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Autore: Massimiliano Serriello

A colloquio con Romana Maggiora Vergano sull’emozione della recitazione

LE IDEE CHIARE DI UNA GIOVANE ATTRICE DESTINATA A LASCIARE IL SEGNO

Una conversazione con Massimiliano Serriello

È davvero destinata a lasciare il segno Romana Maggiora Vergano (nella foto). Ho voluto rigorosamente – o quasi: ogni tanto il “tu” scatta in automatico – darle del “lei”. Il 2 settembre, alla Sala Giardino, nell’ambito della 79ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, gli spettatori dal palato fine potranno applaudirne l’entusiasmo creativo profuso in Come le tartarughe di Monica Dugo nel ruolo dell’adolescente Sveva che passa dal disincanto dinanzi al dolore materno al sensibile processo d’immedesimazione. 

Ad animare invece il copione del dramedy generazionale all’italiana Gli anni belli, al di là del colpo di gomito dei richiami citazionistici cari all’autore postmoderno per eccellenza del rievocatissimo 1994, Quentin Tarantino, provvede soprattutto l’intesa stabilita da Romana con Maria Grazia Cucinotta. Un’intesa in un certo senso da Fiori d’acciaio, in altre parole di donne garbate ma toste, anche se, a onor del vero, Gli anni belli nemmeno costeggia la virtù di far ridere gli spettatori tra le lacrime sulla scorta dell’esempio fornito a futura memoria dal miglior film di sempre sull’intesa femminile corroborata dalla forza dei legami di sangue: Voglia di tenerezza

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A colloquio con Pal ‘e fierro sul calcio che non c’è più

L’ANTIPERSONAGGIO CHE CEDETTE LA FASCIA RESTANDO CAPITANO

Una conversazione con Massimiliano Serriello

Maurizio Costanzo, non uno qualsiasi nel mondo della comunicazione e del giornalismo, ritiene che «nel meraviglioso mondo è difficile creare dei miti ma facilissimo cercare di abbatterli». Concordo, aggettivo a parte, sulla prima affermazione. Dissento, con tutto il rispetto, dalla seconda. Il più grande personaggio che ho visto calcare i campi di calcio della massima serie autoctona e dell’affascinante ma impervia Coppa dei Campioni, rinominata Champions League, è stato Gianluca Vialli. La persona più dura nella lotta e leale nell’animo che abbia visto giocare si chiama Giuseppe Bruscolotti. Soprannominato, con cognizione di causa, Pal ‘e fierro.

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A colloquio con Pia Lanciotti sull’armonia recitativa ed esistenziale

FORMA ED ELEGANZA D’UNA ATTRICE RICCA DI CONTENUTI

Una conversazione con Massimiliano Serriello

La mia miglior amica Mariapia una volta ha detto: i fatti della pentola li sa il coperchio. Viviamo un momento storico a dir poco drammatico per la comunicazione. Specie quella che va dritta al punto. I problemi del benessere, già deprecabili in tempo di pace, sono divenuti un lusso. Ed ergo il peggior dispendio di energia catartica possibile e immaginabile. Ingenerare aspettative salvifiche in un simile scenario, in cui sotto i furgoni della morte ci vanno le creature ucraine e a fargli coniugare la vita all’imperfetto sono degli imberbi leoncini per agnelli tonici, che per uno scopo a parer loro superiore si qualificano in modo definitivamente inferiore, non merita né parole né parolacce. Pure il famoso «Quanno ce vo, ce vo» bisogna meritarselo. Al pari delle sane tirate d’orecchie. L’eleganza resta però una benedizione. Ben inteso l’eleganza che non paga dazio alla ricerca delle lusinghe incastrate in pose vanitose. Pia Lanciotti è un’attrice elegante. Aliena alle tristemente note pose adulatorie. Va per le spicce per un verso e dedica sempre un istante in più – rispetto al tabellino di marcia stabilito sulla scorta del diktat dei tempi stretti – ad accogliere, come un cadeau, il frutto fragrante della saggezza di stampo popolaresco. Sulle tavole palcoscenico non c’è spazio per l’egemonia di stampo materialista: la forma resta pur sempre la forma; il contenuto, piegato a mera scusante piuttosto nauseante, non può e non deve regnare sovrano. 

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GLI ALFIERI DEL GRUPPO STORICO ROMANO

AGGREGAZIONE ED ERUDIZIONE: LA TRADIZIONE DI ROMA CAPUT MUNDI SUGLI SCUDI

Il gladiatore è secondo i critici cinematografici romani senza santi in paradiso un film da curva sud. La Roma è la squadra di calcio per cui batte il mio cuore di tifoso sin dall’età della ragione. Certe volte il cuore, si sa, non sente ragioni. Specie quando si tratta dell’egemonia dello spirito sulla materia. Che in pratica significa fare le cose con il cuore. Senza pensare a un riscontro d’ordine pratico e utilitaristico. A raccogliere l’eredità dell’egemonia dello spirito sulla materia ed ergo dell’antica Roma, con il richiamo all’autorità sugli scudi, è il carattere di squadra del rugby. Uno sport praticato davvero da atleti duri nella lotta ma leali nell’animo. Consapevoli che, se da una parte i calciatori fanno coi piedi cose che ai rugbisti non riescono nemmeno con le mani, il carattere cementa i valori ereditati dalla tradizione. Valori costeggiati dalla serie tv Roma prodotta da HBO. Con John Milius, il miglior regista vivente, seppur negletto, nelle vesti d’invisibile e decisivo factotum. I fatti della pentola li sa il coperchio. E i fatti della Città Eterna, connessi alle giornate antiche care ad Alberto Angela, li (ri)vivono palmo a palmo gli alfieri del Gruppo Storico Romano. Ho trascorso con loro ore gradevoli. E mi sono fatto una mia idea. 

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A colloquio con Yassmin Pucci
sulla fragranza della sincerità al cinema

UN’ATTRICE IRONICA E AUTOIRONICA CHE CONIUGA ENTUSIAMSMO ED ELEGANZA

Una conversazione con Massimiliano Serriello

Per chi fa comunicazione con il tornado di fuoco e sangue che attanaglia l’ordine naturale delle cose, con buona pace dei motivi politici per cui è scoppiato un conflitto tra cugini o presunti tali dalle conseguenze devastanti sotto il profilo umano ed economico, discorrere di cinema è a dir poco difficile. Se non fuori luogo.
La caccia alle pose lusinghiere degli attori e delle attrici che nella vita reale sono allegramente all’oscuro dell’aumento dei prezzi determinato dall’altalena degli stati d’animo dei potenti della terra, almeno finché qualche giornalista provvisto di qualche discreto neurone non mette nero su bianco come stanno messe le cose brutte una volta stabilito che l’ordine naturale di quelle belle ha dato per il momento forfait, non merita ulteriori commenti.
I commenti che gli attori e le attrici in cerca di premi fanno sulla guerra in corso appaiano formali nove volte su cento. Talora finti. In alcuni casi fuori luogo. Manca la fragranza della sincerità. Un olfatto che circola nell’aria. Ed è impossibile non riconoscerlo. L’attrice romana e iraniana  Yassmin Pucci possiede la fragranza della sincerità.

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A colloquio con Piero Tarticchio e Claudio Bronzin sul Giorno del Ricordo

DUE TESTIMONIANZE CHE ONORANO I LEGAMI DI SANGUE E DI SUOLO CEMENTANDO IL SENSO DEL RICORDO

Una conversazione con Massimiliano Serriello

La Memoria è fondamentale. Soprattutto quella Storica. Affinché i corsi e ricorsi storici non riguardino mai i reati commessi contro L’Umanità. Nel concetto di Umanità rientra il valore della Civiltà, della Patria, della Famiglia e della Fede. Il Ricordo è imprescindibile. Per non dimenticare. Non esistono guerre tra martiri della Champions League e martiri dell’Interregionale. I conti dei caduti portano fuori strada. Al pari delle distinzioni di comodo e delle discipline di fazione. La coscienza, cementata dall’onestà intellettuale, aliena alla palla al piede delle prese di posizione, permette di ascoltare il cuore. Al di là della sensibilità che veleggia sulla superficie. Per andare in profondità bisogna trascendere l’impressionismo soggettivo. Il numero dei caduti dello Shoa è un conto; quello delle vittime dei partigiani comunisti riguarda una parentesi isolata? Giustificabile? Chi usa le scorciatoie del cervello e sente il cuore solo quando gli tornano i conti delle impuntature ideologiche certe castronerie le andasse a dire guardandoli negli occhi, che non mentono mai a differenza dei seguaci delle banalità scintillanti della propaganda, a chi serba il Ricordo delle azioni d’infoibamento ai danni dei propri cari. Dei trasferimenti coatti. Dell’Esodo Giuliano Dalmata. Della condizione di esule indesiderato nel suo stesso Paese. Perché gli Istriani sono Italiani. Hanno scelto di esserlo sulla scorta dei veri legami di sangue e di suolo. Sarebbe interessante a quel punto ascoltare la campana degli alfieri dell’ipocrita e menzognero livellamento ugualitario, avvezzo sottobanco a portare l’acqua al mulino dell’appartenenza alla tessera di partito, in merito all’accoglienza nei confronti degli emigranti. Che affrontano viaggi impervi per venire nel Bel Paese. È stato un Bel Paese l’Italia per gli Istriani che si portavano dietro lutti, traumi e ricordi di un’efferatezza pianificata ed empia oltre ogni possibile immaginazione. Oggi è il Giorno del Ricordo. Un Giorno che volge al termine. Cosa ne resterà da qui a domani e nei giorni a venire?

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