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Autore: Redazione

MAZE #3 – Torino – Festival di Streetwear and Streeculture

MAZE #3  – 7-8-9 giugno 2019

 il più innovativo festival di Streetwear and Streetculture   
Torino, Piazzale Valdo Fusi * Ex Borsa Valori via San Francesco da Paola 28

a cura di Gian Paolo MENEGHINI  

Dopo il successo delle precedenti due edizioni, dal 7 al 9 giugno ritorna MAZE, il festival dedicato al mondo dello Streetwear e della Streetculture ad ingresso totalmente gratuito che si tiene a Torino in Piazzale Valdo Fusi e all’Ex Borsa Valori in via San Francesco da Paola 28.

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7 aprile 1979: quarant’anni fa l’inchiesta su intellettuali di sinistra e gruppi armati

UN’ APPROFONDITA ANALISI DEL GEN. RAFFAELE VACCA SUGLI “ANNI DI PIOMBO”, prendendo spunto da un articolo di Antonio Ferrari apparso sul Corriere della Sera 

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Roma, 9 aprile 2019 – Sull’argomento leggiamo un interessante articolo su “Il Corriere della Sera” di Antonio Ferrari che seguì per quel giornale i grandi fatti di quell’epoca..

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Macerata Racconta – festa del libro

Sabato 13 aprile

conferenza stampa

FESTA DEL LIBRO MACERATA RACCONTA

 ristorante VERE ITALIE

via Crescimbeni, 19 – Macerata

ore 11.00

 

 

Sarà presentata l’edizione 2019 del festival Macerata Racconta. La manifestazione è giunta alla nona edizione e oltre ai numerosi incontri letterari con ospiti nazionali, prevede mostre, spettacoli, la Fiera Marche Libri e il Premio Macerata Racconta Giovani.

Saranno presenti

Giorgio Pietrani, “Direttore artistico del festival”
Stefania Monteverde, “Vicesindaco del Comune di Macerata”
Daniele Salvi, “Capo di Gabinetto del Consiglio della Regione Marche” – Francesco Adornato, “ Magnifico Rettore dell’ Università di Macerata”

Scheda-Informativa-MCR-web

Uno degli ultimi misteri della guerra: le fosse di Katyn

Per trovare verità e menzogna politica all’Horafelix

MERCOLEDI’  10  APRILE  ore 19  per gli appuntamenti  di  ‘Sapere e Sapori’
tagliere di formaggi e salumi con birre polacche. A seguire proiezione del film
di Andrzej Wajda  KATYN – Il mistero di un crimine mai raccontato-
Circa 22.000 ufficiali polacchi assassinati e poi ritrovati nell’aprile 1943 nella foresta di Katyn.
Contributo alla serata 10e.  Info e prenotazioni:3711278745
 
GIOVEDI’  11  APRILE  ore 18 presentazione del periodico per una 
democrazia partecipativa  ‘Sovranità Popolare’.  Illustrerà le finalità Guido Grossi
 
VENERDI’ 12  APRILE ore 18.30 La cinematografia di fine ‘900.
Conversazione sul libro di Giuseppe del Ninno “Piombo,sogni e celluloide:gli anni ’70. ’80 e ’90 al cinema”
parte cipano Maurizio Cabona, Luciano Lanna e Massimiliano Serriello
 
SABATO 13 APRILE ore 18  per gli incontri Insieme per la Cultura presentazione del volume 
di Maria Grazia Ferraris  “Marina Cvetaeva, ma non è anche l’amore un sogno?”
 
DOMENICA  14 APRILE ore 17.30  Aperitivo in musica – concerto dell’ ALSIUM ENSEMBLE 
saranno eseguiti brani di Albeniz, Joplin, Fabbri, Bontempi, de Abreu e Williams
 
 
HORAFELIX Caffè Letterario
 via Reggio Emilia 89 – 06 45618749

Italiani ed il primato del lavoro in Libia

A proposito dell’emigrazione, degli italiani e la Libia: modernità e rispetto della natura e del lavoro da parte del Regno d’Italia 

 

Nel 1924 c’era stato un censimento degli italiani all’estero. È riportato in uno studio del 1996 di Liauzu Claude edito a Bruxelles sulla storia delle emigrazioni nel Mediterraneo occidentale. Questi i dati sugli italiani: Tunisia 91.000 presenze; in Marocco 12.000; in Egitto 45.000, e in Algeria 37.000 residenti. Non sono riportati gli italiani in Libia, dal 1911 era territorio del Regno d’Italia e dove risiedevano, insieme all’elemento arabo ed ebreo dai tempi di Leptis Magna, divenuta seconda città dell’Impero romano e metropoli per tanti decenni della storia antica, città imperiale dove si parlava un latino con accenti tipici della Libia di allora… invece la presenza italiana in Tunisia è testimoniata anche ai tempi di Giuseppe Garibaldi e da alcuni recenti scritti di un altro importante esule politico: Bettino Craxi. L’incremento della presenza italiana avviene però a partire dal 1881 quando la Francia occupa la Tunisia, dove ancora partivano sbarchi e rapimenti fin sulle coste laziali come confermato in una tesi di laurea della fine anni ottanta, ricerca fatta presso l’Archivio di Stato di Roma sotto la voce “rapimenti a Nettuno a opera di pirati nordafricani”. Ma non è questo il punto. La cosa interessante è rileggere una storia dimenticata attraverso la serie di pubblicistica, giornali, riviste, libri, sull’applicazione del lavoro degli italiani in quelle terre. Tra questi citiamo Benedetti Achille “Tenaci rurali italiani vittoriosi in Tunisia” (Corriere della Sera del 24/071938); Pendola Marinette, “La riva lontana” (Sellerio, Palermo 2000); Vito Magliocco, “La nostra colonia di Tunisi” (Edizioni La Prora, Milano 1933); De Martino Giacomo, “Cirene e Cartagine, Note e impressioni della carovana De Martino Badari – giugno-luglio 1907” (Zanichelli, Bologna 1908); Poggi Tito, “Dalla vigna alla cantina. Lettera ai contadini – Il Viticoltore tunisino” (edizione del 10/11/1938). Insomma da questa breve e scarna raccolta di produzione intellettuale in lingua italiana può vedersi l’approccio pre-consumistico, prima cioè del fallimento generale della seconda guerra mondiale e dei successivi anni di cosiddetto boom economico, di miracolo eccetera, che forse a ben vedere ne scontiamo oggi il caro prezzo di tanta economia Americanizzata prima che modernizzata e meccanizzata a modo del buon lavoratore italiano che sapeva dare un approccio umanistico al lavoro ben eseguito, e nel rispetto di parametri ecologici e antropologici insiti in popolazioni da sempre insistenti e coesistenti nel bacino del Mediterraneo. Scrive Magliocco: “Fate il conto di quanto costa mettere al mondo, allevare, educare curare un bambino, che poi sarà un ragazzo, che poi sarà un giovane, che poi sarà un uomo, che poi sarà un emigrante: ossia uno che all’economia italiana sarà costato decine di milioni e, poi, andrà a produrre ricchezza in un altro paese”. Scrive queste parole Vito Magliocco nel 1957, quando edita il volume “Dall’Italia alle rive della Sirte” (Milano, 1957 Nuove ed. d’Italia, di pagine 92), ritrovato nella Biblioteca di Anzio (Roma) “Fondo Misiti”. Nato in una città dell’Africa mediterranea, Magliocco frequenta le scuole italiane all’estero, poi le francesi e il Politecnico in Francia, dove aveva anche lavorato. Poi emigrato negli USA, fece lavoro da operaio nelle officine Ford di Detroit. Pubblica varie opere e, prima del secondo conflitto mondiale, viene premiato dalla Reale Accademia d’Italia. Di alcuni suoi successi, i tedeschi negli anni ’50 comprano i diritti letterari. Nel 1957 Magliocco da Pisa parte in aereo per un viaggio in Libia, in piena estate, stagione meno propizia, per ritrovare a 10 anni dal Trattato di Parigi le terre dissodate dal sudore e dal sangue degli italiani. Per 21 giorni documenta la realtà con coscienza di uomo civile, e scrive: “La terra di Cirenaica è bruna, buona come quella che conosco: «Cirenaica verde». Ma non ci sono più gli italiani e nessuno coltiva la terra: è abbandonata. Dall’aeroplano hai la visione delle tappe della riconquista del deserto che avanza nuovamente verso la fascia costiera: e dalle zone che continuano a resistere; perché certi uomini (italiani) resistono ancora. E quando questi Italiani «molleranno», dopo aver resistito alla guerra, dopo aver resistito alla pace peggiore della guerra, il deserto compirà la sua opera”. E subito dopo: “Tobruk è base navale inglese. È in affitto. Nella Marmarica gli inglesi cercano il petrolio. La Mellaha, presso Tripoli, è base strategica americana. È in affitto. Gli americani cercano il petrolio nel Fezzan (i francesi, dopo di noi, volevano tenerselo [il Fezzan. Ndr ] : hanno dovuto sgomberarlo pochi anni addietro per fare largo agli altri). A Tripoli gli alberghi sono zeppi di coloro di cui già vi dissi. A Bengasi idem (i cercatori di petrolio e loro cortigiane. Ndr). Villette qua e là sulla costa sono sorte per il riposo e le distrazioni di questi signori, signore e relativa prole. L’opera dell’Italia è spezzata. E tutto è rimasto fermo. Si attende il petrolio? Si attende che la terza guerra mondiale chiarisca le posizioni? si attende. Gli italiani da 150.000 (il programma era di due milioni) si sono ridotti a 35.000: nuovi arrivi non ne vogliono, nuove partenze, sì. A poco a poco, si ridurranno ancora: la stessa politica che in Egitto. Un paese non si tiene con le «basi», qualunque sia la loro potenza. Si tiene popolandolo, amministrandolo, incivilendolo, possedendolo. «Fortuna che non siamo più in Libia», dicono certuni in Italia davanti alle difficoltà della Francia nel Nord Africa. Se non ci avessero tolto la Libia, con quel Trattato di pace accettato da un Governo che sembrava avere il sadico piacere di «bere l’amaro calice» dell’espiazione fino in fondo, di colpe non sue, le cose nel Nord Africa sarebbero andate diversamente. L’Europa cominciò a perdere l’Africa il giorno in cui fu firmato il nostro Trattato di pace. (…) Gli uomini passano, i problemi restano, si complicano, e altri problemi sorgono.”  

Parole profetiche dell’ingegnere Magliocco, oggi dalla Libia verso l’Europa solo barconi di disperati, senza speranza da quella che era una area ben governata e amministrata come per la Somalia lasciata dopo l’Amministrazione italiana, voluta dall’ONU dal 1947 fino al 1960, un giardino ben organizzato con infrastrutture civili, ospedali strade ecc. Per concludere, dalle pagine “attuali” ricavate da Vito Magliocco si aggiunge: “dare lavoro a una popolazione che non ha sufficienti risorse nel suo paese, che non ne avrà mai, con o senza la Cassa del Mezzogiorno, con o senza redenzione delle zone depresse, con o senza valorizzazione del turismo”. Sugli Stati Uniti aggiunge non senza ironia: “conseguirono la più grande vittoria di tutti i secoli e i governanti di uno dei popoli più dinamici credettero di poter fermare il tempo e congelare gli altri popoli in stati di fatto al momento T (Trattati di pace. Ndr) in cui furono firmati i trattati, i quali non risolvevano nulla”. L’Europa divisa in due anglo-americani e sovietici: “In nome di chi abbiamo deciso di ucciderci con le nostre mani? A quale limite è arrivata la stoltezza dell’Europa! Se questo è il risultato del veleno russo che immobilizza il cervello dei nostri uomini politici, dove sono i politici, coloro il cui mestiere dovrebbe essere di sapere sintetizzare i problemi? Qualunque promessa non servirà a nulla”.

Parole profetiche meno che su alcuni cambiamenti strutturali che l’ingegner Magliocco non poteva prevedere (la vita si allunga, presto parti bioniche, trapianti e così via migliorano enormemente e diventa ludica la longevità presto anche dopo gli ottanta anni, per gli europei e loro popolo amici e assimilati, ci sono le comunicazioni che uniscono il Globo e preparano l’Unità del Mondo. La terza guerra mondiale è stata sì combattuta, ma non con armi convenzionali e meno che mai con l’uso dell’atomo, ma tra le pieghe e diplomazie vere e di circostanza degli Stati. L’opzione atomica, l’olocausto, è stata solo un deterrente che, unito alla propaganda sovietica – ma non solo dei sovietici – che alimentava come fiume sotterraneo i partiti eurocomunisti, soprattutto in Francia ed in Italia, ha fatto una guerra psicologica, in cui si versava di tutto sulle piazze, caso emblematico la Berlino Ovest tarlata dal consumismo, vizi slogan vogliamo tutto e subito (ma che cosa?) e fiumi di stupefacenti vari (si vedano i film, “I ragazzi dello zoo di Berlino, e “Cristiana Effe”) che hanno inondato e così spezzato generazioni di giovani tra la fine degli anni ’60, ’70, e ancora prosegue oggi, con l’arrivo di nuove leve che portano le stesse sostanze dalle vie del mare con mezzi di fortuna coadiuvati da chi dall’antico business di fine Novecento con gli allora Centri di Accoglienza e disintossicazione dei tossicodipendenti, oggi ha eretto il suo muro psicologico sado-masochista e perseguita nel male assoluto. Questi pro-nipoti nullatenenti, respinti dalle propaggini di fine Ottocento e inizi Novecento se leggessero la loro situazione psichica così sintetizzata dalle parole pronunciate da Lenin pochi lustri prima del secondo conflitto mondiale, in termini così efficaci: “Fra cinquant’anni le armi avranno ben poco senso. Avremo ‘imputridito’ abbastanza i nostri nemici prima dello scoppio delle ostilità, perché l’apparato militare possa venire utilizzato nell’ora del bisogno…” Morto nel 1924, Lenin passa il testimonio del conflitto prossimo venturo del suo Paese, l’Unione sovietica, che in 10 anni doveva veder l’ascesa della Germania nazionalsocialista, quindi con questa allearsi e spartirsi la Polonia nel 1939 a seguito del Patto Molotov-Ribbentrop, voluto dal suo successore Stalin e da Hitler. A voler vedere oltre nel tempo di 50 anni, come giusto Lenin pre-disse, era quanto doveva poi avvenire nel tempo della Guerra fredda, nel mondo diviso in due blocchi. Tanto è vero che 10 anni dopo il secondo conflitto mondiale, nel 1955 Khrusciov dichiarava lungo la stessa linea: “La vittoria del socialismo (sovietico. Ndr)? Non è più necessario andare in guerra per ottenerla. Basta la competizione pacifica”.

Oggi il mondo non è più dualistico?… si obietterà! Alcuni speravano nella multipolarità…Peggio ancora dunque. La coesistenza a due blocchi era relativamente gestibile. Coesistenza che già allora significava nel senso proprio, conquista del potere con ogni mezzo, tranne che con lo scontro armato diretto. Nel campo della Guerra fredda la sovversione era una lotta condotta senza che vi fosse il bisogno di ostilità fra le forze armate regolari delle potenze appartenenti agli opposti blocchi. Finita la Guerra fredda la sovversione non è finita, anzi è penetrata nella cosiddetta globalizzazione che, a ben vedere, ha azzerato 100 anni di lotte sociali e socialiste in Europa occidentale. La globalizzazione dei mercati ha anticipato lo stravolgimento. Rovesciare leggi e regole ben note: diritto al lavoro e allo studio, alla tracciabilità igienico-sanitaria dei prodotti alimentari, alla sicurezza, allo Stato sociale ecc. Barriere ad un mercato globale, nel quale si devono abbattere i concorrenti con ogni mezzo: lavoro minorile, delle donne e violenza sulla dignità, giornate di 12 e più ore di lavoro, uso indiscriminato di prodotti chimici tossici… in agricoltura, in fabbrica sui prodotti commerciali e per i giochi dei bambini…ecc. Peccato che negli anni Settanta si gridava “Lavorare meno, lavorare tutti” e gli operai aspettavano il lavoro liberato, anche creativo, grazie alle tecnologie, la sicurezza sul lavoro, insomma il tempo dell’uomo libero e del lavoro liberato. Viva la fantasia al potere! Viva il salario garantito! Ah! Ecco, la melassa succitata è sinergicamente aggravata da chi predica il primato delle religiosi sulla sovranità degli Stati sovrani e popoli, che l’altro profeta Marx sintetizzò in Oppio dei Popoli.  

 

 

 

 

“La trattativa Stato Islam”: il nuovo testo di Francesca Musacchio

TAVOLA ROTONDA e DIBATTITO
presso la Fondazione Ugo Spirito / Renzo De Felice

Giovedì 11 aprile 2019, alle ore 17.30, nella Sala della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, verrà presentato il libro di Francesca Musacchio “La trattativa Stato Islam”, pubblicato da Armando Curcio Editore. Insieme all’autrice sarà presente Giuseppe Parlato, ordinario di Storia contemporanea nell’Università degli Studi Internazionali di Roma (UNINT) di Roma, presidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice.

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