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COME COMINCIA UNA GUERRA MONDIALE

Quando si incomincia a parlare di guerra con superficialità da salotto, sottostimando il pericolo incombente di perdita di vite umane, di beni, di libertà, sovrastimando le proprie capacità militari, e ignorando il possibile coinvolgimento “obtorto collo” di altri popoli originariamente estranei alla contesa, l’accettazione dello scontro incomincia a penetrare piano piano nella testa delle persone, che vi si abituano, come se fosse una tappa inevitabile della storia.

Più di un secolo fa, in piena “belle époque” di pace, di prosperità, di fermento industriale, artistico, culturale, di continue scoperte e invenzioni tecnologiche, bastò un attentato terroristico per far precipitare il mondo nel buco nero della barbarie.

Come un macabro dòmino, le nazioni  cosiddette civili, una alla volta, furono coinvolte in una spaventosa carneficina chiamata “grande guerra” poi denominata “prima guerra mondiale”.

Correva l’anno 1914 e a Vienna regnava da 66 anni il vecchio imperatore Francesco Giuseppe. Il suo principe ereditario, l’arciduca Ferdinando fu assassinato a Sarajevo. Il governo austriaco addossando l’attentato ad agenti emissari della Serbia, reagì immediatamente in modo viscerale, mentre gli ambienti politici, i circoli culturali, la stampa, il mondo finanziario e quello industriale non immaginavano quale sarebbe stato lo sviluppo e il prezzo di quell’evento.

Da una parte c’era il patto difensivo della Triplice Alleanza tra Austria-Ungheria, Germania e Italia, dall’altra la Triplice Intesa con lo stesso scopo costituita da Francia, Inghilterra e Russia.

La decisione del governo austriaco, presa da un gruppo ristrettissimo di persone, senza tener conto dei sacrifici che sarebbero stati imposti al proprio popolo né del peso delle alleanze internazionali contrariee, si concretizzò nell’invio di  un ultimatum che conteneva la richiesta di partecipazione diretta dei servizi di polizia austriaci alle indagini per arrestare e giudicare gli attentatori serbi.

La Serbia, ritenendosi al riparo da ritorsioni, perché contava sulla protezione della Russia, respinse l’ultimatum, giudicandolo  una diretta ingerenza negli affari interni.

Senza ulteriori contatti diplomatici, scaduto l’ultimatum, l’Austria dichiarò guerra alla Serbia, che chiese aiuto alla Russia dello zar Nicola.

Anche l’Austria contava su un alleato potentissimo la Germania del kaiser Guglielmo. Lo zar (che era suo cugino) gli scrisse scongiurandolo di non intervenire, ma l’imperatore tedesco, conscio di possedere il più forte esercito d’Europa, rispose che aveva già aderito alla richiesta di aiuto austriaca e che la guerra sarebbe durata solo qualche mese, ripetendo la stessa assicurazione che  lui stesso aveva dato ai suoi soldati in partenza per il fronte.

Previsione fallace, fatta contando esclusivamente sulle proprie forze senza considerare la consistenza di quelle nemiche.

La Francia da parte sua onorò il patto di mutuo  aiuto con la Russia e si schierò a fianco della Serbia. La stessa cosa fece l’Inghilterra.  L’Italia, dopo un anno di astensione dalla guerra, avendo individuato nella lotta all’Austria la possibilità del recupero di Trento e Trieste, cambiò alleanza e si schierò del tutto impreparata contro l’esercito austro-tedesco.

Il fatto poi che la Russia, colpita dalla rivoluzione sovietica, si sganciò dal conflitto, non mutò le sorti della guerra considerato il decisivo intervento degli Stati Uniti d’America accorsi in aiuto dell’ Inghilterra e dei suoi alleati. Fu così che il conflitto da europeo si trasformò in guerra mondiale aprendo una pagina nuova nelle relazioni militari tra potenze opposte.

Dopo appena venti anni da quella carneficina le stesse nazioni non seppero fare tesoro dell’esperienza e ripeterono l’errore di valutazione macchiandosi della responsabilità di milioni di morti del tutto innocenti.

Nel 1938 la Germania nazista, spinta dal desiderio di rivalsa per l’umiliazione del 1918, procedette all’annessione dell’Austria, con l’intento della ricreazione del grande reich.

La reazione delle cancellerie europee fu abbastanza contenuta e questa debolezza fu interpretata da Hitler come un incoraggiamento a avanzare ulteriori pretese senza danno. A inchiostro ancora fresco del patto di Monaco, sottoscritto anche da Francia, Inghilterra e Italia, le truppe tedesche occuparono la Cecoslovacchia con il pretesto della difesa dei propri connazionali nei Sudeti. Non contento, l’anno seguente Hitler che mirava alla riunione di Danzica con il pretesto di un banale incidente di frontiera  attaccò la Polonia. I Governi di Parigi e di Londra ritennero che fosse stata varcata la linea rossa delle pretese non più accettabili e decisero di regolare, una volta per tutte, i conti in sospeso con la Germania  dichiarando guerra in difesa della Polonia.

Dopo un anno, in base al cosiddetto patto di acciaio, anche l’Italia si schierò a fianco della Germania.

Il conflitto ancora una volta debordò dai ristretti ambiti europei per allargarsi ad altre potenze e diventare la seconda guerra mondiale: l’Unione Sovietica fu attaccata all’improvviso dalla Germania nonostante il trattato di non aggressione, mentre gli Stati Uniti furono aggrediti dal Giappone che distrusse buona parte della flotta americana a Pearl Harbour.

 parola fine ad una guerra che aveva causato oltre 20 milioni di morti, arrivò dopo alcuni mesi dalla capitolazione della Germania con lo sganciamento di bombe atomiche sul Giappone.

Seguì un periodo di guerra fredda tra i due blocchi, facenti capo a alleanze di carattere  politico, ideologico e militare: da una parte la NATO e dall’altra il Patto di Varsavia.

L’equilibrio della guerra fredda  durò fino  al 1991 quando,  dopo la caduta del muro di Berlino, ci fu il collasso  dell’Urss.

Da allora la Nato ritenne di aver vinto la partita della storia e pur non essendo minacciata, favorì la sua espansione territoriale verso est, oltre i suoi confini storici, inglobando 14 paesi dell’ex patto di Varsavia, violando  un’intesa assunta con Gorbacev di non oltrepassare l’Elba.  

Il fatto che l’Ucraina sin dal 2014 accarezzasse l’idea, non scoraggiata dagli Stati Uniti, di entrare a far parte della Nato, ha fatto scattare in Putin la sindrome dello accerchiamento e risvegliare l’orgoglio nazionale di grande potenza. Da allora con fredda determinazione ha pianificato una serie di operazioni politiche e militari progressive per rimettere in discussione lo status quo ( annessione della Crimea, sostegno ai ribelli ucraini separatisti del Donbass, intervento in Siria, allargamento dell’influenza nel Mediterraneo fino alla Libia).

Il disastroso disimpegno degli Stati Uniti e della coalizione Nato dall’Afghanistan, praticamente sconfitti in una guerra durata venti anni, ha indotto Putin a compiere l’ultimo passo nella realizzazione del suo piano di restaurare il potere zarista.

Contando sulla disponibilità della Bielorussia a guardargli le spalle e a ospitare parte dell’armamento atomico russo, convinto della debolezza dell’Occidente litigioso e incapace di applicare in modo severo le sanzioni imposte dal 2014, sentendosi garantito dal diritto di veto all’Onu per bloccare qualsiasi risoluzione del Consiglio di Sicurezza, ha giocato la carta dell’azzardo massimo, imitando la disastrosa decisione di Saddam Hussein che pensava di fare del Kuwait un solo boccone. Rompendo gli indugi diplomatici ha optato per l’azione di forza. Assicuratasi  l’alleanza delle due repubbliche auto proclamatesi indipendenti del Donbass, ha lanciato l’invasione dell’Ucraina da sud, da est e da nord.

L’azzardo potrebbe costargli molto caro perché non solo ha  sottostimato la capacità di resistenza del governo e della popolazione ucraina, ma non ha previsto la prontezza dei paesi occidentali di ricompattarsi intorno ai principi di libertà, indipendenza, democrazia, rispetto del diritto internazionale.

UE, G7 e Nato hanno reagito con sanzioni pesantissime nel campo economico, finanziario, commerciale, e allo stesso tempo con impegno ad inviare aiuti economici, militari, sanitari e alimentari all’Ucraina.

La guerra lampo russa, lanciata  con un impiego di oltre 100 mila combattenti, artiglieria pesante, mezzi cingolati, missili e forza aerea, si è ben presto trasformata in un’occupazione logorante con la vergogna di bombardamenti indiscriminati.

Mentre continuano gli scontri sul terreno, Putin ha elevato il tono del confronto con l’Occidente dichiarando di aver messo in stato di preallarme il suo apparato atomico, Biden, con apprezzabile freddezza, non ha raccolto la sfida e ha scartato l’ipotesi  di un intervento diretto degli Stati Uniti e dell’uso di armamento nucleare che avrebbe portato il mondo sulla soglia di uno scontro apocalittico. Biden ha scelto l’opzione delle sanzioni più  dure della storia, adottate anche dall’UE, che sigillano ed escludono la Russia dalla vita di relazioni internazionali, di rapporti economici, finanziari, commerciali, sportivi con il resto del mondo.

I Governi europei e le Istituzioni comunitarie hanno fatto un passo in più dando il via ad un riarmo generalizzato per il rafforzamento della Nato, e decidendo l’invio di contingenti militari nei paesi ai confini dell’Ucraina.

Decisione questa pericolosa perché basterà, in un’atmosfera di esaltazione guerresca, un incidente che coinvolga forze della Nato e della Russia, per scatenare una inarrestabile valanga di rappresaglie in un piano inclinato verso una guerra mondiale.

Cosa vuole Putin? L’assicurazione che la Nato non si espanda più a ridosso della Russia, che l’Ucraina venga dichiarata neutrale e smilitarizzata, che sia formalmente riconosciuta l’annessione della Crimea e l’indipendenza delle repubbliche autonome del Donbass. Sembrano condizioni pesanti difficilmente digeribili dall’Ucraina che se accettate porrebbero fine alla distruzione totale. Se invece non dovesse prevalere il senso del realismo nell’accettarle la nube nera dei sacrifici, delle privazioni, dei morti e della distruzione totale ricoprirebbe i cieli dell’Europa in una catastrofica terza guerra mondiale.

Sta all’Occidente mantenere il sangue freddo ed attendere che lo zar del XXI secolo capisca, per la pressione interna degli oligarchi e dell’opinione pubblica, e quella esterna dell’Occidente che non si possono ridisegnare i confini degli stati con l‘uso della forza.

Torquato Cardilli (2 marzo 2022)

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