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Autore: Redazione

Severino ed Amèrica, due persone particolari

Un libro nuovo 
Severino e América: storia d’amore e d’anarchia

Firenze, 30 novembre 2018 – Quella dell’anarchico Severino Di Giovanni, sbarcato in Sud America negli anni Venti del Novecento, e della compagna América Scarfò, sua compagna di vita e di ideali, è una vicenda intensa e ricca di pathos, un po’ come un tango argentino.

Ce la racconta Tito Barbini nel suo ultimo libro, Severino e América (Mauro Pagliai Editore, pp. 176, euro 15) che sarà presentato domenica 2 dicembre alle 17:00 nei locali della libreria LaFeltrinelli di Arezzo (via Giuseppe Garibaldi, 107). L’autore dialogherà con Giorgio Sacchetti, storico dell’anarchismo e docente universitario.
Barbini è stato per molti anni figura di primo piano nella politica toscana. Già sindaco di Cortona, poi assessore regionale, amico e corrispondente di François Mitterrand, è noto come scrittore di viaggi a partire dal fortunato Le nuvole non chiedono permesso (2006), a cui sono seguiti titoli di successo comeAntartide (2008), Il cacciatore di ombre (2011) e L’ultimo pirata della Patagonia (2015). Trascorso quasi un secolo dalla morte di Di Giovanni, giustiziato a Buenos Aires nel 1931 dopo essere stato accusato di una serie di attentati e rapine, Barbini è partito per l’Argentina per seguire le sue tracce. Il diario di questo viaggio oltreoceano, arricchito da suggestive fotografie d’epoca, diventa così la cronaca di una storia d’amore febbrile e romantica, e allo stesso tempo di una cruda e disperata vicenda di lotta politica. “Credo che questo libro”, spiega lo scrittore, “sia allo stesso tempo una saga famigliare, una indagine storica e un racconto di lontana emigrazione. Ma mi piacerebbe fosse considerato un romanzo di sentimenti, una storia di persone che si cercano e si perdono per tutto il tempo di una vita senza mai trovarsi veramente”.

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Tramonti Tedeschi, a Roma presso la Libreria Antiquaria Rotondi

Alla Libreria Antiquaria Rotondi un incontro con un germanista filosofo, presentato da Marino Freschi, Docente in Germanistica dell’Università di Trieste 

Relatore: Marino Freschi
Introduce: Angelo Bolaffi,
filosofo della politica e germanista

L’autunno del 1918 segnò la fine della Grande Guerra e il crollo degli Imperi Centrali, quello austro-ungarico e il Secondo Reich. Il grande sogno di una Mitteleuropa germanica tramontava rovinosamente. La disfatta era stata in realtà annunciata da opere intellettualmente e artisticamente importanti per la densità di concezioni ardite e per la straordinaria vastità del loro impianto. In esse la Germania, – la Germania “segreta” -, appassionatamente amata, era evocata quale scenario di un auspicato nuovo rinascimento della cultura, anzi della “Kultur”. Alcuni tra i principali scrittori – da Mann a Spengler, da Jünger a Bloch – si confrontarono con questa svolta epocale che avevano previsto e predetto in interventi quanto mai impegnativi. La loro rilettura, esattamente dopo un secolo, risulta più che mai attuale e intrigante anche per le diagnosi del nostro tempo, insicuro, disorientato, travolto da una crisi di identità, che era stata già percepita con intensa lucidità medianica da questi scrittori.

Marino Freschi: germanista triestino, si è formato a Roma, a Zurigo con Emil Staiger, a Berlino con Peter Szondi e Wilhelm Emrich. Ha insegnato all’Università L’Orientale di Napoli, e insegna ancora all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e, dal 1990  al 2014, a Roma Tre. Dal 2015 è Professore Emerito di Letteratura Tedesca, Università di Roma Tre. Autore di numerosi volumi e saggi. Tra i suoi libri più recenti: Goethe massone, Le luci del Settecento e Baron Knigge: dall’occultismo alla politica, tutti editi da Bonanno Editore/Tipheret Editore. Dirige la rivista «Cultura Tedesca».

 

Lettera aperta a Virginia Raggi, “Sindaco” di Roma

Lettera aperta al “Sindaco” di ROMA

indirizzata alla Prima Cittadina dell’ Urbe da PIETRO CAPPELLARI

A parte –  ed in calce – seguono alcune “Note” di Giuliano Marchetti sempre dedicate al Primus Cives dell’ Urbe domiciliato in Campidoglio, con qualche successivo riferimento anche al Primus Cives della Repubblica, domiciliato al Quirinale  

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