Skip to main content

Caso Numero 17 – della Compagnia Teatrale “Ad_Atti_Primi”

Pagina 1 di 2

L’unico Fantasma al quale bisogna credere è il Passato

Non si scioglierà, in questa pagina, l’enigma della presente breve opera teatrale, recitata dal 5 al 7 maggio al Teatro Hamlet di Roma, ricca di movimento e dal messaggio multiforme ed intrigante: come guarire dalle proprie mende e come tener presente che la verità salta sempre fuori.

 Un poco “ghost story” ed un poco sui passi della grande tradizione teatrale, soprattutto nell’impeccabile recitazione degli attori sicuramente sulla soglia dalla piena notorietà, l’opera teatrale rappresentata dalla compagnia AdAttiPrimi diverte ed insieme porta ad un confronto personale. Diverte perchè la drammaturgia di essa, scritta dalla regista Michaela LucreziaSquiccimarro, ha quel modo leggero di far trasparire, dal tessuto narrativo che a guardar bene è assolutamente drammatico, una sana ironia da un gioco di situazioni e dialoghi che nasconde penosi contrasti e dolori. Ma evidenzia anche e senza pietà le abiezioni dell’invidia e della gelosia, dalle quali tutti sono macchiati, che spesso sfociano in tragedia.

L’autrice è da tempo regista ed ha di ottimo la spinta alla ricerca anche tramite i particolari, che costituiscono veri e propri passaggi di metodo per lasciarsi illuminare dai significati che dunque non vengono imposti, non aggrediscono, ma appaiono, come fantasmi che rivelano la verità, alla coscienza dello spettatore che non può evitarli, portandolo a chiedersi ragione ed a specchiarsi in essi. L’apparente trascuraggine del protagonista principale (Alessandro Castiglia) è terreno di sviluppo per esprimere , a contrasto, il suo acume e la sua intelligenza, che non è capita – e qui l’ironia – dalla psicoterapeuta, (Ada M.Braccioli) materna, preparata, ma bloccata negli standard scientifici. L’amico non è amico (Angelo Rizzo), l’aspra arroganza dell’operaia teatrale (Rachele di Cicco) nasconde un senso di colpa rovinoso, il fantasma (Evelina Tudisco) conduce abilmente tutti i personaggi a sciogliere il suo enigma, più di una persona in carne ed ossa: tutti i protagonisti sono, e sono anche l’ombra loro, il loro opposto celato, che alla fine si rivela.

Così come per la scena, che non ha un punto centrale di riferimento, ma due, sia in senso locale, sia in senso spirituale: il medico a destra, il paziente a sinistra, si parlano e parlano con se stessi, si esprime la causa del dramma che non si intuisce altro che dietro un velo, come Maia. Un’ abilissima potenza di arte teatrale e di regia, che evidenzia le persone qua e là illuminate da pochi ed essenziali oggetti, come frasi sostenute da musiche di fondo. Allo stesso modo, e con una lingua elitaria, le domande, le risposte, gli scatti, i momenti di stasi. Ci si augura seriamente che regista e Compagnia proseguano la loro salita e la loro presenza per noi, nel campo di un’arte che è sicuramente vera.

Marilù Giannone