A colloquio con Alessandro Bernardini sulla forza liberatoria della recitazione
IL CARATTERE D’AUTENTICITÀ DI UN ATTORE AFFEZIONATO AL LEGAME TRA INTERPRETAZIONE
ED ESPERIENZA DI VITA
Una conversazione con Massimiliano Serriello
Le esperienze di vita, anche quelle da detenuto di Rebibbia coinvolto nell’arte della recitazione dalla sensibile ed energica Valentina Esposito, fondatrice della factory Fort Apache Cinema Teatro, costituiscono davvero un bagaglio nodale per Alessandro Bernardini. Dietro il verso roco, un po’ alla Califano, i lineamenti vigorosi, l’aspetto da duro, destinato, in apparenza, a vestire, più ché altro, le parti delle figure di fianco, si cela, invece, un ragazzo buono, generoso, dal cuore d’oro, deciso al contempo ad acquisire sempre più padronanza della psicotecnica per animare l’universo superficiale ed esteriore dei segni di ammicco e degli ovvi colpi di gomito con la profondità della dimensione interiore. Che deriva dal cervello, dal cuore, dalle viscere.
Ed è sinonimo, pure, di libertà. Indispensabile per sopperire al gap della distanza dal mondo che, mentre i peccati sono scontati tra quattro mura sinistre, prosegue imperterrito per la propria strada. E rappresenta un’irrinunciabile ragione d’orgoglio, una volta inserito nel “mucchio selvaggio” della Settima Arte, in virtù dei risultati raggiunti. Non sulla scorta di sfide perentorie, sbandierate ai quattro venti, né di pose ed elevazioni compiaciute della voce, facile preda dell’infeconda brama dell’iperbole, bensì grazie al dono dell’indispensabile umiltà. Che lo spinge ad anteporre al vacuo frastuono degli accenti la natura sobria ed essenziale dei semitoni.