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Bruxelles contro Roma La metafora di un impero polivalente, leggero e globalizzato

AL DI LA’ DEI “DISTINGUO” E DELLE CHIACCHIERE, 
UNA POSSIBILE ED ATTUALE SOLUZIONE

   una provocatoria analisi di Raffaele Panico 

Globalizzazione è un termine immorale e sconveniente per l’uso immenso e spregiudicato che ne è stato fatto. Quando al termine globalizzazione affianchiamo il termine mondializzazione è come se aggiungessimo subito l’idea di Impero. E, ancor oggi, è l’Impero Romano che si accorda sin da subito per modello imperiale imperituro. Un impero durato mille anni ma che continua sino ad oggi.

Lo Stato moderno nasce in Europa occidentale nei decenni, all’incirca, della Caduta di Costantinopoli, tra il Quattrocento e il Cinquecento, per l’esigenza di assicurare ai suoi sudditi (poi cittadini) la sicurezza e si forma attraverso una ben visibile e potente macchina da guerra. Del resto tutti i popoli hanno una visione geopolitica, portano e lottano per i propri valori, hanno un’idea del proprio destino anche proposta dall’alto ai propri cittadini per realizzare tali disegni.
Nell’attuale contesto di globalizzazione ora in pieno declino, il venir meno delle proprie particolari identità nelle società occidentali cosiddette democratiche ha aumentato la richiesta di sicurezza dei cittadini. E questo crinale può determinare una divisione di sensibilità come è avvenuto nella divisione dell’impero romano tra Occidente, Roma, e Oriente, Costantinopoli.
Oggi, tra il melting pot americano e le varie patrie europee si sono determinate divisioni di sensibilità, non tanto tra Washington e Roma, piuttosto per il modello, California, della città di New York e la Roma del papato. Roma si posiziona così arretrata e male amministrata, in prima fila negativa tra le capitali del blocco dell’Unione europea, quindi non perché capitale d’Italia, ma in quanto sede da sempre di una dimensione storica ancora perpetua, oramai senza più neanche il Primato di Pietro, ma solo una voce universalista, quasi un anelito kantiano della pace perpetua, dell’accoglienza continua… Ma chi paga?

Roma è divisa allora, in quanto capitale tanto di una nazione, quanto per essere anche sede del Vaticano e per essere dai tempi delle guerre puniche termine di confronto, scontro e incontro di tentativi reiterati di globalismo e globalizzazione allora portata dai cosiddetti barbari. In fondo anche Gengis Khan voleva globalizzare il mondo intero.  

L’inglese Gibbon si interrogò sul declino e la caduta dell’impero romano e ha osservato due cause. Perché ha voluto estendersi troppo e raggiungere gli estremi confini, ma anche per la diffusione del cristianesimo. Storici successivi vedono la caduta dell’impero o meglio l’inizio del declino quando impiega al massimo la sua forza militare, avviando così un rendimento di forza decrescente della potenza applicata e non solo deterrente, anche dopo la vittoria su tutti i suoi nemici. Una sorta di punto di saturazione per cui l’equilibrio si mantiene col massimo della potenza militare dispiegata, mostrata ma non impiegata mantenendo l’ordine con i mezzi della politica e della diplomazia.
Oggi sembra anacronistico discutere di Impero. Si pensa solo attorno all’ idea di mercato. E cosa o come si difende il mercato? Si difende forse e si rilancia l’agricoltura italiana con i marchi Dop e Igp? E decisi dove?
Queste sigle prese ad esempio, come tante altre, nel loro insieme, il marchio, la tipicità, difendono anche la sensibilità dei cittadini che vogliono, e devono, sentirsi difesi dalle proprie Istituzioni dalla globalizzazione inopportuna e senza regole? In minima parte si – ma non ci basta.
Era forse anche necessaria questa globalizzazione, questo Ventennio circa, ma il rispetto del locale, dell’individuo, dei popoli e delle nazioni, delle patrie deve essere questo l’insieme di un fattore primario. Non si può essere omologati e massificati. Da chi ora? Da Bruxelles contro Roma… I signori globalisti, Commissari dei popoli, i quali hanno ritenuto di aver sintetizzato il globale con il locale, hanno prodotto nient’altro che una sintesi hegeliana che, come tutte le sintesi hegeliane mostra di essere un’analisi forzata, essendo in essa sempre mortificato l’individuale o il particolare, il locale con le sue irripetibili caratteristiche. Siamo Uomini e Donne, non individui intercambiabili, da un continente all’altro, come container di agrumi importanti in Sicilia dall’Argentina. E che costi si hanno in termini di emissioni di CO2 voce continua che ci turba il nostro vivere? E la qualità di questi agrumi che giungono dalla “fine del Mondo”? Sono trattati con cose chimiche…?