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Di nuovo da Mattarella, con la coda tra le gambe

Se vogliamo che tutto rimanga come è,
bisogna che tutto cambi

UNA SINTESI A CURA DI FRANCO D’EMILIO 

Alla fine, sconfitti e umiliati dalla loro totale incapacità di giungere ad un accordo per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, tutti i partiti, presenti in Parlamento, sono tornati, coda tra le gambe, da Mattarella per chiedergli di accettare la rielezione alla massima carica dello stato.
Il Mattarella bis è stato così la conclusione della farsa grottesca, alla fine una volgare pagliacciata con la quale, per quasi una settimana, tutti i partiti hanno dato uno spettacolo indecoroso del loro ruolo, costituendo un pericoloso vulnus della democrazia parlamentare rappresentativa, cardine fondamentale della nostra repubblica.

D’altronde, nessun accordo per un nuovo volto presidenziale poteva venire da chiacchere vane, perché improvvisate e contradditorie, da proposte dell’ultim’ora, dalla reciproca interposizione di veti, ma soprattutto dalla scarsa cultura politica e dalla insipiente pratica democratica da parte di partiti, alcuni dei quali preoccupati principalmente dell’esercizio e del mantenimento del proprio potere, anche fuori dal rispetto di ogni dignità istituzionale.

Sull’elezione della figura super partes del Presidente della Repubblica i partiti non sono stati capaci, ma forse non l’hanno nemmeno voluto, di misurarsi con quell’attenzione, quel confronto, quel senso di responsabilità che dovrebbero caratterizzare le scelte importanti della vita istituzionale di una nazione: solo tatticismi di bassa lega; funambolici equilibrismi parolai; ridicoli colpi di teatro per mantenere viva l’attenzione su leader, sempre più rivelatisi guitti, protagonisti di un gigantesco nanismo politico.
Doveva necessariamente comporsi il rapporto tra la maggioranza politica relativa di centrodestra, attuale nel paese, e il centrosinistra perché, solo così, sortisse o sortissero candidati apprezzabili dal consenso di entrambe le parti, invece no, sotto il tavolo del confronto democratico sono rimasti infilzati, a portata di mano, i lunghi coltelli dello scontro palese, pur se vigliaccamente sotterraneo, all’interno dell’ arlecchina e malassortita maggioranza d’emergenza del governo Draghi.

Il legaiolo Salvini si è rovinosamente proposto mattatore unico della scelta presidenziale, sopravvalutandosi capace di un meneghino ghe pensi mi, invece, al contrario, non è riuscito nemmeno ad agire nell’interesse del suo partito e del centrodestra, davvero meno di un amministratore di condominio.
Il pentastellato Conte, certo non pari al prestigio di un hotel a 5 stelle e, persino, solo capo formale del M5S, fra l’altro costantemente a rischio grinfie dello scugnizzo Di Maio, ha gettato sulla bilancia della scelta presidenziale tutto il peso dei residui parlamentari grillini, ma un po’ alla maniera del macellaio che sfila la ciccia prima che la lancetta segni il peso effettivo: importante era far credere che il M5S fosse monolitico e di peso, nonostante la divisione interna tra Di Maio, pro Draghi presidente della repubblica, e lo stesso Conte, giuggiolone ondivago, che dall’ambizione di novello Talleyrand si è visto relegato al ruolo di ultimo che chiude la porta.
Enrico Letta, segretario evanescente del PD, furbescamente convinto della propria abilità “pane e volpe”, ha attuato una pratica attendista, dichiarandosi disposto a trattare su qualunque proposta, ma guardandosi bene da fare alcun nome: un mirabile fariseo della politica italiana, soprattutto di quel centrosinistra, meticciato tra borghesucci postcomunisti e immarcescibili zombie democristiani.
Da Roberto Speranza, maldestro ministro della sanità tra vaccini, mascherine e Covid, solo il banale colpo di tosse della pulce per dire che c’era, pure lui, a sostegno di un nuovo presidente nel nome della democrazia, della libertà, dei lavoratori: insomma, un ligio chierichetto della liturgia silenziosa e ipocrita della sinistra in questa elezione presidenziale.
Infine, Berlusconi con la faccia tosta di proporsi alla massima carica dello stato, circondato da una corte, prona ad assecondarlo nel narcisistico proposito, dopo la discesa in campo del 1994, di chiudere nelle stanze quirinalizie la sua venuta in terra, quasi nella convinzione napoleonica “Je suis votre empereur”: tutto si è risolto, invece, in un amaro buco nell’acqua per il cavaliere e in una gran perdita di tempo per gli italiani.

 

Da tutto questo è emerso ancora più vistosamente lo scollamento tra elettorato e rappresentanza politica, tra paese reale e paese legale, infine tra la base periferica e l’area di vertice dei partiti, davvero tutti privi di una visione e di una strategia nelle quali si compongano necessità, opportunità e priorità future della vita nazionale.

Con la riconferma di Mattarella si è scelto di restare nel più oscuro conservatorismo di sopravvivenza, senza cambiare nulla, quindi, ancora più retrivamente rispetto alle parole di Tancredi nel Gattopardo “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. In conclusione, la rielezione di Mattarella è una pagina buia, difficile e preoccupante della storia italiana, è una riconferma della fragilità del nostro sistema politico.
A Paola Taverna, parlamentare del M5S, che con tanta ridicola prosopopea dichiara che “con il Mattarella bis si garantisce la stabilità del paese” chiedo se tale stabilità, guarda caso, non garantisca, ancora per un anno, soprattutto la sua fortuna personale di cittadina, incautamente baciata dalla politica, a dispetto di tanti italiani senza lavoro o in cassa integrazione, ora pure oppressi dalle bollette luce e gas, magari genitori con l’ansia che un loro figlio possa morire nell’ambito di un progetto di alternanza scuola-lavoro, come è accaduto al diciottenne Lorenzo Parelli di Castions di Strada in provincia di Udine: chissà!

 


Foto autore articolo

Franco D’Emilio

Storico, narratore, una lunga carriera da funzionario tecnico scientifico nell’Amministrazione del Ministero per i beni e le atiività culturali
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