Skip to main content

Autore: Sveva Marchetti

Bottega Veneta sfida i social lanciando il suo magazine digitale

Cover del digital journal ‘Issue 01’

Essere online senza usufruire dei social network. Sembra questa la nuova mission impossibile di Bottega Veneta che, a sorpresa, ha appena lanciato il primo numero del suo magazine digitale intitolato Issue 01. La pubblicazione avrà cadenza trimestrale e sarà condivisa in concomitanza con l’arrivo delle nuove collezioni in boutique. Un’operazione coerente con la strategia controcorrente del direttore creativo Daniel Lee che, proprio ieri, ha dichiarato al The Guardian: “I social media rappresentano l’omogenizzazione della cultura. Tutti guardano lo stresso flusso di contenuti. Un enorme quantità di riflessioni viene incarnata in quello che faccio, e i social media lo semplificano eccessivamente”.

Continua a leggere

Barilla, Ferrero e Ferrari le marche più amate dagli italiani

I Punti Chiave
di Giampaolo Colletti e Fabio Grattagliano
via https://Il Sole 24 ore

===========================

Tra casa e smartphone. Le marche promosse dagli italiani con il Best Brands 2021 raccontano il tempo incerto della pandemia segnato dalla centralità dei consumi casalinghi e dal ruolo preponderante della connettività. Così la sesta edizione dell’oscar delle marche italiano, si è tutta incentrata su una rafforzata relazione tra azienda e consumatore: al termine di un anno d’osservazione particolarmente complesso GfK e Serviceplan hanno decretato le migliori realtà in un evento in live streaming dagli Studi Rai di via Mecenate a Milano condotto da Filippa Lagerbäck e seguito da centinaia di manager e imprenditori in rappresentanza di 450 aziende italiane.

Ferrero, Dash, Dyson, Amazon e Bmw sono le cinque Marche che si sono aggiudicate il titolo di Best Brands 2021 nelle rispettive categorie Best corporate brand, Best product brand, Best growth brand, Best digital life brand e, novità di quest’anno, Best sustainability brand. Ad annunciare le prime della classe 2021 Enzo Frasio di GfK e Giovanni Ghelardi di Serviceplan, che hanno portato Best brands in Italia sei anni fa, affiancati dal Presidente di Upa Lorenzo Sassoli de Bianchi, che patrocina l’iniziativa, e dai partner storici, Rai Pubblicità, 24Ore System, IgpDecaux e Adc Group.

Quelle marche del cuore

Le cinque classifiche di Best Brands 2021 integrano le analisi dei dati economici con interviste quali-quantitative a 6.500 consumatori. Così l’algoritmo coniuga dati e sentiment per arrivare ad una rosa di 300 marche. «La metodologia esclusiva di Best Brands restituisce una fotografia sempre attuale della società, dei suoi sogni e dei suoi bisogni, che mai come quest’anno hanno subito una riconfigurazione radicale. Grazie all’analisi combinata della dimensione razionale e di quella emozionale scopriremo quali sono state le marche più scelte e amate dagli italiani, quelle che sono riuscite a guadagnarsi la loro fiducia in un anno particolare come il 2020», sottolinea Enzo Frasio, Presidente di GfK Italia.

Le 10 marche corporate

Testa e cuore nel mare in tempesta. Ma per i consumatori disorientati dall’emergenza pandemica le aziende d’eccellenza restano un riferimento. Mai come negli ultimi mesi le marche sono state chiamate a prendere posizione nei confronti di temi che hanno a che fare con la società, con l’economia, con l’emergenza sanitaria e spesso anche con la politica. Una scelta che richiede sensibilità, capacità innovativa e visione e che sottendono la sostenibilità. Nella classifica corporate svettano le aziende che sono rimaste riferimento per i consumatori e che sono riuscite a comunicare la loro vicinanza. A guidare anche per il 2021 si conferma Ferrero: il colosso di Alba precede Ferrari al secondo posto. A seguire Barilla, e poi ancora Bmw, Nestlé, Pirelli, L’Oreal, Lidl, McDonald’s ed Eni.

Le 10 marche prodotto

Nella parte prodotti gli italiani riconoscono l’importanza di quelle firme che li hanno aiutati a vivere meglio, affrontando nuovi stili di vita e nuove forme di convivenza in famiglia. La terna che si colloca nella parte alta della classifica vede Dash, Coca-Cola e Mulino Bianco. A seguire Rio Mare, Nutella, Findus, Samsung, Lego, Kinder e Mutti. «Nell’anno dello “stay at home” – spiegano da GfK – gli italiani riconoscono l’importanza di quei prodotti che li hanno aiutati a vivere e sopravvivere, ad affrontare stili di vita che sono improvvisamente cambiati e nuove forme di convivenza in famiglia».

Le 10 marche che crescono di più

Lo “stay at home” caratterizza anche la categoria growth – quella dedicata alla crescita – nella quale emerge la tecnologia alleata fondamentale del consumatore connesso. In classifica al primo posto Dyson, seguita da Fairy e Lonovo. Pril, Swiffer, Aperol, Lenor, Volkswagen, Lysoform e Bonomelli chiudono il club delle marche più dinamiche.

 

Le 10 marche della vita digitale

Nella classifica digital life svetta Amazon, seguita da Samsung e Paypal. In graduatoria anche WhatsApp, Booking.com, Google, Bmw, Audi, Mercedes e Apple. «Sempre più persone – sottolineano da Best Brands – compresi i non nativi digitali, hanno sperimentato i servizi digitali nel corso dell’ultimo anno. Questo spiega anche l’ingresso di grandi marchi dell’automotive come Bmw, Audi, Mercedes: l’automobile connessa entra nella piramide dei desideri perché nella forzata clausura casalinga il sogno diventa la gita fuori porta mentre cresce l’interesse per le nuove facilitazioni digitali legate al viaggio, alla vacanza e al lavoro».

Le 10 marche della sostenibilità

C’è poi la classifica sulla sostenibilità, dove si declina al meglio il binomio sicurezza-salubrità. Si tratta di una dimensione che va oltre l’eccellente resa funzionale di prodotto e di servizio. Qui ci troviamo di fronte a marche che stanno interpretando i nuovi bisogni e le nuove necessità degli italiani, anche drammaticamente messe a fuoco nei mesi della pandemia. Best sustainability brand è Bmw. A seguire Mulino Bianco, Regina, Ermenegildo Zegna, Alce Nero, Dash, Mercedes, Lysoform, Kellogg ed Electrolux.

 

UFarmer la piattaforma per adottare ed acquistare le eccellenze del made in Italy

Un marketplace dedicato a Doc e Dop, dove è possibile scegliere il produttore, seguire la produzione e personalizzare l’acquisto

di Maria Teresa Manuelli via Il sole 24 Ore

 

Se in Italia la “Dop Economy” vale 16,9 miliardi di euro alla produzione, il 19% del fatturato del settore agroalimentare italiano (Rapporto Ismea-Qualivita 2020), tanto da entrare anche nel Vocabolario Treccani, la startup UFarmer si propone di creare un marketplace delle eccellenze italiane rappresentate dalle Dop e Doc. Uno strumento di valorizzazione dei territori, dove i prodotti non si acquistano ma si “adottano”. Tutto a portata di click per sostenere le filiere e le biodiversità agroalimentari di eccellenza trasformando i consumatori in “farmer digitali”.

Parte da Milano, ma si estende su tutto il territorio nazionale, la startup dedicata all’agroalimentare di eccellenza Made in Italy e all’economia di vicinato. «L’idea – illustra Francesco Amodeo, manager di una multinazionale delle telecomunicazioni, co-fondatore e presidente di UFarmer è nata con lo scopo di offrire ai consumatori la possibilità esclusiva di prendere parte al processo agricolo, adottando un albero di olivo, un appezzamento di vigna per poi riceverne direttamente il proprio prodotto personalizzato a casa. Un’esperienza appassionante, il cui risultato finale può essere condiviso con la famiglia o gli amici più cari, magari con un pizzico di orgoglio e vanità nel mostrare il frutto del proprio raccolto»

Con UFarmer non si acquista un prodotto, ma tramite l’adozione è possibile creare il proprio campo digitale sostenendo il territorio italiano e i produttori virtuosi che investono in termini di qualità e sostenibilità. Si può seguire la crescita delle coltivazioni, partecipare alla produzione, effettuare visite alle proprie “adozioni” e personalizzare le confezioni e le etichette diventando un vero e proprio ‘farmer digitale”

Il giro d’affari della piattaforma nel 2021 è atteso intorno ai 500 mila euro per 500 adozioni stimate, con una crescita che già nel 2022 porti a superare 1,5 milioni di euro.

Non tutte le aziende agricole possono entrare a far parte del panel di produttori proposto dalla startup. Si entra solo se si rispettano specifici criteri di qualità sull’intera filiera produttiva e se si garantisce al consumatore finale un prodotto esclusivo e personalizzabile. Luca Passini, co-founder e ceo di UFarmer, aggiunge come il marketplace UFarmer.it sia «il risultato di un’esperienza ricercata e vissuta direttamente da noi fondatori. Un percorso che ha richiesto tempo e che ha portato alla definizione del primo portale interamente studiato per aggregare produttori di eccellenza italiani e consentire il contatto diretto produttore-consumatore. Così da dare a quest’ultimo la possibilità di prendere parte all’intero processo produttivo diventandone sostenitore e vero adottante».

 

Esistono già realtà di aziende agricole che hanno sperimentato con successo la loro adottabilità, ma ad oggi, non esisteva una piattaforma che le geolocalizzasse sul territorio italiano e le raggruppasse per tipologia di prodotto. E anche dall’estero sarà più facile individuare quale filiera italiana è possibile adottare e quale prodotto personalizzato si può avere.

 

 
 

Louboutin – il mito con la suola rossa

Non sempre portabili e purtroppo fuori dalle possibilità economiche della media ma uno tra gli oggetti più desiderati da avere nel guardaroba, parliamo delle Louboutin, le scarpe dalla suola rossa.

Metà delle donne vuole una scarpa che la faccia sembrare un po’ provocante, e l’altra metà è composta da donne provocanti che vogliono una scarpa raffinata. Credo che la scarpa completi la donna, le dia quel che non possiede ancora” questa è la motivazione chiara e concisa che ne da Christian Louboutin.

L’attrice francese Léa Seydoux ha confessato che Christian Loboutin le regalò il primo paio quando aveva soli dodici anni, e ogni volta che raconta questa storia poggia ancora l’indice sulla guancia come le bambine quando pensano al loro pasticcino preferito.

Christian Louboutin aprì il suo primo negozio a Parigi nel 1992 dopo aver lavorato con Foger Vivier. Rimase incantato dalle calzature strabilianti realizzate per l’incoronazione dello scià Reza Pahlavi e dalle décolleté di diamanti di Marlene Dietrich. La sua ispirazione però viene da lontano, dalla vita notturna che lo distraeva dai suoi doveri di studente, dalle gambe delle ballerine e dai loro maliziosi sandali gioiello.

Spesso imitate, le originali hanno sempre avuto la meglio (ovviamente!). Curioso il caso dell’azienda olandese Van Haren, che nel 2012 aveva messo in commercio scarpe con tacco alto e suola rossa -chiamate 5th avenue by Halle Berry. Poco dopo è stata citata per contraffazione e la corte di giustizia europea interpellata dal tribunale dell’Aja, si è pronunciata a favore del brand francese: le suole rosso pantone 18-1663tp, nate da un esperimento di smalto per le unghie, non possono essere copiate.

Rizzoli nel 2011 ha pubblicato l’autobiografia di Louboutin in un sorprendente non-libro perchè alcune delle sue scarpe sono non-scarpe, delle vere e proprie creazioni visionare. Basti pensare alle famosissime Fetish ballet heels disegnate in collaborazione David Lynch, e costruite per tenere il piede perfettamente verticale “con queste scarpe non si può di camminare, e tanto meno correre. Si può solo stare sdraiate”.

 

 

La produzione è tutta italiana, a Vigevano, e comprende non solo modelli dal tacco vertiginoso ma anche ballerine e sneakers. Il modello più famoso rimane senza dubbio la Pigalle  Tra i modelli famosi ci sono le ballerine Sophia flat, a punta e con fiocchetto; le altissime So Kate, disegnate per il matrimonio di Kate Moss; le impossibili ballerine Ultima, indossate da Beyoncé nel video di “Green Light”; e ancora The Blake, il sandalo in vernice e stringhe laccate arcobaleno dedicato a Blake Lively. Ma il modello più famoso (ed mio avviso il più bello) senza dubbio sono le Pigalle

“Non ho intenzione di raccontare che il 12 è comodo. Non si tratta di comodità, ma di bellezza” e Jill Abramson, prima donna a dirigere il New York Times, ha reso esplicito il messaggio “Ti infili le suole rosse e non temi più nulla”.

 

 

Colomba – il dolce della tradizione pasquale e la sua storia

Abbiamo passato anni a dire che la colomba è la sorella sfigata del panettone. No signori: non è così. Madama colomba ha una storia di tutto rispetto, a partire dal volatile da cui prende il nome, molto presente nell’antichità e nelle comuni radici culturali indoeuropee. Andiamo quindi a tracciare una storia della colomba di Pasqua che si propone di spiegare la simbologia, le leggende e la verità storica a nostra disposizione.

La colomba nella mitologia

Partiamo da un dato incontrovertibile: i volatili di diverso tipo sono da sempre ritenuti in qualche modo messaggeri e divinità da varie culture del mondo. Il mondo greco prima e quello romano poi attribuivano ai volatili delle funzioni ctonie e psicopompe: significa che avevano la possibilità di comunicare con l’aldilà e di accompagnare i morti nell’Oltretomba.

L’etimologia di “colomba” risale probabilmente dal greco antico, kolimbas-a, che sarebbe una sorta di uccello acquatico; da qui, deriverebbe anche la parola comignolo, perché sogliono nidificare proprio sulle cime dei camini.

Concentriamoci ora sull’origine del mito, per forza di cose attraverso la tradizione mediorientale. Per gli antichi Assiri la colomba ha l’incarico di portare messaggi, ma per trovare più apparizioni di questo volatile è necessario pensare in particolare alle al racconto ebraico. La colomba è infatti presente sin dalle prime pagine della Bibbia: è una colomba a portare a Noè un rametto d’ulivo, a simboleggiare la fine del Diluvio Universale. Altro personaggio della Bibbia legato alla colomba è senza dubbio il profeta Giona, il cui nome nell’antico ebraico significa proprio “colomba”.

La colomba per gli Ebrei è la raffigurazione dello Spirito Santo, inteso come pensiero e non come persona fisica (come invece accade per il Cristianesimo). Appare continuamente come portatrice di messaggi di vario tipo nelle raffigurazioni sacre, compresi arazzi e codici miniati. San Paolino di Nola, nel V secolo, commissionò una Trinità sormontata da una colomba.

A questo punto è facile capire che il succitato pennuto sia portatore di notizie, perlopiù benevole; altrettanto semplice è il suo collegamento con la Pasqua, festa di Resurrezione.

Una colomba, tre leggende

Ora mettiamo da parte il campo simbolico ed addentriamoci più nella leggenda del pennuto lievitato. Come avevamo anticipato parlando di differenze tra panettone e colomba, la nostra beneamata possiede – tal quale al fratello natalizio – una serie di leggende a dire il vero… tutte molto simili tra di loro.

Tre, nello specifico, che concordano su un punto: siamo nell’epoca dei Longobardi, quindi nell’attuale Lombardia.

La prima leggenda ci dice che durante l’assedio di Pavia il re longobardo Alboino (siamo circa a metà del VI secolo d.C. ) si vide offrire un pane dolce a forma di colomba, come richiesta di tregua e pace.

La terza versione si riferisce alla Battaglia di Legnano, (1176), con la vittoria dei Comuni lombardi contro l’invasore Federico Barbarossa. Si narra che furono viste delle colombe bianche posarsi sopra le insegne dei lombardi; il condottiero che le vide diede ordine di preparare pani a forma di colomba per infondere coraggio ai suoi cavalieri.

Sembra abbastanza chiaro che la diffusione di pani pasquali – probabilmente coevi o addirittura discendenti del panettone – era una cosa abbastanza comune. In particolare nel Nord Italia, ma non mancavano versioni di dolci pasquali diffuse in tutta la penisola.

La verità storica della colomba

Così come è stato per il panettone, la fuoriuscita dai confini lombardi la si deve alla produzione su larga scala di questo bene, che avvenne per opera dell’azienda Motta; in particolare, dobbiamo l’invenzione vera e propria della colomba “industriale” ad un pubblicitario noto, Dino Villani. Difficile definire chi fosse Dino Villani: pubblicitario, artista, pittore, incisore, critico d’arte. Fu tra i primi ad utilizzare tecniche integrate di comunicazione, con risultati palesemente efficaci e che perdurano ancora oggi.

Era già riuscito nell’opera di diffondere il panettone a livello nazionale, proponendo di premiare i vincitori del Giro d’Italia con un lievitato da ben dodici chili. L’evento sportivo era seguitissimo, imperdibile per tutti gli italiani: anno dopo anno, dal 1934, sortì l’effetto desiderato. L’azienda di Angelo Mottaprese il dominio della scena nazionale del panettone.

Per quanto riguarda la colomba, Dino Villani fece una semplice ma efficace pensata: riutilizzare i macchinari e molti tra gli ingredienti già utilizzati per i panettoni natalizi per produrre fino alla fine della Pasqua.

Di fatto l’eclettico Villano aveva applicato quello che oggi è un concetto del marketing comune nell’industria alimentare: la line extension, ovvero l’ampliamento della linea di prodotto volto a coprire più fasce di mercato possibili, estendendo letteralmente il ventaglio dell’offerta a fronte di una domanda variabile, anche in base alla stagione.

Alla Motta subentrò, in un secondo momento (a partire dal 1944), la Vergani, azienda produttrice di colombe ancora oggi salda sul mercato dei lievitati da supermercato, nella fascia medio-alta.

 

Caffè espresso il prossimo candidato Unesco

Continua a leggere