Don Lorenzo Milani e il Prof. Alberto Manzi
Due maestri unici, col dono della disobbedienza
un esempio per le nostre attuali istituzioni scolastiche
Un po’ dappertutto continuano a svolgersi manifestazioni, dibattiti, presentazioni di libri nella ricorrenza del cinquantenario della morte di don Lorenzo Milani (1923-1967), l’indimenticabile parroco di Barbiana, e colpisce come molta attuale intellighenzia della sinistra postcomunista rivendichi proprie radici nel pensiero e nell’opera del tenace “innovatore pretino”…. lo chiamo così con l’affetto di chi l’ha conosciuto, era l’estate del ’64 e avevo tredici anni.
E’ dalla visita nel 2007 di Walter Veltroni, pellegrino ruffiano a Barbiana, che la sinistra accampa forzatamente un’infondata collocazione di don Milani sulle proprie posizioni, ma penso che tale pretesa possa dichiararsi definitivamente respinta dalle parole di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di S. Egidio, nella prefazione al recente testo di Michele Gesualdi, Don Lorenzo Milani, l’esilio di Barbiana: “ non un prete di sinistra, ma un prete dei poveri”, quindi inconsistente ogni interpretazione ideologico-politica della missione pastorale del nostro sacerdote.
Eppure, la recente partecipazione ad una manifestazione in ricordo del parroco di Barbiana mi ha sollecitato un parallelo tra la figura del priore e quella del prof. Alberto Manzi (1924-1997), il celebre insegnante di “Non è mai troppo tardi”, due uomini quasi coetanei ed entrambi, pur in vesti diverse, maestri unici per il loro valore, soprattutto accomunati da un dono, quello della disobbedienza critica, ma motivata.
Don Lorenzo promosse il riscatto culturale di ragazzi sfortunati, posti ai margini della società, educandoli all’analisi critica, ragionata delle contraddizioni della scuola e del sistema che la ispira: fu, quindi, un grande maestro, unico come insegnante ed educatore ai valori della vita, spesso disobbediente nei confronti della pedagogia ufficiale. Alberto Manzi, pedagogista plurilaureato, con la trasmissione “Non è mai troppo tardi”, da lui stesso ideata, fu il maestro unico che fino alla licenza elementare alfabetizzò milioni di italiani e, primo nel nostro paese, intese l’utilità del mezzo televisivo per quella che oggi chiamiamo “formazione a distanza”: Pasolini riconobbe come con il maestro Manzi la televisione avesse restituito parte di quanto solitamente sottrae alla cultura.
Assieme, poi, don Milani e Manzi sono stati maestri unici che, sì, criticavano, contestavano, ma sapevano anche proporre e, comunque, pagavano il prezzo delle loro posizioni. Nel 1981, ad esempio, Manzi si rifiutò di redigere le “schede di valutazione”, appena introdotte al posto della pagella, considerata obsoleta da incauti riformatori della scuola, propensi più all’appiattimento educativo che al riconoscimento del merito. – “Non posso bollare un ragazzo con un giudizio perché il ragazzo cambia, è in movimento; se il prossimo anno uno legge il giudizio che ho dato quest’anno, allora l’abbiamo bollato per i prossimi anni.” – Manzi pagò la “disobbedienza” con la sospensione dall’insegnamento e dallo stipendio.
Maestri unici, come don Milani e Manzi, sono stati un riferimento certo per bambini che vi riconoscevano un giudice del loro profitto e, perché no, cosa che non guasta nell’educazione, un principio di autorità: oggi è proprio tutt’altra cosa! Don Lorenzo e Manzi hanno davvero perseguito l’uguaglianza sostanziale dell’art. 3 della nostra Costituzione, per questo, oggi, devono essere d’esempio in una società che, invece, pretende di fare della scuola elementare soprattutto un servizio assistenziale alle famiglie e un ammortizzatore sociale.
Non dimentichiamo mai che la scuola deve istruire, educare, formare, garantendo agli studenti parità d’accesso e riconoscimento del merito, né tralasciamo che per fare questo occorrono insegnanti preparati e meglio retribuiti: solo docenti motivati, infatti, esprimono al meglio la capacità di razionalizzare risultati e costi all’interno dell’istituzione scolastica. Tutto il resto è solo demagogico, antidemocratico e strumentale.
Franco D’EMILIO
Forlì, 06 ottobre 2017