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Dove nasce e si nutre il terrorismo

IL TERRORISMO TRA EDUCAZIONE E INCLINAZIONE

Aspetti sociologici.

Se parlo di acido desossiribonucleico, potrò essere compreso all’istante solo da specialisti, mentre se dico DNA la maggioranza delle persone capisce che mi riferisco al patrimonio genetico di ciascuno. Così se parlo di educazione senza aggettivi, viene subito in mente quella di tipo comportamentale, tanto è vero che con il termine educato si indica qualcuno che segue una condotta sociale codificata nel galateo, mentre con quello di maleducato chi viola le regole con un comportamento ritenuto riprovevole dalla società.

L’educazione, concetto che implica la trasmissione e l’apprendimento di principi culturali e morali della società in cui si vive, è basata sulle usanze e sulle tradizioni di un popolo.

Quasi quattro secoli fa il pedagogo Comenio, che ovviamente non conosceva i segreti del DNA, nel trattato “Didactica magna” affermava che la natura conferisce all’uomo, al momento della nascita, i semi del bene e del male. I primi riguardano la moralità, la giustizia, l’onestà, la scienza, mentre i secondi il vizio, la prevaricazione, l’accaparramento, la ferocia. Questi semi germogliano e si sviluppano in modo diseguale nel tempo attraverso l’educazione immediata (familiare) e accessoria (scuola e contesto sociale) sicché alcuni inaridiscono a favore di altri che crescono più forti.

Aspetti giuridici.

Non a caso l’articolo 133 del nostro codice penale individua la capacità a delinquere nella disposizione o nell’inclinazione dell’individuo a commettere un reato che va desunta dalle spinte interne di carattere psichico, o esterne dell’ambiente, mentre la gravità del reato è valutata in base all’entità del danno cagionato, del dolo, dei mezzi impiegati, della condotta precedente e susseguente al fatto, dell’indifferenza e del cinismo, delle condizioni sociali, culturali, familiari e di vita.

Aspetti storici.

Chi abbia una reminiscenza di storia romana antica ricorderà Amilcare, generale cartaginese vissuto nel III secolo a.C. distintosi per lo sbarco in Sicilia con un corpo di mercenari e per le incursioni nell’Italia meridionale che sfociarono nella prima guerra punica. Il conflitto tra Roma e Cartagine si concluse con un trattato di pace e con l’imposizione alla città africana di pesanti tributi. Amilcare criticò strenuamente questo trattato ritenendolo giugulatorio, e intenzionato a non rispettarlo si vendicò con una spedizione nella penisola iberica dalla quale trasse le risorse necessarie alle riparazioni di guerra, e a finanziare un nuovo scontro frontale.

Nell’impresa portò con sé il figlio Annibale, di appena nove anni, al quale, secondo Polibio, fece giurare solennemente odio eterno verso Roma.

Si sa come andarono le cose: Amilcare sottomise in dieci anni di guerra tutte le città iberiche (Cadice, Alicante ecc.) che incontrò nella sua marcia tanto che i Romani gli inviarono un’ambasceria per fargli sapere che Roma non avrebbe tollerato una sua avanzata oltre l’Ebro, ove sorgeva la città di Sagunto definita amica del popolo romano.

Alla morte di Amilcare il comando passò prima nelle mani di Asdrubale e poi di Annibale che era intenzionato a sfidare Roma con l’attacco a Sagunto. Dopo vari ultimatum di resa con l’imposizione del pagamento di un ingente tributo, respinti dai Saguntini, decise l’assedio. La città aveva inviato a Roma i propri ambasciatori per sollecitare un aiuto in tempi rapidi, ma questi non riuscirono ad ottenere il pronunciamento favorevole.

Tito Livio nel raccontare che mentre il Senato romano era intento a discutere se inviare un’ambasceria per una trattativa in Spagna o a Cartagine, se si dovesse allestire una spedizione con un esercito solo di terra o anche una flotta per una guerra marittima, oppure se si dovesse limitare l’azione di rappresaglia contro Annibale senza coinvolgere la sua capitale africana, Sagunto, stremata dalla fame dopo otto mesi di resistenza, cadeva sotto l’assalto finale e il saccheggio più selvaggio, commentava amaramente “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur”,  (mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata). Allora come oggi!

La conseguenza ineluttabile fu che Roma dichiarò guerra a Cartagine dando inizio alla seconda guerra punica (219 a.C.) su sollecitazione di Catone (secondo la leggenda, in Senato incitando all’azione tirò fuori da sotto la tunica un cesto di fichi provenienti dall’Africa, per dimostrare che se il fico – frutto molto delicato – poteva resistere al viaggio da Cartagine, quest’ultima era troppo vicina a Roma e quindi andava distrutta) che pronunciò la famosa invettiva “Carthago delenda est” (Cartagine deve essere distrutta), frase che diventò il filo conduttore della sua azione politica ancorata ad una profonda convinzione strategica.

Tutta questa premessa serve a capire da dove venga il male assoluto che si è sviluppato nei secoli fino ad assumere ai nostri giorni l’aspetto del terrorismo più insensato, cinico e bieco.

Come viene alimentato l’odio terrorista.

Non credo che vi sia stato, almeno negli ultimi quaranta anni, un uomo politico, diplomatico, politologo, o sociologo occidentale che si sia mai occupato di esaminare a fondo ciò che viene insegnato nelle scuole elementari, medie e superiori di tutti quei paesi compresi nella vecchia definizione di mezza luna fertile.

I sussidiari così come i libri di storia, di geografia, e di economia politica nelle superiori, sono tuttora un distillato di livore verso l’Occidente visto come secolare usurpatore, tiranno, sfruttatore, traditore della parola data, infedele.

Come per molti decenni nelle scuole europee si è insegnato che il nemico era dovunque oltre il confine: Francia contro l’Inghilterra, Inghilterra contro la Spagna, Germania contro la Francia, Russia contro i paesi baltici, Turchia contro l’Europa, Italia contro l’Austria (avete presente il testo dell’inno di Mameli?) ecc. così in quelle scuole viene somministrata quotidianamente ancora oggi una dose di veleno antioccidentale.

E questo vale nel Medio Oriente dall’Iran fino al Magreb in cui riemergono rigurgiti dell’odio dei Parti, dei Cartaginesi e degli Ottomani, ampiamente nutrito nei secoli successivi per le devastazioni delle guerre di conquista delle crociate, per la cacciata dei mori dalla Spagna, per Lepanto, per le vessazioni del colonialismo francese e britannico e solo parzialmente italiano, per l’inganno degli accordi segreti Sykes-Picot, per l’aperta ostilità americana fondata sempre e comunque sulla protezione di Israele a prescindere dal diritto internazionale e dall’ONU, per il neo colonialismo economico-finanziario-militare attuato dagli Stati Uniti contro l’Iran, l’Afghanistan, l’Iraq, il Sudan, la Siria, la Libia.

In Europa abbiamo dovuto metabolizzare i disastri di due guerre mondiali, che hanno solo lambito i paesi arabi, per capire che bisognava abbandonare il nazionalismo e passare dai rapporti di buon vicinato a quelli di integrazione. In Medio Oriente ci vorranno ancora molti anni perché possa crescere una cultura democratica.

Stupisce perciò che ci si domandi ora, come mai la furia terroristica si accanisca contro cittadini inermi ed incolpevoli di quei paesi che sono stati sempre visti come nemici storici e seminatori di corruzione, mentre non ci si chiede come mai i terroristi (tutti originari di quel mondo, ma ormai con nazionalità europea), già inseriti nelle nostre società possano disporre di ingenti mezzi finanziari e sfruttare l’ampia protezione delle regole democratiche a loro esclusivo vantaggio.

Ormai il terrorismo, condotto con armi non convenzionali, può colpire dovunque (da Londra a Parigi, da Bruxelles a Mosca, da Nizza a Manchester, da Boston a Barcellona, da Berlino a Wuppertal, da Helsinki a Rotterdam  ecc.) con il vantaggio della sorpresa e della prima mossa del tutto inaspettata.

Se fosse un terrorismo puramente militare, non riuscirebbe ad ottenere così tanti seguaci dediti a morire in varie città del mondo, ma è diventato un terribile fanatismo ideologico. Ha avuto bisogno di coprirsi strumentalmente e in modo blasfemo con il mantello religioso, rinnegando nei fatti i veri comandamenti, per attirare masse di disadattati, psicopatici, fanatici, illetterati abilmente manovrati da chi gestisce i finanziamenti.

Questo secolo, aperto con la strage orrenda delle torri gemelle, è macchiato da un fiume ininterrotto di sangue che ha coinvolto ovunque la popolazione civile, assolutamente incolpevole. A nulla sono valsi i bombardamenti a tappeto, le distruzioni di massa, i missili, le cosiddette bombe intelligenti, le torture atroci di tipo medioevale, i droni utilizzati dall’Occidente in queste assurde  guerre, del tutto ingiustificate. Anzi hanno prodotto ulteriore odio da parte dei sopravvissuti che hanno visto morire dilaniati i loro cari o scomparsi nel nulla.

In Afghanistan gli Stati Uniti combattono da 16 anni (e noi servi sciocchi con loro) una battaglia più lunga e politicamente più devastante di quella del Vietnam, senza essere arrivati a capo dell’obiettivo strategico che si erano prefissati dell’esportazione della democrazia. E’ una guerra persa e valeva la pena per questo colossale fiasco politico-militare spendere 800 miliardi di dollari e non fermarsi neppure dopo la vendetta contro Osama Bin Laden, Zawahiri e il Mullah Omar?

Forse che il terrorismo è diminuito dopo la loro esecuzione o quella di Saddam Hussein e la distruzione dell’Iraq motivata da prove false, o dopo l’uccisione di Gheddafi e la disarticolazione della Libia, o dopo l’inutile massacro della Siria? No è aumentato di cento, mille volte e colpirà ancora.

Quale politico dedito ai vertici inutili ed alle foto ricordo dovremmo ringraziare per le centinaia di vittime innocenti avute in Europa ad opera di fanatici assassini che vendicano le centinaia di migliaia di bambini morti sotto le bombe occidentali o di stenti per mancanza di cibo e di medicine?

Come difendersi.

E’ inutile lanciarsi in tiritere di esecrazione dopo ogni strage; è del tutto fuorviante ripetere la giaculatoria di non avere paura se non si è capaci di condurre un’azione strategica coordinata e obbligatoria almeno a livello europeo.

Non sono certo risolutive le varie misure cosiddette precauzionali tipo controlli di sicurezza negli aeroporti, ostacoli fisici con barriere di cemento, presidi armati di sorveglianza sulle strade e a protezione di obiettivi sensibili, o le espulsioni dei soggetti pericolosi. Tutte servono a ridurre momentaneamente l’area del pericolo incombente ma non ad incidere drasticamente sul fenomeno.

Possibile che non ci si renda conto che il terrorismo ha il vantaggio di inventare ogni giorno nuovi strumenti e strattagemmi?

L’unico vero antidoto sarebbe un assiduo ed effettivo scambio di informazioni di intelligence per efficaci azioni coordinate e l’inaridimento delle fonti di finanziamento, cioè l’interruzione di ogni rapporto politico, diplomatico, commerciale con quei paesi che a parole condannano il terrorismo e di fatto lo tollerano purché agisca lontano dal loro territorio e lo sostengono con denaro, con armi, con prediche deliranti, con propaganda velenosa senza controllo.

Questo vale anche all’interno della nostra società, in cui occorre l’isolamento e la punizione di ogni comportamento antistatale e contro la sicurezza individuale.

Fino a quando le comunità straniere dal punto di vista etnico e religioso non operino nei fatti secondo le nostre regole, leggi, usanze e costumi e non combattano apertamente contro ogni forma di terrorismo non sono degne della nostra ospitalità. L’equazione diritti-doveri non ammette interpretazioni, né distinguo.

Anche l’Italia è sotto minaccia ed il fatto che fino ad ora non sia stata teatro di operazioni terroristiche di rilievo non fa che aumentare il pericolo, secondo il calcolo delle probabilità, che si debba condividere la sorte degli altri paesi colpiti.

Non possiamo cancellarlo, ma abbiamo il dovere di ridurlo al minimo. Ci vorrebbe una sensibilità governativa verso una maggiore sicurezza nei fatti e non solamente declamata, facilmente attuabile con il ridisegno delle nostre relazioni con l’estero, con la ridiscussione della nostra appartenenza alla NATO esistente oggi solo in funzione della politica americana, con il ritiro immediato di tutti i nostri contingenti militari dall’estero e con l’altrettanto massiccio aumento all’interno del paese delle forze dell’ordine, dell’intelligence e dell’apparato giudiziario.

Torquato Cardilli