Democrazia e tasse: un diritto ed un dovere
UN “PATTO SOCIALE” non funzionante
per la “Inefficienza” della P. A.
Nel linguaggio politico italiano due parole, che racchiudono due concetti frutto di eredità secolari, di retaggi culturali, di modi di vita, vengono ripetute a dismisura in ogni comizio, talk show, dichiarazione o intervista, ma entrambe restano in larga misura inapplicate nella loro interezza.
La prima di esse, “la democrazia”, costituisce un diritto, mentre la seconda, “le tasse”, sono un dovere. La nazione è un grande agglomerato, regolato appunto dall’equazione che non ammette interpretazioni diverse dal significato letterale che ad ogni diritto corrisponde un dovere.
La democrazia è una parola antichissima che contiene in sé il principio dell’eguaglianza dei cittadini, che nel mondo moderno si esercita tramite una delega conferita dall’elettorato al Parlamento.
Purtroppo tale diritto viene calpestato ogni giorno, anche in paesi che includono l’attributo “democratico” nella denominazione o nella Costituzione, con provvedimenti amministrativi ad hoc, un metodo meno brutale degli strumenti della dittatura, ma più subdolo, egualmente lesivo della libertà. Il tutto per rispondere, sulla base di un consociativismo ipocrita, agli interessi di logge, consorterie, corporazioni e gruppi di potere che agiscono per il loro esclusivo tornaconto, facendo strame della meritocrazia, della trasparenza, dell’equità sociale, della conservazione dell’ambiente, della ricerca.
Gli interessi del popolo, dei lavoratori, delle classi meno abbienti e più bisognose di protezione restano in seconda linea, se non addirittura esclusi.
La Costituzione democratica repubblicana, dopo tanti anni di dittatura, ha elencato molto sapientemente i diritti (eguaglianza dei cittadini, libertà di esercizio politico e sindacale, libertà di stampa e di espressione, libertà di impresa, libertà di religione, tutela del risparmio, protezione della proprietà privata, cura della salute, dell’ambiente e della pubblica istruzione, retribuzione adeguata per una vita dignitosa, giustizia e sicurezza).
Tuttavia la classe dominante, attaccata al conservatorismo, non ha mostrato di possedere gli anticorpi necessari contro l’abuso di potere, contro la corruzione, contro l’arricchimento illecito, né di saper difendere gli interessi della popolazione sottoposti ad una torsione indicibile a favore di potentati di ogni calibro.
Vi pare democratico mantenere i privilegi per ogni categoria, arroccata nel bunker del proprio egoistico benessere, fatti passare per diritti acquisiti? E’ democratico non tenere in alcun conto i risultati dei referendum popolari tipo quello sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, reintrodotto con un giochetto di parole? E’ democratico tenere nei cassetti per legislature intere i disegni di legge di iniziativa popolare senza discuterne in Parlamento? E’ democratico non coinvolgere l’opinione pubblica sui grandi temi delle alleanze internazionali politiche e militari, della cessione di sovranità, della partecipazione a guerre fatte negli interessi di altri paesi senza contropartite, delle grandi scelte di carattere economico e sociale in aderenza ai trattati europei mai sottoposti a referendum? E’ democratico il principio dell’accordo al ribasso con i grandi evasori per milioni di euro (industriali, attori, sportivi, cantanti, finti residenti all’estero ecc.) mentre i piccoli imprenditori o artigiani corrono il rischio di pignoramento per qualche migliaio di euro? E’ forse democratico assegnare appalti e consulenze con i soldi dei cittadini ad amici o assumere parenti scavalcando le disposizioni costituzionali del concorso?
Anche i doveri sono scolpiti nella regola fondamentale della Repubblica: l’osservanza della Costituzione e l’obbedienza alle leggi, la partecipazione obbligatoria alle spese pubbliche (con le tasse) in ragione della propria capacità contributiva (art. 53), la difesa della Patria, la partecipazione alle elezioni, il metodo democratico nella scelta dei rappresentanti, il riconoscimento delle istituzioni e dell’indipendenza della Magistratura.
Dunque tra i doveri ci sono anche le tasse, istituzione antichissima, vecchia di migliaia di anni, risalente addirittura a prima che fosse introdotta la moneta per la regolazione degli scambi.
Un testo cinese del II secolo a.C. afferma che il popolo è affamato a causa delle tasse che arricchiscono i potenti; l’imperatore Teodorico, alla fine del 400, sentenziava che il solo paese piacevole è quello in cui nessuno teme gli esattori, mentre Benjamin Franklin coniò l’aforisma secondo cui l’uomo dalla nascita va incontro a due cose certe: le tasse e la morte.
Nella storia le tasse sono state imposte sempre con la finalità di proteggere il principe, consentendogli oltre a ogni potere e lusso, la difesa o l’ampliamento dei suoi possedimenti, di favorire l’aristocrazia spremendo all’inverosimile i poveri che lavoravano per un tozzo di pane, escogitando per alcune sovrattasse nomi bizzarri come quella sui funerali, sul raccolto presunto, sul sale, sulle finestre, sulla guerra, sui fumi, sulla barba, sui pascoli, e persino sull’urina come aveva fatto Vespasiano tanto che i cantastorie siciliani, dopo l’unità d’Italia, facevano tranquillamente satira contro il governo sabaudo con il verso “governu italianu ti rringraziu, cca pi pisciari non si paga daziu”.
Nello Stato moderno le tasse servono per assicurare al popolo i propri diritti e i servizi elementari attuabili solo attingendo le risorse necessarie dal salvadanaio della fiscalità generale versata dai cittadini. Se per assurdo nessuno pagasse le tasse, lo Stato alzerebbe bandiera bianca senza poter mantenere la sua pletorica macchina amministrativa, né assicurare la difesa e la sicurezza, né erogare acqua, elettricità, istruzione, sanità, cura delle strade, dei trasporti ecc. Se invece, come è il caso nostro, le tasse vengono pagate solo dalla metà dei contribuenti, questi pagano il doppio del dovuto e i servizi loro resi sono ridotti e di pessima qualità.
Dunque chi non paga ed evade non solo froda il fisco, ma commette il reato di danneggiamento verso gli altri cittadini. In altre parole l’evasore è un ladro che toglie agli onesti una parte dei loro diritti e che ne ruba i servizi. Basterebbe considerare lo Stato come un grande condominio nel quale ciascuno è tenuto a versare quanto dovuto in relazione ai millesimi di proprietà.
Se un condomino violando i suoi obblighi, non versa il dovuto, gode abusivamente dei servizi assicurati a spese degli altri e costringe l’Amministratore a ridurne quantità e qualità con danno immediato dei condomini onesti.
Quelli che pagano si lamentano perché ritengono che le tasse siano troppo elevate. Ciò dipende, come accennato, dall’evasione, stimata dall’Istat e dalla Corte dei Conti in oltre 100 miliardi di euro all’anno, somma quasi doppia degli interessi che l’Italia paga sempre ogni anno per il suo debito mostruoso che ha superato i 2.400 miliardi, oltre che da una pessima amministrazione, legata a procedure e processi operativi di un altro secolo, che consente sprechi a fiumi. Ed è qui, proprio in questo campo, che scatta la maggiore differenza tra l’Italia e i paesi più evoluti.
Confrontando i blandi metodi di contrasto dell’evasione in Italia con la severità applicata negli Stati Uniti e in Germania ci si accorge subito che il sistema italiano è fortemente sbilanciato. Altrove la violazione dei doveri fiscali non consente scorciatoie o scappatoie, mentre da noi i poveri e la classe media pagano molte più tasse del dovuto, e la sperequazione punitiva conferma un’assurda ingiustizia sociale. Tradotto in termini bruti se un modesto cittadino evade deve vedersela con il fisco arcigno, mentre se è un ricco ad evadere riesce a farla franca.
Negli Stati Uniti il collegamento tra obbligo fiscale e libertà democratica, che diede inizio alla rivoluzione americana contro il colonialismo britannico, è così saldamente percepito come dovere nazionale che persino un gangster come al Capone, responsabile di decine di omicidi, di contrabbando, di violazione delle leggi sul proibizionismo e sulle case da gioco, fu condannato solo per reati fiscali e detenuto nel penitenziario di Alcatraz. Parimenti non c’è bancarottiere o truffatore o riciclatore che possa sfuggire a pene detentive effettive di decine e decine di anni (casi di Sindona, di Madoff condannato a 150 anni ecc.), mentre i nostri truffatori e bancarottieri (tipo Lande detto il Madoff dei Parioli) i responsabili delle più profonde voragini di debiti e i più grandi fallimenti bancari (CariChieti, Banca Etruria, Banca Marche, Popolare di Vicenza, Monte dei Paschi, Credito fiorentino ecc.), societari e industriali (Cirio, Parmalat, ecc.) se la spassano su panfili di lusso, in resort esclusivi e in club notturni alla faccia di chi ha perduto i risparmi di una vita.
In Germania gli evasori accertati sono un decimo di quelli scoperti in Italia, ma quelli effettivamente reclusi nelle carceri tedesche per reati fiscali sono più del quadruplo di quelli italiani che invece possono contare su un sistema ipergarantista solidificato sulla lentezza della Giustizia, i cui processi non riescono ad arrivare nemmeno alla Cassazione prima che scatti la tagliola della prescrizione, meta raggiungibile solo da chi ha molto denaro e avvocati ben pagati per comprare le sentenze o solo per allungare i processi.
Assodato che le tasse fanno parte del cosiddetto patto sociale tra cittadino e Stato, attraverso il quale il Governo assicura l’erogazione dei servizi pubblici e atteso che il reato di evasione è un delitto verso la collettività nazionale si pone la questione di come far recuperare all’Erario quella montagna di soldi, il cui incasso, ottenibile senza scomodare concetti propagandistici, astrusi e incostituzionali come condoni, flat tax, mini Bot ecc. permetterebbe un’equità sociale e una generale riduzione del gravame fiscale.
Ogni anno il cittadino è tormentato dalla telenovela della legge di bilancio e dalla maratona a lingua fuori del Ministro del Tesoro per racimolare qualche miliarduccio necessario a non farci finire sulla graticola della procedura di infrazione per l’inadempienza degli obblighi sottoscritti con l’Europa.
Eppure tra le tante riforme sognate e mancate, di cui si parla da decenni, ce ne sarebbe una a costo vicino allo zero (senza la sceneggiata dei finanzieri nei luoghi di villeggiatura di Cortina o di Porto Cervo) che ridurrebbe drasticamente l’area dell’evasione, della frode, della furbizia fraudolenta, molto più dei controlli degli scontrini.
Come misura preventiva basterebbe collegare qualsiasi contatto con la pubblica Amministrazione (certificazione, compravendita di qualsiasi bene immobile, acquisto di mezzo di trasporto, fruizione dei servizi della salute, patente di guida bollo e multe stradali, assicurazione, rapporti bancari, iscrizione dei figli a scuola, licenza e concessione di qualsiasi genere, verifiche di inquinamento ambientale ecc.) alla dimostrazione di aver assolto gli obblighi fiscali.
Come? Dotando ogni cittadino, alla stessa guisa della tessera sanitaria, di una carta validabile elettronicamente ogni anno dall’Agenzia delle Entrate in cui si certifichi che gli obblighi fiscali sono stati assolti. Lo Stato è già in possesso dell’anagrafe fiscale (codice fiscale) dell’anagrafe elettorale (comunale), dell’anagrafe dei mezzi di trasporto (PRA) ecc. Se i sistemi colloquiassero tra di loro gli evasori totali e gli inadempiente verrebbero scovati immediatamente.
Come misura repressiva, per indennizzare simbolicamente il danno causato alla comunità nazionale, dovrebbe essere triplicata la pena prevista dal codice con l’esclusione da sconti e benefici di qualsiasi natura, compresi gli arresti domiciliari, nonché confiscata una proprietà di valore doppio rispetto alla somma evasa. Troppo semplice perciò non si fa anche se non stroncando l’evasione e la frode fiscale si nega la democrazia e l’eguaglianza dei cittadini.
Eppure non c’è stato finora partito di Governo che non abbia straparlato di lotta all’evasione vantandosi del fatto che le briciole raccolte ogni anno erano superiori di qualche grammo a quelle dell’anno precedente.
TORQUATO CARDILLI