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Comunismo, liberalismo ed il demone del totalitarismo

di Raimondo Fabbri

Se c’è un demone che accomuna secondo il professor Ryszard Legutko le società liberali e il comunismo, quello è il totalitarismo. Nel suo ultimo saggio, ancora non tradotto in italiano, The demon in demcracy, totalitarian temptations in free societies, il filosofo polacco, nonché presidente del gruppo dei Conservatori e Riformisti al Parlamento europeo, espone questa tesi ardita, maturata in anni di studio della filosofia classica e della teoria politica, ma soprattutto come testimone diretto dell’oppressione comunista vissuta da dissidente e responsabile culturale di Solidarnosc.

Ad agevolare l’analisi di questo testo può contribuire senza dubbio la considerazione recentemente fatta da Alain De Benoist a proposito dei paesi dell’Est nell’anniversario del crollo del Muro di Berlino durante un’intervista rilasciata al blog di Michele De Feudis, Barbadillo.it: «È tempo di ammettere che l’Europa orientale ha culture e storie politiche diverse dall’Europa occidentale. Riunisce paesi che sono più attaccati al popolo e alla nazione che allo stato perché non è lo stato che li ha partoriti. In Occidente è l’opposto: lo stato ha preceduto la nazione che alla fine ha creato il popolo. Nemmeno i paesi orientali sono stati modellati dall’ideologia dell’Illuminismo. Oggi si rendono conto che la democrazia liberale è il prodotto di una storia unica che non è la loro e che lo stato di diritto non è il modo migliore per garantire la sovranità popolare e la permanenza delle nazioni. La loro identità è stata minacciata dal sistema sovietico, non vogliono vederlo distrutto dalla decadenza dell’Occidente e dalle richieste liberali di “libera circolazione di persone, merci e capitali”. Non è quindi deplorevole che cerchino di organizzarsi per modellare un’altra Europa»

Affermazioni che permettono di comprendere meglio tra l’altro cosa sia avvenuto nell’Ungheria di Orban oltreché la scaturigine delle riflessioni di Legutko circa le similitudini fra comunismo e liberalismo. La tesi poggia su alcune analisi comparative degli aspetti caratterizzanti entrambi i modelli, ad esempio quello di considerare l’esaurimento della storia nell’inveramento del proprio sistema, infatti tanto le democrazie liberali quanto il comunismo ritengono il loro insieme di credenze come l’unico che valga la pena di essere vissuto. La stessa retorica dei diritti umani sarebbe secondo il filosofo, la dimostrazione che nelle società liberali sia oramai acclarata la teoria debole che assegna a ciascuno una serie di diritti inalienabili in quanto essere umano pur senza nessuna base metafisica, rinvenibile invece nella tradizione filosofica classica.

Inoltre l’utilizzo di un linguaggio in cui si combinano moralità e politica tradirebbe un’ulteriore somiglianza fra comunismo e liberalismo e così il concetto di libertà non sarebbe appannaggio esclusivo della democrazia liberale, tanto che Legutko citando i classici del pensiero conservatore come Tocqueville e Ortega y Gasset ne richiama le perplessità e preoccupazioni avverso le degenerazioni della democrazia. Non a caso sulla difficile coesistenza fra democrazia e liberalismo si espresse Carl Schmitt quando individuava le intime contraddizioni di tale connubio nelle reciproche negazioni. Legutko esprime poi le sue preoccupazioni rispetto al dispotismo in cui starebbe precipitando la civiltà occidentale a causa dell’eccessiva politicizzazione (o ideologizzazione) delle società liberali argomentando che: “L’ideologia consiste in una serie di direttive e spiegazioni semplicistiche che coprono tutto, dal passato al futuro, dalle norme generali ai casi concreti. Per ogni ideologia, compresa quella attuale, la distinzione di base non è quella tra bene e male, bello e brutto, giusto e ingiusto, ma tra corretto e scorretto, tra ciò che si accorda con le direttive ideologiche e cosa no» (Il comunismo del pensiero unico intervista a Il Foglio del 24 agosto 2016).

Per questo alcuni concetti sono così carichi di valore nelle democrazie liberali che non consentono alcuna discussione, solo lodi incondizionate e un’accettazione incondizionata. Così l’uomo liberaldemocratico vivrebbe, come la sua controparte comunista in un mondo totalmente pieno di convenzioni, muovendosi all’interno di stereotipi di pensiero e linguaggio. The demon in demcracy sottolinea come la libertà degli individui sia ulteriormente minata da alcuni organismi sovranazionali le cui politiche coercitive nascerebbero dalla contraddizione originaria di istituzioni (in primis l’Unione Europea) che non rappresenterebbero la società europea, in quanto inesistente. Mentre ne auspicano la realizzazione però i popoli europei hanno concesso poteri straordinari a tali strutture permettendogli anche di ignorare le regole dei singoli stati-nazione per il solo motivo di ritenersi il prodotto finale dell’idea liberal democratica e quindi di agire sempre per il bene dei cittadini.

A proposito di somiglianze, un’altra ne viene rintracciata dello studioso polacco nell’approccio liberale alle opinioni, tipico anche nella pratica leninista della classificazione della pericolosità delle idee rispetto all’ordine costituito. Infatti se una teoria o un’opinione vengono classificate come oltraggiose dal pensiero liberale, queste scatenano immediatamente una reazione scomposta che porta alle accuse di intolleranza ed autoritarismo. In questo senso il volume di Legutko è una bussola importante per orientare il lettore nelle trame che il politicamente corretto sta tessendo per ricondurre a ragione il pensiero non allineato in campo morale, filosofico e politico.

Il Multiculturalismo, la crisi della religione, la teoria del genere, lo scardinamento dell’istituto familiare sono alcune delle problematiche che l’autore affronta coraggiosamente, visti i tempi in cui una sinistra censura torna ad essere di moda fra le oligarchie dominanti ed il mainstream. Oggetto di attente considerazioni in The demon in democracy da parte del filosofo il mainsteam assumerebbe le sembianze del partito unico di sovietica memoria data la sua capacità di monopolizzazione della scena politica e la creazione di una ortodossia di governo, che rende il meccanismo dell’alternanza democratica obsoleto e ridondante, talvolta persino dannoso.

Chiunque non appartenga a questa schiera o è pazzo oppure è un fascista. In conclusione il saggio offre una serie di spunti e pur essendo contestabile per alcuni passaggi, rappresenta comunque un tentativo di rispondere agli interrogativi che la crisi sta ponendo al mondo politico ed intellettuale, con l’augurio che anche in Italia venga avviato un serio dibattito sul futuro della nostra civiltà, capace di mettere in discussione principi ed idee date frettolosamente per assolute ed incontrovertibili. Allora forse riusciremo ad evitare il tramonto.

articolo inviatoci dalla Fondazione FareFuturo

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