
Comunicare il Made in Italy.
Scritto da Gabriele Felice il . Pubblicato in Esteri, Diplomazia e Internazionalizzazione, Imprese, Sicurezza e Start Up, Made in Italy.
Una bellezza che unisce.
Comunicare il Made in Italy: una bellezza che unisce passato e presente, azzera le distanze, ispirando il mondo con la sua ecumenicità.
Il Made in Italy non si spiega con un’etichetta o un bilancio aziendale. È un fenomeno che attraversa secoli, un dialogo tra passato e presente che si riflette in ogni prodotto che lascia questa terra, la nostra Italia.
Nei miei articoli su Consul Press e Italia Report USA, ho cercato di scavare nelle radici di quest’identità: non è solo eccellenza tecnica, ma un’Italianità Ecumenica, un’eredità che dall’Impero Romano alla Chiesa Cattolica ha sempre saputo parlare a tutti, includere, trasformare.
Non è solo commercio: è un ponte culturale, un invito a condividere valori universali come bellezza, ingegno, autenticità.
La bellezza, in tutte le sue forme, unisce, parla ai cuori, placa gli animi, è un invito silenzioso a migliorarci, a dare il meglio.
Per questo oggi comunicare il Made in Italy è trasmettere italianità e questa è una grande responsabilità.
Osservo come il digitale amplifichi questa storia.
Su Instagram, un video di un artigiano che lavora il cuoio non è solo marketing: è una finestra su un’anima italiana che respira ancora.
Eppure, non basta mostrare: bisogna adattare, riformulare, rispettare le culture che accolgono il Made in Italy.
È ciò che cerco di fare nei miei articoli: studiare, analizzare, contestualizzare, offrire una lente per capire.
Comunicare il Made in Italy è quindi un equilibrio. Non si tratta di gridare la propria superiorità, ma di raccontare una tradizione che appartiene al mondo. È un orgoglio quieto, che ispira crescita personale e connessione, come ho scritto in Made in Italy: L’Italianità Ecumenica.
È un patrimonio che non si impone, ma si offre – a te, a chiunque voglia coglierlo ed il mondo ne ha urgente bisogno.
Ora, immagina un vecchio artigiano a Firenze, le mani che battono il ferro per creare un complemento di arredo o che cuciono una giacca di pelle.
Non è solo lavoro:
è un rituale, un pezzo d’anima che passa dalle sue dita a te, ovunque tu sia.
Questo è il Made in Italy: non un’etichetta stampata, ma un’offerta di bellezza che l’Italia ha proposto al mondo sin dai giorni in cui i Romani spedivano anfore di vino ai barbari e la Chiesa dipingeva cieli d’oro per redimere i peccatori.
Quell’offerta non è venuta meno: oggi è una scarpa di Ferragamo che calca le strade di Parigi, un tortellino che Giovanni Rana plasma per i palati francesi senza tradire la sua essenza, una pasta al dente che Rustichella d’Abruzzo insegna all’India con pazienza.
Non è solo emozione,
è storia che respira.
L’Italianità Ecumenica è un ponte sospeso tra passato e presente, un dialogo che unisce culture lontane – come i trattori italiani che negli anni ’60 ruggivano nei campi del Kazakistan, o i video su Instagram che oggi mostrano quelle mani al lavoro, costruendo fiducia con la forza della verità.
Aneddoto: ricordo ancora la Presidente di Confindustria Kazaka (perdonerete se non ricordo il nome) incontrata anni fa all’ICE-ITA mi raccontava come i trattori italiani (usati) avessero letteralmente salvato l’agricoltura kazaka in balia di quelli russi che puntualmente si guastavano.
Comprare Made in Italy non è prendere un oggetto: è stringere un patrimonio che appartiene al mondo, un invito a crescere, a connetterti con qualcosa di eterno. È un orgoglio silenzioso, che non sbraita ma sussurra: “Questo è per te, per chiunque abbia occhi per vedere e cuore per sentire”.
