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Da “L’Infinito” di Giacomo Leopardi
……. a “L’Universo Infinito”

Su L’INFINITO  di GIACOMO LEOPARDI
libere riflessioni e modeste e rispettose considerazioni

________________di ALESSANDRO LONGO

L’emozione che mi suscita la lettura dell’Infinito di Leopardi, nasce forse dal ricordo quando al liceo studiai che il poeta, da giovane, si era interessato di astronomia, avendo anche scritto un trattato di storia dell’astronomia. Mi viene anche alla mente la sensazione di vertigine che provo quando rifletto sulle dimensioni fisiche e temporali dell’universo, in confronto alle nostre dimensioni umane.

Nella nostra esplorazione dell’universo, anni fa, siamo andati sulla luna, e sappiamo quanto ci sia costato in termini di risorse umane e economiche. La luna è l’astro più vicino a noi, eppure ci è sempre sembrata così lontana!
I nostri razzi ci hanno messo dei giorni per arrivarci, e viaggiando alle velocità dei razzi!
Noi piccoli uomini ci siamo sentiti  dei giganti quando abbiamo lasciato le prime orme sulla polvere lunare!(vi ricordate?:“Un grande passo per un uomo e un piccolo passo per l’umanità”)

Recentemente, poi abbiamo anche lanciato un piccolo robot su Marte, che per qualche giorno ha scorrazzato sulle alture rocciose di quel pianeta. Che emozione! Marte! Noi umani, se non ci facciamo aiutare da qualcuno più esperto di noi, quasi non Io vediamo nel cielo: ci appare come una della miriade di stelline che brillano nel cosmo ogni notte. Bisogna essere degli esperti per riconoscerlo. E ci abbiamo messo mesi e mesi per arrivarci! E già si fantastica sulla possibilità, invece, di sbarcare su un satellite di Giove, ma, si dice, “è troppo lontano; ci vorrebbero decine di anni per arrivarci”. Troppo lontano!

Ma ci rendiamo conto di cosa stiamo parlando?
Prendiamo ad esempio la stella più vicina a noi: vediamo dai testi che si chiama Alpha Centauri.
Ebbene, supponiamo di organizzare una spedizione per arrivarci: dista 4.5 anni luce da noi. Che vuol dire? non lo sa nessuno, perché per intuirlo bisogna fare delle figurine e fare un sacco di conti, oppure usare delle metafore.
Se volessimo organizzare la spedizione, anche illudendoci di riuscire ad andare ad una velocità dieci volte superiore a quella dei nostri razzi odierni (si può fare, si può fare, usando le cosiddette fionde gravitazionali) eppure ci metteremmo  20,000 anni.
Si! 20.000 anni! Ma allora l’equipaggio avrebbe addirittura il tempo per trasformarsi in un’altra specie (“…interminati spazi, sovrumani silenzi…”). Eppure, lungo il viaggio non troveremmo niente. Cioè tra il sole e Alfa Centauri non c’è niente! Ventimila anni di niente! (”profondissima quiete…”.)_ Una volta arrivati, saremmo felici di essere finalmente usciti dal sistema solare.

Finalmente! E adesso: guardiamo il cielo. E così scopriamo che, visto di là, il cielo è esattamente uguale a quello che vediamo dalla terra.
Allora ci chiediamo: ma come, abbiamo viaggiato 20.000 anni ed è tutto come prima? E ne valeva la pena? Ebbene sì. Però anche un’altra constatazione vale la pena di fare: ci rendiamo conto che andare su Alpha Centauri, rispetto alle dimensioni della nostra galassia è come,  facendo una metafora, se fossimo allo stadio: se ci spostiamo dal nostro posto a quello subito accanto, lo spettacolo del cielo stellato è praticamente identico, come se quasi non ci fossimo spostati. Ma, come: abbiamo viaggiato 20.000 anni, e non ci siamo spostati? E stiamo parlando solo della nostra galassia che, ci dicono gli scienziati, è solo una dei miliardi di miliardi di galassie esistenti. Ed una delle più piccole.

Ma, ora, ecco il testo integrale originale
dell’idillio leopardiano

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.

 

Di galassie nell’universo ce ne sono 100 miliardi, ognuna lontanissima dall’altra. Ecco la vertigine. E il tempo?
Noi uomini viviamo al massimo circa 100 anni: 100 anni sono tutta la nostra vita, un tempo per noi lunghissimo. Sì, sappiamo che prima di noi e dopo di noi ci sono state e ci saranno altre generazioni di uomini. Conosciamo la storia, i popoli antichi, il grande impero di quella Roma, le guerre e le furiose battaglie. Fatti lontani da noi, di cui conserviamo soltanto il ricordo dei libri di storia e qualche monumento. Tutto passato, finito (come il vento odo stormir…..).  Sembra che tutto si esaurisca qui, adesso.

Eppure sappiamo che il passato c’è stato. Gli uomini esistono da tempi lontanissimi. Tempi lontanissimi? cosa vuol dire? Non ce ne rendiamo conto.
Se tomiamo alla metafora dello stadio e disponiamo la storia della terra lungo il campo con la formazione della terra sulla linea di porta di sinistra e l’oggi sulla linea della porta di destra, la nascita dell’uomo si troverebbe ad un millimetro dalla linea della porta di destra! E prima? Prima ci sono state le ere geologiche, dalle prime forme di vita nei mari, a quelle più evolute, poi le trasformazioni fuori del mare: la vegetazione, i dinosauri, i mammiferi, gli australopitechi, gli ominidi, ecc. ecc.

L’ uomo come siamo noi è nato circa 100.000 anni fa, nella scala umana e, secondo la scala del disegno, solo ad un millimetro dalla fine! E le civiltà moderne sono ad una frazione di millimetro dalla fine! Sembra un assurdo, eppure a volersi mettere a far calcoli da homines analogici e non digitali, come invece si usa dire al giorno d’oggi, è proprio così.
Una cosa come attimo, un semplice soffio. Eppure per noi è tutto! (…e mi sovvienien l’eterno, e le morte stagioni…).
Ecco la vertigine che mi suscita L’Infinito.

Alessandro Longo

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