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Dal Destino di Roma al Mito di Artù

a cura di Fulvio Mulieri

Come le Radici Romane hanno Modellato le Leggende Medievali, tra Valori Civici, Spiritualità Cristiana e la Ricerca della Redenzione

Il viaggio dalla grandezza dell’Antica Roma al mito di Re Artù offre una panoramica affascinante della cultura occidentale, esplorando come le radici storiche, mitologiche e filosofiche di Roma abbiano influenzato e dato forma alle leggende medievali. Questo percorso, che si estende lungo i secoli, non solo segna il passaggio da una società imperiale a una nuova era medievale, ma riflette anche l’evoluzione dei valori fondamentali che hanno guidato l’umanità attraverso momenti di crisi e cambiamento.

L’Antica Roma, una delle civiltà più influenti nella storia occidentale, ha lasciato un’eredità indelebile non solo per le sue conquiste politiche e militari, ma soprattutto per le tradizioni culturali che ha alimentato. La mitologia romana, così strettamente intrecciata con la vita quotidiana dei suoi cittadini, era popolata da figure leggendarie come Enea, il fondatore di Roma, la cui epopea, immortalata nell’Aeneide di Virgilio, rappresentava il destino di una città chiamata a dominare il mondo. Enea stesso incarna i valori di onore, sacrificio e lealtà, che sarebbero poi stati ripresi e trasformati in epoche successive, trovando spazio anche nelle leggende medievali. Nel Libro VI dell’Eneide, Virgilio afferma: “Fato volente, Roma diventerà la capitale del mondo” (Eneide, 1.323), indicando una missione divina che proiettava Roma come il centro della giustizia e della civiltà.

Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 d.C., l’Europa attraversò un periodo di grande instabilità. Tuttavia, le tradizioni romane non scomparvero completamente, ma molte di esse si integrarono con nuove influenze culturali, tra cui il cristianesimo e le tradizioni celtiche. In questo contesto di transizione, nuove figure eroiche emersero, tra cui quella di Re Artù, la cui leggenda, pur radicata nelle tradizioni celtiche, assorbì anche elementi delle narrazioni romane, dando vita a un mito che cercava di ricreare l’ordine e la civiltà della Roma antica in un mondo frammentato e turbolento.

Re Artù è una figura complessa, emblema di una nuova era. La sua corte, la Tavola Rotonda, non solo simboleggia un ideale di giustizia e equità, ma riflette anche l’antica concezione romana di un governo basato sull’assemblea di saggi, simile al senato di Roma. La sua lotta per difendere la Britannia dagli invasori e la ricerca del Santo Graal, un tema centrale nella leggenda arturiana, riecheggiano le imprese degli eroi romani, che lottano per mantenere l’ordine e la civiltà. Allo stesso tempo, queste gesta sono profondamente influenzate dalla nuova religiosità cristiana, che ha sostituito il paganesimo e ha posto al centro la ricerca di una dimensione spirituale oltre a quella terrena. La Tavola Rotonda, luogo di incontro dei cavalieri, rappresenta una visione di parità e solidarietà, ma anche di un’etica più alta, quella cristiana, dove la ricerca del Santo Graal simboleggia il cammino spirituale, un processo di purificazione e salvezza che riflette il contrasto tra il mondo terreno e quello divino.

L’evoluzione della figura di Artù è il risultato di una trasformazione profonda delle strutture sociali, politiche e religiose, che ha avuto inizio con la fine dell’Impero Romano e l’emergere del cristianesimo come nuova forza unificatrice. Mentre la Roma antica si fondava su valori civici e sul concetto di res publica, dove l’individuo era essenziale per il funzionamento della comunità, il Medioevo pone l’accento sulla comunità spirituale e sulla ricerca di un ordine morale superiore. Filosoficamente, il mito di Artù può essere interpretato come una risposta alla ricerca di giustizia, verità e equilibrio, principi che rispecchiano le teorie di pensatori come Platone, per cui la “comunità giusta” è quella in cui ogni membro svolge il proprio ruolo in base alle proprie virtù. Artù, con la sua saggezza e il suo impegno per la giustizia, diventa il filosofo-re ideale, che guida il suo regno non solo con la forza, ma anche con il rispetto della verità, ponendosi come esempio per i suoi cavalieri.

Da una prospettiva psicologica, il mito arturiano si inserisce nel modello del “viaggio dell’eroe” descritto da Joseph Campbell. La ricerca del Graal rappresenta il cammino interiore di ogni cavaliere, che deve confrontarsi con le proprie debolezze, i propri conflitti e la propria moralità. Questo viaggio, che va oltre la semplice impresa fisica, diventa una ricerca di redenzione e purificazione, un processo di crescita che coinvolge l’individuo a livello morale e spirituale. Artù e i suoi cavalieri, quindi, non sono solo simboli di eroismo, ma rappresentano la costante tensione dell’uomo verso un ideale di giustizia e salvezza eterna.

La transizione dall’Antica Roma al Medioevo, pur mantenendo molte delle radici culturali e mitologiche precedenti, si configura come un’evoluzione delle strutture sociali e spirituali della civiltà occidentale. Il mito di Re Artù, come simbolo di giustizia e onore, non solo rielabora il modello eroico romano, ma risponde alle nuove esigenze spirituali e morali che caratterizzano il Medioevo. La figura di Artù, quindi, rappresenta una sintesi tra il passato eroico di Roma e il futuro cristiano, un ponte che collega il mondo antico con quello medievale, offrendo una visione di speranza, giustizia e redenzione che travalica i confini storici.

Il mito di Re Artù, emblema della cultura medievale, affonda le proprie radici in una vasta tradizione storica e mitologica che, partendo dall’Antica Roma, attraversa i secoli, plasmando una nuova visione culturale, politica e sociale. La transizione dall’Impero Romano alla nascita del Medioevo non fu solo un cambiamento di regime, ma un vero e proprio mutamento epocale, che vide la fusione delle tradizioni romane con quelle cristiane e celtiche, dando origine a nuove figure leggendarie, tra cui quella di Re Artù. Questo articolo esplorerà come, dalla caduta dell’Impero Romano, l’eredità romana, con le sue ideologie morali, etiche ed economiche, si sia adattata al nuovo contesto medievale, attraverso l’interpretazione di valori condivisi e la nascita di nuove narrazioni eroiche, come quella di Artù, simbolo di un ordine sociale rinnovato.

La mitologia romana, che si interseca strettamente con la realtà storica, giocava un ruolo centrale nella formazione dell’identità collettiva dei romani. I miti erano strumenti di educazione e di rafforzamento dell’unità civica, trasmettendo valori morali ed etici essenziali per il benessere dell’Impero. I racconti mitologici come quello di Romolo e Remo, fondatori di Roma, e l’epopea di Enea, narrato nell’Eneide di Virgilio, non erano semplicemente storie fantastiche, ma un mezzo per costruire una legittimazione politica e per unire il popolo romano attorno all’idea di una missione divina. Enea, figlio della dea Afrodite, protagonista dell’Eneide di Virgilio, simboleggiava la fondazione di Roma come destinata a dominare il mondo. Virgilio scrisse l’Eneide non solo come un poema epico, ma anche come una forma di propaganda, celebrando le origini divine e la missione di Roma di essere il faro della civiltà e della giustizia nel mondo.

Con la fine dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 d.C., l’Europa entrò in una fase di grande instabilità, segnata dalla frammentazione politica e dalla diffusione di nuovi modelli di governance, che riflettevano la fine del sistema di leggi imperiali e l’inizio di una nuova era, quella del Medioevo. Durante questa transizione, la religione cristiana divenne il principale strumento di coesione sociale e culturale, sostituendo le leggi romane con quelle canoniche e invocando principi di carità cristiana che mettevano al centro la protezione dei deboli e l’uguaglianza davanti a Dio. Le leggende romane continuarono a vivere nei racconti medievali, ma vennero rielaborate per riflettere le nuove realtà sociali e spirituali.

Il cristianesimo integrò i valori di giustizia e sacrificio degli eroi romani con un nuovo orientamento morale e spirituale, manifestandosi nel mito di Re Artù, che divenne simbolo di un mondo che cercava di preservare i valori romani in un contesto spiritualmente rinnovato. Artù e la sua corte incarnano non solo l’eroismo ma anche una visione economica etica, in cui la ricchezza materiale è secondaria rispetto alla ricerca della verità spirituale. La giustizia, quindi, non è solo una questione legale, ma morale, un principio che si riflette nell’intero ciclo arturiano. La fusione tra il diritto romano e le leggi morali cristiane portò alla creazione di un nuovo ordine sociale, che purtroppo non riuscì ad eliminare tutte le disuguaglianze, ma che aprì la strada a una nuova concezione di giustizia, più vicina al concetto di uguaglianza davanti a Dio e alla salvezza dell’anima.

In questo modo, il mito di Artù non solo celebra l’eroismo, ma anche la continua ricerca di equilibrio tra il potere, la giustizia e la fede, che continua a risuonare nell’immaginario collettivo occidentale. La transizione dall’Antica Roma al Medioevo non fu un semplice cambiamento politico, ma un profondo processo culturale che segnò la nascita di una nuova civiltà, in cui le tradizioni romane, reinterpretate attraverso la lente del cristianesimo, diedero vita a leggende eroiche come quella di Artù, simbolo di una società in cerca di giustizia, speranza e redenzione.

Re Artù, come personaggio leggendario, emerge in un periodo in cui la Britannia, una volta parte dell’Impero Romano, si trovava nel pieno della sua transizione verso una nuova era. La figura di Artù e delle sue gesta sono legate, in modo diretto o indiretto, alle tradizioni e alle influenze romane, ma anche alle credenze celtiche e cristiane. Le prime testimonianze scritte di Artù si trovano nelle opere medievali, come il Ciclo della Tavola Rotonda e la Roman de Brut di Geoffrey of Monmouth. In queste opere, Artù è descritto come il sovrano di una Britannia che, dopo la fine dell’Impero Romano, si trova a dover preservare l’ordine e la civiltà di Roma.

La corte di Artù, rappresentata dalla celebre Tavola Rotonda, è un simbolo del tentativo di ricreare l’ideale di giustizia e di governo che aveva caratterizzato la Roma antica. La Tavola, infatti, non è solo un elemento iconografico, ma incarna un principio di equità e uguaglianza tra i cavalieri, che sono visti come uguali dinanzi al sovrano. Questo ideale di equità richiama l’antico modello romano del Senato, dove i membri dell’assemblea, pur provenendo da diverse classi sociali, erano uniti dal principio del “mos maiorum”, ovvero la legge degli antenati, che assicurava il rispetto dell’ordine e della giustizia. Artù, come i grandi eroi romani, si trova a dover difendere la sua terra, la sua gente e la sua civiltà da minacce esterne, come le invasioni dei sassoni, proprio come gli eroi romani avevano difeso i confini dell’Impero.

Il cristianesimo giocò un ruolo cruciale nel rielaborare il mito di Re Artù. La religione cristiana, che sostituiva il paganesimo romano, portò con sé un nuovo insieme di valori morali, tra cui la compassione, l’umiltà e la fede in Dio, che si integrarono nei racconti cavallereschi. La figura di Artù, pur mantenendo molte delle caratteristiche degli eroi romani, divenne anche un emblema di fede e moralità cristiana. In particolare, la ricerca del Santo Graal è un episodio centrale nel ciclo arturiano che riflette l’influenza cristiana. Il Graal, secondo la tradizione cristiana, è il calice utilizzato da Gesù durante l’Ultima Cena, e la sua ricerca rappresenta la ricerca della salvezza e della purificazione spirituale.

Il cavaliere arturiano, dunque, non è solo un guerriero che combatte per il suo reame, ma un individuo che lotta anche per la propria redenzione spirituale. La ricerca del Graal diventa una metafora della purificazione dell’anima e della lotta contro le forze del male. Inoltre, i cavalieri della Tavola Rotonda, pur rimanendo modelli di onore e coraggio, sono anche impegnati in una battaglia spirituale che riflette la tensione tra il mondo terreno e quello divino. In questo modo, il cristianesimo ha integrato il valore dell’eroismo e della giustizia romana, ma li ha anche indirizzati verso una dimensione più alta, incentrata sulla moralità e sulla fede.

Il passaggio dall’Antica Roma al Medioevo non fu un semplice cambiamento politico, ma una vera e propria transizione culturale e spirituale, che ha permesso alle leggende romane di adattarsi alle nuove circostanze. La figura di Re Artù, che si inserisce in questo passaggio, è l’esempio perfetto di come le tradizioni, sebbene mutate, possano sopravvivere e trasformarsi in risposta ai cambiamenti storici. Artù, pur essendo una figura medievale, è il risultato di un lungo processo di sintesi tra l’eredità della Roma antica e le nuove realtà del cristianesimo e della cultura celtica. La sua leggenda, che celebra l’eroismo, la giustizia e la fede, rappresenta la fusione di ideali antichi con i nuovi valori che sarebbero diventati il fondamento della civiltà medievale.

In tal senso, il mito di Re Artù, con la sua visione di una società giusta e spiritualmente elevata, non solo riflette la continuità della tradizione romana, ma anche l’evoluzione delle sue componenti, che si arricchiscono di nuove influenze senza mai perdere di vista i principi fondamentali che avevano reso grande l’antica Roma. In definitiva, la leggenda di Artù incarna la costante ricerca di un equilibrio tra il potere, la giustizia e la fede, un ideale che ha attraversato le epoche, continuando a ispirare le generazioni successive.

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