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Crimes of the future

Una premessa doverosa: questa recensione si basa sulla copia in circolazione nei cinema italiani e accorciata di 40’ minuti circa rispetto a quella presentata al Festival di Cannes 2022, quindi è possibile che manchino sequenze importanti al fine di
comprendere meglio la trama.
In un futuro distopico e inquietante, gli esseri umani si adattano ad un ambiente sintetico, con nuove trasformazioni e mutazioni: con la sua partner Caprice (Lea Seydoux), ex chirurgo traumatologico, Saul Tenser (Viggo Mortensen) artista – performativo delle celebrità, la metamorfosi degli organi in performance d’avanguardia: Timlin (Kirsten Stewart), un investigatrice del Registro Nazionale degli Organi, controlla ossessivamente i loro movimenti e un gruppo di ribelli agisce sullo sfondo nutrendosi di quella che sembra una barretta di cioccolata: la loro missione consiste nello sfruttare la notorietà di Saul per fare luce sulla prossima fase dell’evoluzione umana.
Presentato in concorso a Cannes 2022, dove non ha riscosso alcun premio, il film di David Cronenberg, regista canadese che torna dietro la macchina da presa otto anni dopo la Palma d’Oro conquistata con il film Maps to the stars, una descrizione con
toni feroci e sarcastici dell’ambiente di Hollywood, intende offrire un contributo originale sulla via in precedenza tracciata da film quali Blade Runner (1982) di Ridley Scott, Brazil (1985) di Terry Gilliam e Matrix (1999) degli ex Fratelli, ora Sorelle, Wachowski: l’umanità si adatta ad un ambiente sintetico, con nuove trasformazioni e mutamenti e il film è molto ambizioso, presentando un futuro non troppo lontano e distante, anzi forse già presente nel quale l’umanità sta imparando ad adattarsi a nuovi ambienti di vita; si può anche cogliere un’atmosfera da Grande Fratello orwelliano, ed echi del “Mondo Nuovo” di Aldous Huxley in quanto questa “evoluzione” conduce gli uomini oltre il loro stato naturale ( si veda il prologo dove il bambino mangia la plastica per poi venire ucciso dalla madre) e li porta ad una metamorfosi, che modifica in profondità la loro costituzione biologica.
Mentre alcuni abbracciano con entusiasmo il potenziale smisurato del transumanesimo, altri tentano di contrastarlo, in altre parole la cosiddetta Sindrome di Evoluzione Accelleratà si diffonde velocemente. Saul, amato artista di performance che ha abbracciato con convinzione questa nuova condizione, facendo nascere nuovi ed inaspettati organi: nel suo corpo esibito con la sua partner Caprice, Tenser ha trasformato l’esportazione di questi organi in uno spettacolo per i suoi fedeli seguaci, che meraviglia in un teatro all’aperto in tempo reale. sia con il governo, che rimane sullo sfondo ed è rappresentato da un commissario di polizia, sia con una strana sottocultura che prende nota degli eventi, il protagonista (Tenser) è costretto a
considerare se esibirsi in quella che dovrebbe essere la sua performance più scioccante in assoluto. In questo contesto, il giudizio del regista sull’umanità è sostanzialmente pessimista, laico, com’è suo solito, senza alcun riferimento metafisico o alla Provvidenza cristiana: è un peccato che in questa edizione del film, lo spettatore venga lasciato a metà, quando ha iniziato ad afferrare e a comprendere il significato della vicenda esposta; per questo ed altri motivi si esce dalla sala in ultima analisi delusi, perché il regista è stato capace di fare films migliori: questo suo lavoro esplora e richiama gli stessi temi di Crash- Contatto fisico (2004), Existenz (1999) e Inseparabili (1988), ed è una sepcie di loro miscuglio. Il film, destinato ad un pubblico adulto, ha l’ambizione di presentare un futuro dove le conquiste della medicina hanno eliminato il dolore per i più, artisti-performance si
impegnano in modifiche estreme del corpo e si assiste alla crescita di nuovi organi inusuali: è difficile pensare di qualcuno che dovrebbe essere a suo agio in un film come questo più di David Cronenberg e non solo perché ha preso come titolo un suo
film sperimentale del 1970; il maestro canadese è probabilmente la sola persona che poteva sfruttare un racconto di crescita di organi illeciti e di arte-performance che trasforma il corpo per veicolare la sua tesi sul mondo in cui viviamo oggi.
Sfortunatamente anche il vecchio maestro del macabro, questa volta, dà l’impressione di girare a vuoto: nonostante la sua trama e la sua immaginazione, il film è un frustrante inciampo che non va da nessuna parte, anche se inizia in modo abbastanza affascinante introducendo il suo protagonista, Saul, che fa crescere nuovi organi rudimentali, che rimuove di fronte al pubblico; lui e la sua compagna Caprice registrano i nuovi organi al banalmente burocratico Registro Nazionale degli Organi, che è gestito da Wippet (Don McKellar) e dalla sua nervosa collega Timlin (Kirsten Stewart). Sullo sfondo sono presenti riferimenti all’attuale condizione ambientale, dove si aggira anche un nascente movimento che vede la possibilità di sfruttare questi inusuali organi mutati come una potenziale nuova fase verso una non meglio precisata evoluzione umana: ci sarebbe stata potenzialmente la materia per un possibile capolavoro, ma questo è un film in qualche modo compreso tra due distinti periodi del maestro, il primo con l’esposizione di mostruosità anni 80’ come Videodrome (1983) e “La Mosca” (1986), il secondo con il tono lucido e clinico di
un “Cosmopolis” (2012) o di “Maps to the stars” (2014); il risultato è un lavoro freddo e asettico, che forse nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere più sgradevole. C’è una certa oscurità “noir” nella fotografia di Douglas Koch, in qualche modo
troppo fredda dove il materiale sembra richiedere un approccio più “sporco”, molto bella la musica di Howard Shore, già autore della partitura musicale del “Signore degli Anelli”(2001-2003) e di “Lo Hobbit. Un viaggio inaspettato (2012): un altro
oggetto d’arte del XXI secolo, il film garantisce tutto ciç che il nome brand (Cronenberg ) promette: in più è un film strutturato come un detective-thriller hard-boiled ed è pieno di concetti provocanti ed immagini che stampano un bel sorriso in faccia, ma si può ritrovarsi a volere che la trama prenda slancio e che la nausea sia maggiore; su questo palcoscenico, Cronenberg generatore di idee ha più energia dello sceneggiatore-regista. In questo senso, il film è cupo, tenebroso, con lo stesso lento, deliberato ritmo dei passi di Saul attorno alla sua non nominata città natale: spicca l’interpretazione della Seydoux, poiché Caprice mostra passione su quello che le avviene intorno (lei mostra apertamente le sue emozioni, anche solo metaforicamente), ma la maggior parte dei suoi comprimari sembra aver preso il timbro da Mortensen, che si esprime interamente con sussurri, sottovoce e con colpi di tosse; il film avrebbe potuto essere considerato di un livello superiore se avesse presentato più persone in più esterni, ma cresce il sospetto che il regista non avesse il budget ( è una coproduzione greco-canadese, girata nella zona del Porto del Pireo, ad
Atene) per realizzare in dettaglio e nello specifico che lui ricercava. E’ un bello scherzo del destino presentare gli artisti-perfomance come superstar, ma forse la maggior parte dei suonatori ambulanti e degli artisti di strada attirano un pubblico più grande di quanto facciano Saul e Caprice ed ogni strada e stanza che loro visitano è tutt’altro che vuota: Cronenberg sembra aver avuto come scopo uno sterile mondo distopico senza futuro, dove la famiglia non ha quasi spazio o rappresentazione, ma è anche probabile che il suo team abbia trovato alcuno edifici squallidi in Grecia e non abbia avuto il denaro necessario per completarli con arredamenti e scenografie adeguati; tutte queste carenze della produzione non possono nascondere il fatto che la sceneggiatura lascia ogni parte, ogni componente della trama appese ad un filo, come se Cronenberg avesse, come David Lynch con Mulholland Drive (2001), pensato di stare girando l’episodio pilota di una serie TV, e con questo cast e con queste premesse, che fantastica miniserie avrebbe potuto essere! Anche così, tuttavia, Crimes of the future ritorna piacevolmente alle ossessioni dei
suoi film precedenti, senza altresì raggiungere le vette e i picchi della maggior parte di loro: rimane forse il rimpianto di eventuali migliorie ed aggiustamenti al copione prima che fosse messo sullo schermo.

P.S Dopo la prima settimana di uscita nei cinema, Crimes of the future è al secondo
posto della classifica dopo l’inarrivabile Minions 2, per poi retrocedere al quarto
posto nella seconda settimana di programmazione.

Marti Francesca

Miriam Dei