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È sempre l’8 Settembre

Si continua, in Italia, a celebrare le sconfitte e così, per consuetudine, si è tornati a commemorare l’8 Settembre 1943, come l’inizio del riscatto nazionale.

In realtà questa data, tragicamente nota, segna non la morte della Patria, come da alcune parti si è voluto sostenere, certamente la dissoluzione dello Stato.

L’armistizio, in realtà una resa incondizionata, fu, nelle immediate e successive conseguenze, la più grave dimostrazione della fragilità istituzionale e dell’assoluta incapacità di salvaguardare la vita ed i beni del popolo italiano: la difesa della Capitale, combattuta contro preponderanti forze tedesche, vide un Esercito abbandonato al suo destino da uno Stato Maggiore e da una Corte più preoccupati della propria incolumità che di garantire quella nazionale. La partecipazione, in quelle quarantotto ore di scontri, tra la Magliana e Porta San Paolo, di numerosi civili non rappresentò l’inizio di quella resistenza partitica organizzata e poi marginalmente presente nella successiva guerra di liberazione, ma una spontanea adesione alla lotta contro l’invasore straniero.

Già all’indomani della caduta di Mussolini, il 25 Luglio, il transitare dal Brennero di ingenti forze tedesche era avvenuto nella colpevole indifferenza del Governo Badoglio; l’ingresso nel nostro territorio di uomini e mezzi era la chiara dimostrazione come Berlino non fosse all’oscuro di una prossima defezione italiana. E così avvenne: una tragedia per tutti, militari e civili, che si prolungò nel tempo e non terminò con la fine della guerra civile, visto le pesantissime conseguenze del Trattato di Pace o meglio del Diktat.

Lo spirito di quel giorno di settembre, purtroppo, è rimasto nel DNA nazionale, condizionando i tanti governi che per settant’anni, con rari sussulti di dignità, hanno continuato a farsi zerbino di quelle potenze mondiali che dichiaravano di esportare democrazia, mentre condannavano l’Italia e l’Europa a quel ruolo subalterno che tutti noi conosciamo e dal quale non riusciamo a liberarci.

Una canzone, un inno di guerra d’ispirazione fascista, celebrava la virtù del sangue contro l’oro, e molti pensavano che quelle parole fossero mera retorica, ma, ricordando quanto, ancora oggi, si mistifica e si esalta ad arte e sempre a favore di chi detiene la ricchezza, forse quella espressione appare realistica. Un mondo, dunque, dove il sangue sparso per la dignità fa più paura del servaggio collettivo e con il nostro provincialismo storico che, nell’immobilismo, ci fa amare la sconfitta e detestare il rischio della verità.

Alessandro P. Benini

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Alessandro P. Benini

Esperto di Finanza e di Storia dell'Economia.