Elezioni Europee: intervista a Tiberio Graziani, Presidente di VISION & GLOBAL TRENDS
CONVERSAZIONE a 360° con TIBERIO GRAZIANI
La mancanza di una politica estera condivisa, i possibili scenari futuri, una campagna elettorale che risulta poco attenta ai contenuti, ma incentrata sulla personalizzazione del momento elettorale. Di questo e di altri aspetti del ruolo europeo nello scacchiere internazionale abbiamo parlato con Tiberio Graziani, esperto di geopolitica e presidente di “Vision & Global Trends” – Istituto Internazionale di Analisi Globali.
Antecedentemente alla fondazione di “Vision”, Graziani è stato presidente dello IsAG – Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, che aveva però una dimensione più nazionale, al pari di altri istituti italiani come lo IAI – Istituto Affari Internazionali o l’ ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale.
Prima di rispondere alle nostre domande, Graziani ha desiderato illustrare esaustivamente l’attività e le iniziative dell’Istituto Vision & Global Trend, caratterizzato da una prospettiva non più nazionale, ma internazionale e globale, il cui obiettivo quello di “stabilire sinergie tra soggetti pubblici, privati, mondo accademico, enti di ricerca e mondo associazionistico”. A tale scopo, l’istituto organizza periodicamente incontri e dibattiti tra rappresentanti delle istituzioni democratiche, cittadini e società civile per condividere conoscenze, idee e progetti utili a costruire una visione complessiva e di insieme.
Politica internazionale, analisi geopolitica e nuove tecnologie avanzate sono i campi d’indagine privilegiati dall’istituto e rivestono un ruolo fondamentale nel mondo globalizzato. La tecnologia che ha esaltato il rapporto comunicativo tra individui, ha però modificato anche l’approccio con l’idea del tempo, che oggi possiamo definire di tipo virtuale. Da questo deriva una mancanza di interpretazione storica, “che è fondamentale per l’uomo in quanto unico animale storico: se manca l’interpretazione storica delle cose, viene meno anche una visione prospettica di lungo periodo perché non riusciamo più a vedere bene che cosa abbiamo dietro di noi, il nostro passato” ha spiegato Graziani. “La concezione del tempo è fondamentale, ma sono fiducioso che le nuove generazioni saranno in grado anche di trovare un equilibrio con la nozione di storia e di tempo“. E’ proprio per questo che Vision&Global Trends pone l’accento sul concetto di visione – che domina anche il nome dell’istituto – “perché avere una visione significa riflettere su cosa vedo, su come lo vedo e su come lo interpreto”.
1.- Parlando di visione prospettica, sono state azzardate diverse ipotesi sui risultati delle elezioni europee del 26 maggio. Si è fatto un’idea di che tipo di Parlamento uscirà fuori dalle urne?
Al momento non sappiamo quale sarà il prossimo Parlamento europeo. Se mi avesse fatto questa domanda qualche mese fa avrei pensato ad una forte presenza dei partiti cosiddetti neo-sovranisti, ma oggi non saprei dirlo con certezza. Questo soprattutto perché si è diffusa la percezione che le elezioni europee siano un referendum sul sovranismo: conoscendo bene gli italiani, credo che una volta posti di fronte ad una scelta netta, tra bianco e nero, tenderanno a rimanere nel mezzo su posizioni moderate. Sicuramente la presenza nel Parlamento di forze considerate neo-sovraniste o neo-populiste sarà consistente.
2.- Nella propaganda elettorale italiana è assente un vero e proprio discorso europeo, che affronti e analizzi le possibilità di questa entità continentale che oggi vive una fase di dispersione. È possibile rattoppare questo sfilacciamento tra le parti che la costituiscono?
L’Europa è una parte del globo, per cui è necessario utilizzare un approccio geopolitico che consenta di analizzare i rapporti di forza con le altre potenze mondiali. In questa fase storica, se non fai parte di una apparato di tipo continentale, non hai la possibilità di metterti a negoziare con le altre potenze a livello globale. Lo stesso può valere per l’Europa: ragionare e approcciare problemi di natura mondiale e globale provvisti solo di un apparato politico e ideologico dello stato nazione è impensabile. L’Europa è stata forte e dominante solo fino a quando erano in vigore le concezioni di tipo imperiale, quando non c’erano gli stati nazionali ma le popolazioni convivevano – talvolta anche con regole diverse – senza mettere continuamente in discussione il ruolo dell’Impero.
L’Europa in questo momento storico soffre le conseguenze di un atteggiamento di retroguardia nei confronti delle altre potenze globali. Geo-politicamente parlando, nel rapporto con gli altri paesi si può scegliere se assumere un atteggiamento di negoziazione – con quelle entità con cui non condivido principi o con cui mi sento in competizione – oppure un atteggiamento di cooperazione – da esercitare nei confronti di chi vedo come un possibile alleato. Per esempio, gli Stati Uniti fanno parte di quegli stati con cui l’Europa dovrebbe iniziare a ragionare non in termini di cooperazione ma di negoziazione, mentre potrebbe cominciare a cooperare più frequentemente con paesi come la Russia, la Cina o l’india.
Manca nel dibattito politico nazionale, da parte di tutti i partiti politici la percezione di questo tipo di differenza. La tendenza generale che si registra oggi è quella di non occuparsi di cosa avviene nelle altre aree del globo e di non guardare oltre la propria situazione nazionale: questo conduce alle conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.
3.- È possibile che questa crisi derivi da un deterioramento della classe politica europea, cosa che non c’era negli anni Cinquanta?
Sicuramente è cosi. La classe politica che ha dato vita all’Europa negli anni Cinquanta, si è formata durante la lunga guerra civile in Europa, che cominciò già con la fine dell’Ottocento e che fa parte della loro cultura e della loro formazione: spesso si fa riferimento alla cultura delle personalità politiche degli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso come ad una cultura provinciale quando invece non era affatto così.
Va sottolineato però, che oggi l’Europa si trova in un momento di svolta, perché se ci fossero persone disposte a costruire da capo l’Europa si potrebbe far leva su diversi punti di forza che l’aiuterebbero a costituirsi come entità coesa: la potenza nucleare; l’industria e la capacità industriale; la posizione strategica sul Mediterraneo. Sono elementi su cui si dovrebbe far leva per dar vita al processo di ricostruzione dell’Unione Europa. Dovendo dare un consiglio a qualcuno disposto a farsi carico di questo onere e della formazione di un partito europeo, gli direi che servirebbe trovare un modo alternativo a quello attuale per gestire la moneta unica, ricreare la coscienza di un’industria europea e pensare alla forza lavoro, dotandosi eventualmente di un grande sindacato europeo. Serve però soprattutto una ristrutturazione di tipo culturale dell’Unione, attraverso una riflessione geopolitica su cosa sia l’Europa di oggi e chi sia il cittadino europeo.
4.- Come vede la mancanza di politica estera in Italia e in Europa?
L’assenza di una propria coscienza geopolitica porta con sé la tendenza a non avere un’idea precisa di come rapportarsi con gli altri paesi e il mancato sviluppo di una politica estera nazionale. Nel passato recente italiano c’è chi ha avuto un’idea materiale della politica estera: ad Enrico Mattei fu affidato il compito di gestire il fallimento di una società che si occupava di risorse energetiche, l’Agip.
Mattei si rese conto che in realtà c’erano ancora buone potenzialità e si pose il problema importantissimo di ricostruire l’Italia, che non era un paese energetico. Questo ha portato inevitabilmente a porre le basi per lo sviluppo di una vera e propria politica estera nazionale della Repubblica attraverso lo sviluppo dell’Eni: mettendo tra le priorità dello Stato l’approvvigionamento energetico, si cercò di saldare diverse relazioni di tipo economico ed energetico con altri paesi per portare a casa questo risultato. L’Italia si è mossa molto bene per diverso tempo, ma chi ha fatto la politica estera nel paese è stata l’Eni e questo spiega anche le relazioni con alcuni paesi come l’Iran, o le posizioni talvolta ambigue nei confronti della questione israelo-palestinese. Oggi manca questo tipo di approccio da parte della classe politica.
5. – Sappiamo che le elezioni europee hanno il potere di modificare anche gli equilibri interni ai paesi dell’ Unione Europea. Quali ripercussioni potrebbero avere i risultati delle elezioni sul versante italiano? Se ci fosse, ad esempio un risultato eclatante (come in un certo senso si considera il 40% ottenuto dal PD di Matteo Renzi durante le ultime elezioni del 2014) ci potrebbero essere conseguenze analoghe?
Ci sono diverse analogie che accomunano le due situazioni: Matteo Renzi affrontò le elezioni europee del 2014 con l’idea di fare un referendum su se stesso e la stessa cosa sta facendo anche Matteo Salvini con le votazioni di oggi. Si può però individuare una grande differenza: Renzi dopo il grande successo delle scorse europee ha subito un grande crollo in termini di consenso perché si è trovato contemporaneamente a dover respingere gli attacchi dei suoi stessi compagni di partito e delle opposizioni. Salvini invece risulta oggi un capo omogeneo all’interno della Lega e non ha all’interno del suo partito avversari che potrebbero danneggiare la sua posizione. Se ottenesse il 30 o 40% dei voti, presumibilmente ne uscirebbe rafforzato.
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Qui termina la conversazione svoltasi alcuni giorni fa presso la nostra redazione, ma ci siamo dati un nuovo appuntamento con Tiberio Graziani, per esaminare i risultati che usciranno dalle urne dopo la Domenica del 26 Maggio.
a cura di FABIANA LUCA ed ALESSANDRO BENINI