ebbe con la Natura, sia essa una visione di luoghi, sia essa la definizione dello spirito di un personaggio, visto come un girovago del pensiero che segue la via del miglioramento per raggiungere il suo culmine, e questo è il nucleo della sua opera Wanderjahre di Wilhelm Meister, con il capolavoro del protagonista e della sua compagna che l’invita a conoscere «la terra dove fioriscono i limoni e dove risplendono le arance.»

Non è solo la gioia di ritrovare una così grande stima di Goethe per l’Italia a far ammirare quest’opera, che si spera possa far meditare gli italici denigratori della loro casa, ma è l’impulso, quasi una coazione a seguire la vita ora facile ora tormentosa, fiorita o corredata di incertezza del Meister, sentimento che rivela l’inevitabile legame dell’uomo con la sua esistenza.

Ma non ci si ferma qui: attraverso lo studio su Goethe si dà ampio panorama del pensiero corrente sulla Massoneria dal 1700 in poi in Europa, per nulla ostile, talvolta quasi un atteggiamento alla moda, o, specie in Germania, una considerazione rispettosa, incarnata in grandi letterati come Lessing, Herder, Wieland. Lo stesso ordine degli Illuminati, visti oggi da letterati di cassetta come demoniaci, era un ordine mistico e pacifico, di vicinanza templare e di un esoterismo privo di storture immaginate da profani. Il pensiero tedesco in particolare era attratto dalla ricerca spirituale più degli altri stati europei come può attestarlo non solo il Goethe, ma anche quell’opera vivamente apprezzata che fu “Dialoghi Massonici” di Lessing.

Ci si augura che lo spirito critico possa sceverare dal ricco bagaglio di commenti più o meno superficiali quella semplice verità che, luminosa com’è, è sempre sottoposta ad azioni di contrasto da parte dei poteri correnti.

Marilù Giannone

Israele: ciò che non si conosce

Un affresco chiarificatore al di là delle solite “menate”

C’è chi li dice avari, chi lamentosi. Di certo, sembra che nessuno conosca i fratelli maggiori citati da Giovanni Paolo II. Queste sono le parole d’inizio di un evento tenutosi venerdì 26 gennaio, presso la Basilica degli Angeli di Roma, nel quale un professore di significativa qualità, ONORATO BUCCI, esperto in Diritto Romano, e Diritti particolari di varie popolazioni mediterranee, nonché mediorientali ed iraniane, uomo di fiducia sicura di tutto un mondo culturale del campo, ha illustrato il carattere degli Ebrei e di Israele, facendo sponda da remote età ai giorni più recenti. Una vasta illustrazione di vari gruppi anche in antitesi fra loro, Sadducei, i più aperti alla conoscenza ed i meno adesi alle regole quali la circoncisione e l’obbligo alla religione;i seguaci di Isaia, più vicini al pensiero che sarà accessibile ai futuri cristiani, quindi i Farisei, e dei loro vicini e dirimpettai: Maroniti, Palestinesi, Sumeri, Greci e Romani.

L’uditorio era letteralmente preso dalla favella scorrevole e precisa come un bisturi del Professore, che ha fatto in parte rivedere il giudizio di alcuni su questo popolo che non cessa mai di far parlare di sé né in bene, né in male. Israel, o I-sara-el vuol dire “coloro che combattono Dio”, essi dunque sono in perenne contrasto fra loro, fra se stessi, e gli altri. Sono i padroni nel senso conoscitivo dei due estremi entro i quali si muove la vita, maschio e femmina, bianco e nero, ferocia e gentilezza.

Presi tutti dall’impegno di armonizzarli, gli Ebrei – sostiene il Professore – sono un continuo mistero, chiusi in sé, conservatori assoluti della loro origine e del passato, ed insieme eminenti e dinamici accoglienti del nuovo: in loro non c’è distacco sprezzante verso gli “stranieri” (falascia) ma una più profonda e radicata individualità di nazione.

Più volte perseguitati, a cominciare dai Russi, per passare ai Bulgari, agli Ungheresi ed a dolori più recenti, essi si rendono nemici ed amici : colpiti dalle Leggi Razziali, ma senza deportazione per mano italiana, sono stati i primi a sollevare il capo, dopo la chiusura dell’ultima guerra, anche in grazia della Legge Romanelli. Un mistero, creato dall’irrazionalità senza la piaga dell’Illuminismo, sostiene il Professore, creato forse anche per la confusione avuta a seguito della mescola con i Greci e l’Ellenismo. Hanno come scopo quello di giudaizzare il mondo.

Sarà un bene, sarà un male, una cosa è certa: non si può non ammirarli.

Marilù Giannone