Catasto, umiliato il Parlamento – di Riccardo Pedrizzi
Facciamo la storia di come si è arrivati a confermare l’articolo 6 (quello sul Catasto per intenderci) della delega sulla Riforma fiscale presentata dal Governo alla Camera dei Deputati.
In data 11/11/2020 viene varata l’indagine conoscitiva sulla riforma dell’“Imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema fiscale”.
Nel gennaio iniziano le audizioni di soggetti tra rappresentanti delle istituzioni, delle Associazioni e di numerosi esperti.
Tra essi la Banca d’Italia che con fermezza sostenne che “l’assenza di tasse sulla prima casa è una anomalia tutta italiana”, allineandosi alle richieste di Bruxelles, cosi come fece la Corte dei Conti con il suo presidente Guido Carlino che sparò “ad alzo zero” contro il patrimonio immobiliare dell”85% dei cittadini italiani che possiede un’abitazione.
Su tutte le audizioni aleggiavano le “Country Recommendations” della Commissione europea all’Italia, che richiedeva la riforma del Catasto ed incombeva la minaccia del Recovery Plan di non erogare risorse qualora non venisse varata “la riforma dei valori catastali non aggiornati” e non venisse effettuata “la revisione delle agevolazioni fiscali”.
Nel frattempo nell’estate scorsa il Ministro dell’Economia, Daniele Franco, diramava a tutte le strutture amministrative dello Stato “L’atto d’indirizzo 2022-2024”, con il quale poneva l’obiettivo di mettere in campo strumenti, procedure che consentano alle Agenzie fiscali di “adattarsi alle esigenze dei cittadini”.
Questa modernizzazione dei dati riguarderà anche e sopratutto la mappatura degli immobili e rappresentava il primo passo per la riforma del Catasto indicata nella delega fiscale all’esame della Camera dei Deputati. Il completamento di questi meccanismi sui beni immobiliari, “compresa la rappresentazione cartografica”, sarà accompagnata dall’istituzione dell’Anagrafe dei titolari. Una nuova banca dati, dunque, che il Fisco potrà utilizzare a fini tributari e allo stesso tempo potrà mettere a disposizione per le attività connesse degli enti locali.
Nonostante tutte queste “pressioni”, le Commissioni Finanze riunite votarono nel giugno del 2021 pressoché all’unanimità il documento, senza alcun riferimento alla riforma del Catasto, che avrebbe dovuto rappresentare la base della legge delega che poi ha presentato il governo. Ma cosi non è stato perché l’Esecutivo ha inserito l’Art. 6 (la riforma del Catasto) andando chiaramente oltre la delega ed i paletti fissati dal Parlamento. In effetti, in quella votazione non si faceva alcun riferimento e nemmeno un cenno, come era stato previsto invece all’inizio della relazione del testo, alla “riforma dei valori catastali non aggiornati” ed “alla revisione delle agevolazioni fiscali”, “come invece aveva richiesto la Commissione Europea con le “Country Recommendations” recepite poi dal Recovery Plan.
I parlamentari delle due commissioni, dunque, ritennero non fosse praticabile attualmente una riforma che, di fatto, si sarebbe tramutata in una ennesima, nuova tassa patrimoniale.
La politica, quella seria, si riappropriava così della propria autonomia e della propria capacità di giudizio non solo nei confronti dell’Europa, che continua ad insistere nel voler tassare anche la prima casa, ma anche nei confronti della cosiddetta tecnocrazia.
I parlamentari dimostrarono di essere consapevoli che sugli immobili ci sono già una quantità di tasse e che il contribuente italiano è già gravato da una miriade di patrimoniali palesi e nascoste.
Nel vigente ordinamento infatti convivono imposte tipicamente patrimoniali e tributi cosiddetti pseudo patrimoniali. Nella prima categoria rientra l’Imu che colpisce il solo patrimonio immobiliare ed al lordo delle passività gravanti sugli immobili. Un fabbricato – ad esempio – il cui valore è totalmente assorbito da un mutuo sconta l’imposta nella stessa misura di un immobile libero da passività. Cioè si paga una tassa su un debito.
Patrimoniale complementare all’Imu è l’Ivie: l’imposta sugli immobili detenuti all’estero.
Tra le patrimoniali nascoste c’è l’imposta sulle successioni e donazioni che assoggetta a tassazione gli “arricchimenti senza causa” in quanto conseguiti a titolo gratuito.
Poi ci sono le imposte sui trasferimenti: quelle ipotecarie e catastali, giustificate come tributi a fronte del servizio pubblico di iscrizione e trascrizione ma, essendo commisurate in percentuale al valore dell’immobile (senza tetto in valore assoluto), di fatto sono delle vere e proprie patrimoniali.
Dunque esistono numerose imposte (registro, ipotecarie e catastali, bollo, Imu) che colpiscono in vario modo la capacità contributiva riconducibile al patrimonio mobiliare o immobiliare.
L’ultima riforma del catasto è datata 1990, tra il 1996 e il 1997 le rendite catastali sono state alzate del 5%. A partire dal 2005, i Comuni possono chiedere all’Agenzia il “riclassamento” di singoli immobili o di intere aree. Poi nel 2012 arrivò la mazzata dell’Imu con il governo Monti che ci costa oltre 22 miliardi.
Non va dimenticato inoltre che nel 2020 la pressione fiscale è cresciuta in Italia ulteriormente dello 0,7%, arrivando al 43 contro una media Ocse del 34%. E se il calcolo viene fatto rapportato solo al gettito dei redditi di coloro che pagano tasse ed imposte, la pressione tributaria italiana supera il 48%.
Del resto la riforma del Catasto – come si ricorderà – era un progetto già definito che fu bloccato cinque anni fa dal premier, Matteo Renzi, sapendo e prevedendo che sarebbe stata impopolare.
Si disse allora, che avrebbe dovuto essere una riforma “a invarianza di gettito” quella che riguardava il Catasto con la revisione dei valori delle case e delle tasse che su di esse gravano. In effetti, però, sarebbe pressoché impossibile non aumentare la tassazione. Proprio per questo i commissari delle due Commissioni Finanze non hanno nemmeno citata questa riforma.
Da noi le imposte sul patrimonio immobiliare oggi pesano l’1,5% del Pil, mentre negli altri Paesi Ue per l’l,4%.
Il nostro è perciò il Paese a maggiore tassazione a livello mondiale.
Del resto Mario Draghi, proprio in vista di questa riforma fiscale aveva messo dei chiari paletti: a) il sistema fiscale rimarrà “progressivo”; b) non modificare le imposte una alla volta; c) fare presto e presentare un disegno di legge delega che terrà conto del lavoro e delle conclusioni delle Commissioni Finanze di Camera e Senato; d) in questo momento di difficoltà si erogano fondi e non si sottraggono risorse agli italiani.
Ma forse negli ultimi tempi l’appartenenza ai circoli finanziari di cui fa parte e le “logiche europeiste” hanno determinato il nostro premier a rimangiarsi le sue vecchie promesse ed, addirittura, minacciare le dimissioni nel caso la riforma non passasse cosi come uscita dai suoi uffici.
Riccardo Pedrizzi