Anche quest’anno al Fashion Film Festival è stata presentata una ricca selezione di film, con quasi 200 opere pervenute da 60 Paesi in tutto il mondo. Linguaggi diversi ed eterogenei per narrazioni che hanno spaziato dal documentario alla fiction, dalla denuncia sociale alla sperimentazione artistica. Su tutti ha trionfato Le Mythe Dior di Matteo Garrone.
La centralità del racconto è l’importanza della femminilità e della natura che, come spiega Maria Grazia Chiuri a Vogue, sono la vera anima di questa collezione iniziata durante il lockdown “già sapevamo di non poter fare un reale show e mi è stato immediatamente chiaro che il mio referente doveva essere legato al sogno, al fantastico, e quindi uno dei miei film, e dei miei registi preferiti, in questo senso è Matteo Garrone con Il racconto dei racconti, il cui immaginario così sognante, si lega perfettamente alla storia di Dior.
Il corto inizia soffermandosi sull’operosità delle sarte intente a realizzare capi in miniatura destinati a clienti speciali. Protagoniste, infatti, sono le creature dei boschi, ninfe, elfi e fauni; ad un certo punto la loro quotidianità viene interrotta dall’arrivo di un baule che riproduce le sembianze della storica sede parigina. Con curiosità tutta le creature si avvicinano al baule ammirandone gli abiti e prendendoli per sé.
Un cortometraggio che trasforma la moda in sogno, magia e favola, una narrazione bucolica e che racchiude visioni oniriche ed una sperimentazione surrealista che Garrone sa esprimere in modo eccelso.
A causa dell’emergenza sanitaria è impellente la necessità di trovare nuove vie per rappresentare la moda, e questo che fino a poco fa sembrava un limite insormontabile con il blocco delle sfilate e dei servizi fotografici, si rivela, oggi, un’opportunità da cogliere per abbandonare vecchi schemi stereotipati e ridisegnare il panorama globale del mondo della moda. Così afferma anche Constanza Etro, direttrice ed ideatrice del festival “Le difficoltà del periodo che stiamo vivendo ci hanno portato a dover organizzare l’edizione 2021 di Fashion Film Festival Milano con un format interamente digitale, per quanto sembri singolare, è stata per noi un’irripetibile occasione di rimetterci in gioco e di sperimentarci con la resilienza. Il risultato? Abbiamo reso democratico un Festival di grande prestigio ma che, come la moda, che è il territorio culturale di riferimento, talvolta è rimasto vittima di un certo elitarismo”.
“Per questa collezione volevo veramente trasmettere un nuovo senso di sensualità. L’attitudine generale è meno innocente e delicata, più consapevole e sicura di sé. Invece di lavorare su uno storytelling, ci siamo focalizzati sulla creazione di capi audaci, dallo stile distintivo e con un evidente senso di personalizzazione. Questa idea di unicità e forte personalità penso che sia stata meravigliosamente interpretata negli scatti di Margherita Tamraz, che ha colto l’essenza della collezione con immediatezza e autenticità“.
Così il direttore creativo di Red Valentino (e di Valentino) Pierpaolo Piccioli, presenta la nuova collezione prefall 2021. Un nuovo nuovo romanticismo che oscilla tra lo stile classico e lo street style, tutto presentato in un video girato in un palazzo rinascimentale dove archi e colonnati facevano da sfondo alle modelle con indosso i preziosi abiti.
Anche Cucinelli ha scelto di presentare la sua nuova collezione in digitale tramite video sui suoi canali social, mentre Chanel ha annunciato che la prossima sfilata della collezione Cruise 2021/22 si terrà il 4 maggio, alle Carrières de Lumières a Les Baux-de-Provence, nel sud della Francia.
Le cave di calcare che si trovano in questo villaggio hanno fatto da sfondo al film del 1960 Testamento di Orfeo, diretto da Jean Cocteau, amico di Gabrielle Chanel, e negli ultimi anni questo sito è ha iniziato ad ospitare spettacoli multimediali di luci e suoni.
La collezione Cruise è sempre stata legata alla storia della maison, riproponendo i luoghi ed i simboli delle sue collezioni passate e delle sue vicende di vita privata, come palcoscenico per le sfilate. Anche in questa occasione abbiamo un rimando alla storia, quando Gabrielle Chanel propose alle sue clienti abiti leggeri, perfetti per le vacanze al sole in costa Azzurra, incoraggiandole anche ad abbronzarsi
Dopo la scomparsa di Fiamma Lanzara lo scorso novembre, l’Accademia Costume & Moda ha un nuovo presidente. A subentrarle nel ruolo è il figlio, Lupo Lanzara, nominato all’unanimità dal CdA dell’Accademia stessa.
Una decisione nel segno della continuità come sottolineano nella nota del comunicato stampa “La nomina di Lupo Lanzara appare come la scelta più consona, in grado di assicurare una profonda stabilità e garantire una continuità alla strada innovativa e vincente, già intrapresa da quando, nel 2010, è entrato in Accademia, prima in qualità di Direttore Generale e successivamente come Vice Presidente. Una visione e un approccio manageriale e culturale che condivide e porta avanti insieme a suo fratello, Furio Francini, Amministratore Delegato di ACM”.
L’Accademia infatti è stata fondata nel 1964 da Rosana Pistolese, madre di Fiamma Lanzara e nonna di Lupo. Una tradizione familiare che negli anni si è affermata come una delle eccellenze nel campo della formazione a livello internazionale, inaugurando lo scorso anno anche un nuovo polo formativo a Milano.
“Sento questo incarico essere un privilegio e un onore e sono grato della fiducia accordatami”, ha commentato Lupo Lanzara. “(…) Il mio impegno rimarrà come sempre lo studente, la sua centralità e i nostri docenti e i partner industriali, senza i quali non potrei garantire un’esperienza formativa ed educativa che possa affrontare le nuove sfide imposte dalla contemporaneità, nel rispetto dell’heritage culturale lasciatoci e della chiara identità dell’Accademia ”.
Arte sul piatto e cucina da incorniciare – i capolavori della storia dell’arte diventano piatti da gustare.
Arte e cibo rappresentano un connubio perfetto e per questo la Galleria degli Uffizi si mette in gioco con un nuovo format video.
Uffizi da mangiare, ogni settimana su Facebook a partire dal 17 gennaio, vedrà come protagonisti non solo le opere d’arte ma anche chef e personaggi del mondo enogastronomico che daranno vita ad un vero e proprio spettacolo artistico. Saranno infatti realizzati piatti particolari che interpreteranno le famose opere e i dipinti delle collezioni degli Uffizi.
“Il nostro intento è quello di creare un legame ancora più stretto con le opere del museo, inserendole in un contesto attuale e vitale – spiega il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt– “Il cibo dipinto e quello cucinato si incontrano così su un piano di verità che stimola l’attenzione dell’osservatore e porta alla ribalta i significati profondi e inaspettati nascosti nelle scene e nelle nature morte create dai pittori“.
In ogni puntata ci sarà un noto cuoco che sceglierà un’opera dalle collezioni e, ispirandosi agli ingredienti raffigurati nel dipinto, proporrà una sua ricetta, sviluppandola durante il video.
Tra gli artisti protagonisti ci saranno Fabio Picchi del Cibrèo di Firenze che si confronterà con il Ragazzo con pescedi Giacomo Ceruti; Dario Cecchini, macellaio e ristoratore di Panzano in Chianti, che “servirà” la sua versione della Dispensa conbotte, selvaggina, carni e vasellame di Jacopo Chimenti detto L’Empoli; la chef stellata Valeria Piccini, del ristorante Da Caino a Montemerano (Grosseto) che proporrà una sua ricetta da una ‘Natura morta’ sempre dell’Empoli, e il suo collega, sempre stellato, Marco Stabile, de L’ora d’Aria a Firenze, che “sfiderà” i ‘Peperoni e uva’ di Giorgio De Chirico.
Tra le altre opere, fonte di ispirazioni culinarie, non mancherannoCaravaggio, Felice Casorati e Giovanna Garzoni.
Anche se Natale è appena passato riporto questo splendido articolo letto su Freeda che tratta di uno dei film natalizi di maggior successo, tra l’altro anche uno dei miei preferiti!
I feel it in my fingers I feel it in my toes CHRISTMAS is all around me…
Chi ha colto la citazione, già ridacchia, ci scommetto. Per chi non ha ancora afferrato, vado subito al sodo. Ognuno ha i suoi must natalizi: per la sottoscritta, se c’è un film che andrebbe rivisto ogni anno in occasione delle Feste, quello è Love Actually.
Ricordo ancora quando uscì nelle sale, nel lontano 2003. Alla fine dei 135 minuti mi faceva male la faccia per aver troppo riso. Il che è tutto dire, visto che Love Actually appartiene a un genere di rarissima riuscita – oltre che di ancor più rara produzione -, ossia quello dei film corali: e i film corali, si sa, spesso non riescono a sostenere il ritmo fino alla fine – vedi ad esempio Cloud Atlas delle sorelle Wachowski. Bé, non Love Actually.
I pregi della commedia, scritta e diretta da Richard Curtis – sceneggiatore di Quattro matrimoni e un funerale, I love Radio Rock e dei primi due film di Bridget Jones – sono moltissimi: primo fra tutti quello di fondere il meglio del piccante e graffiante sense of humor britannico con l’ironia trash demenziale statunitense. Eppure, non è solo questo che innamora: il film costruisce un modello nuovo di romanticismo agrodolce per niente scontato, in cui episodi ai limiti dell’incredibile si incrociano con storie di vita quotidiana, vicine a quelle degli spettatori, per colpire dritto cuore – e al fegato, la cistifellea e a tutti gli organi interni. Risultato? A ogni visione, oltre che a ridere a crepapelle, ti ritrovi a piangere a getto come un rubinetto aperto, e sempre per un particolare diverso. Se ancora non lo avete mai visto, proverò a incuriosirvi fornendovi degli ottimi motivi per rifarvi durante queste vacanze.
Innanzitutto, per il personaggio di Billy Mack, l’adorabile e depravata leggenda del rock interpretata magistralmente da Bill Nighy – la performance infatti gli è valsa molte nomination. È lui che incide l’orrenda cover natalizia citata nell’incipit dell’articolo: praticamente Love is all around di The Troggs para para, ma con la parola “Christmas” al posto di “love”. Mack è un mito caduto in disgrazia, e inizialmente sembra solo un vecchio debosciato che non sa comportarsi in modo civile. Fin da subito infatti dichiara apertamente il suo disprezzo per l’operazione commerciale a cui si sta prestando: quella non è vera musica, è spazzatura fatta per fare soldi. Chiamato a promuovere il singolo, lo ripete a tutti, giornalisti, speaker radiofonici, conduttori televisivi…e ogni volta che apre bocca tu, imbarazzato per la sua onestà dissacrante e senza freni, ti ritrovi con le mani nei capelli come il suo manager storico, Joe. Eppure c’è del metodo nella sua follia. Infatti, alla notizia che la sua orribile cover sta scalando le classifiche, Mack sfida pubblicamente i Blue, la boy band inglese, per il raggiungimento del primo posto; mano mano il rocker si rivela in tutta la sua furbizia ed esperienza: lui è un vecchio volpone, e anche se non è più di moda sa ancora come piacere al suo pubblico, come una specie di uno sciamano della goliardia. È così spinto, spontaneo, politicamente scorretto da conquistare tutti gli spettatori – quelli fittizzi come noi, quelli reali.La sua linea narrativa controbilancia i momenti sdolcinati con gag triviali molto catartiche, e senza di lui – non c’è dubbio – il film non funzionerebbe.
Poi, per il cast stellare: perché, tra interpreti principali e cammei, Love Actually è pieno zeppo di star.Gli immancabili Hugh Grant e Colin Firth – non so voi, ma per me ormai sono come due zii acquisiti, se non li vedo una volta l’anno mi mancano; e comunque, Brexit o no, se domani, come nel film, facessero Primo Ministro Grant io mi trasferirei a Londra seduta stante – e lo stesso Tony Blair, cui il personaggio è vagamente ispirato, ha voluto citare il discorso alla nazione che Grant fa a un certo punto. Poi Emma Thompson e il caro, geniale Alan Rickman – per chi non ne riconosca i nomi, hanno interpretato rispettivamente Sibilla Cooman e Severus Piton nella saga cinematografica di Harry Potter – due giganti della recitazione in due ruoli insoliti per le loro carriere. E ancora, Rowan Atkinson, ovvero Mr Bean; e Liam Neeson, Keira Nightley, Laura Linney, Claudia Schiffer, l’enfant prodige Thomas Brodue-Sangster, Martin Freeman, Christopher Marshall, Billy Bob Thornton… Praticamente passi la metà del film a esclamare eccitato: “Oh mamma c’è pure lui… Hai visto chi è? Lo hai riconosciuto? Ma questo è Coso, dai, quello bravissimo che ha fatto quel film…”.
Poi, per le musiche: tra rifacimenti, hit del momento e brani originali, la colonna sonora di Craig Armstrong è la playlist perfetta per le vostre vacanze di Natale. Romantica, nostalgica, ma fresca al punto giusto – a mio parere, i 15 anni trascorsi non si sentono affatto. Inoltre, i testi delle canzoni non sono mai casuali: quella di Armstrong è una vera e propria operazione di sceneggiatura musicale, in cui la canzone arriva a dar voce ai pensieri del personaggio o a evidenziare l’atmosfera di una scena.
Quindi, per le storie d’amore, che in realtà sono il vero tesoro della pellicola. Love Actually si compone di 12 minitrame – all’inizio erano addirittura 14, ma due sono state tagliate in corso d’opera – che trattano non solo il sentimento romantico, ma anche familiare e amicale. Sono davvero tante e tutte diverse, ognuna dolce e amara insieme. Le più tragiche e strappacuore infatti, come quella di Liam Neeson che ha perso la moglie, o quella di Emma Thompson che scopre di essere stata tradita, hanno risvolti brillanti; viceversa, le più divertenti e leggere, come quella Chris Marshall che va negli USA convinto di poter finalmente rimorchiare, o quella di Martin Freeman che, in un set cinematografico, si innamora di una donna con la quale fa da controfigura per le scene di sesso delle star, rivelano un punto di vista più profondo. Non ci sono protagonisti, ma è la giustapposizione degli episodi, tutte legati gli uni agli altri in un’unico grande intreccio complessivo, a generare senso. Ciò che ho scritto prima in realtà non vale solo per il mitico Billy Mack: nessuna storia funzionerebbe senza le altre, e soprattutto non emergerebbe l’atmosfera di comunione collettiva del film, fondamentale per instillare lo spirito natalizio.Love Actually è un film “di squadra”, in cui il vero traino sono le relazioni umane.
Infine, per il messaggio contenuto nella cornice narrativa e nel titolo. Il film infatti ha un prologo e un epilogo particolari, in cui una voce fuori campo commenta un montaggio di riprese vere, “rubate” cioè da una telecamera nascosta in aeroporto, capaci di sciogliere il più duro dei cuori. Il film inizia infatti con queste parole:
Ogni volta che sono depresso per come vanno le cose al mondo, penso all’area degli arrivi dell’aeroporto di Heathrow. È opinione generale che ormai viviamo in un mondo fatto di odio e avidità, ma io non sono d’accordo. Per me l’amore è dappertutto. Spesso non è particolarmente nobile o degno di nota, ma comunque c’è: padri e figli, madri e figlie, mariti e mogli, fidanzati, fidanzate, amici. Quando sono state colpite le Torri Gemelle, per quanto ne so nessuna delle persone che stavano per morire ha telefonato per parlare di odio o vendetta, erano tutti messaggi d’amore. Io ho la strana sensazione che – se lo cerchi – l’amore davvero è dappertutto.
Love Actually Is Everywhere, L’Amore Davvero è Dappertutto: anche nei rapporti più indefinibili, anche nelle storie concluse con amarezza. Questo messaggio era nel 2003 ed è oggi un faro da seguire. Dobbiamo allenarci a vedere l’Amore anche nei momenti più duri, nei luoghi più ostili. Perché, come dice la hit, l’amore è intorno a noi, anzi: siamo noi ad averlo negli occhi mentre lo cerchiamo. E uno sguardo amorevole è capace di miracoli impensabili.