Emmanuel Macron, il finto europeista
E la minaccia per la libertà economica e gli scambi commerciali sarebbe stato il Presidente degli USA, Ronald Trump? Ed il pericolo per la circolazione delle idee e per internazzionalizzazione della cultura sarebbe il Premier ungherese Viktor Orbán?
Mentre Emmnuel Macron avrebbe dovuto incarnare l’ideale liberista e liberale e sarebbe dovuto essere il campione della solidarietà trai Paesi europei. Proprio per questo fu acclamato da tutti all’esito delle elezioni francesi e, sopratutto, per aver disinnescato la bomba sovranista “Marin Le Pen”. Erano tutti macroniani da noi in Italia, poco più di sette mesi fa: a partire da Matteo Renzi “La vittoria di Macron scrive una straordinaria pagina di speranza per la Francia e per l’Europa. En Marche! In cammino”; il premier Paolo Gentiloni “Evviva Macron, una speranza si aggira per l’Europa”; Angelino Alfano, titolare degli Esteri “Può brindare la Francia e può brindare chi crede nell’Europa della libertà, della sicurezza, del libero mercato e della solidarietà”; Andrea Romano “Macron si è ispirato ad alcune proposte di Renzi, le sue proposte somigliano a quelle di Matteo”; Piero Fassino “Chiama anche il Pd a una duplice sfida: concorrere alla costruzione di un moderno riformismo europeo”; Gennaro Migliore “L’analogia tra Macron e Renzi sta nella loro capacità di innovare la sinistra”; Marianna Madia “Il messaggio più forte è che si può riuscire a cambiare l’Europa con la forza della politica”; Sandro Gozi, sottosegretario a Palazzo Chigi “Sono amico di Emmanuel, sapevo che avrebbe vinto. Ha detto ‘mi ispiro a Renzi’ e quando Matteo ha vinto le primarie è stato uno dei primi a sottolineare quell’affermazione. Hanno una visione e un progetto che li lega: cambiare l’Italia e la Francia per cambiare l’Europa”.
In effetti Macron era riuscito a vincere le elezioni, presentandosi proprio come il candidato del rilancio dell’Europa, della difesa comune del nostro continente, dell’europeismo senza se e senza ma, auspicando persino un Buj European Act del tipo di quello statunitense per privilegiare l’industria UE nelle gare pubbliche e teorizzando un ulteriore trasferimento di sovranità nazionale, nella convinzione che oggi “La France c’est Europe”.
Conquistato l’Eliseo questo politico costruito a tavolino si presenta con una faccia vecchia, dirigista, statalista, protezionista. Europeista a giorni alterni, solo quando fa comodo alle sue esigenze di potere, alla Grandeur della Francia ed erige barricate e si arrocca dentro i confini nazionali. Si muove tra retaggi sciovinisti e protezionismo economico per favorire le imprese ed i lavoratori francesi, quindi nel segno della continuità con i suoi predecessori, per questo ha fatto uno sgambetto all’Italia e ci ha dato un schiaffo in faccia che dovrebbe bruciare ai nostri governanti ed a tutti i nostri politici. E’ uno spregiudicato questo Macron, del tipo Sarkozy che abbiamo già conosciuto: da Fincantieri alla Libia, passando per la chiusura agli immigrati ed il blocco al progetto della Lione-Torino, pratica una politica nazionalista a tutto campo, senza guardare in faccia a nessuno. Per questo a sette mesi dall’ingresso all’Eliseo ha perso decine di punti di popolarità in Francia e in Europa e poco tempo fa è stato persino in difficoltà per una petizione di duecentomila francesi per la questione del ruolo di Première Dame che avrebbe voluto assegnare a sua moglie Brigitte.
Questo presidente, per difendere gli interessi del suo Paese, ha giustificato la nazionalizzazione dei cantieri navali di Saint-Nazaire con “la difesa dei posti di lavoro, la valenza strategica dell’impresa anche per il settore militare, la salvaguardia del suo patrimonio tecnologico”, nonostante la società italiana Fincantieri avesse raggiunto un accordo, quando all’Eliseo c’era ancora François Hollande, per acquisire il 66% dei Chantiers de l’Atlantique di Saint Nazaire con il passaggio di consegne tra italiani e coreani della Stx che possedevano i cantieri ma che erano falliti.
L’accordo, peraltro, allora fu salutato in Francia come una buona intesa che prevedeva investimenti da parte italiana, garanzie occupazionali e la nascita di un gruppo navale di livello mondiale.
Ma alla scadenza del 29 luglio, termine ultimo per esercitare la prelazione, il presidente Emmanuel Macron decise – come si diceva – di nazionalizzare i cantieri forte della concessione strappata ai vecchi proprietari di Saint- Nazaire, la sudcoreana Stx Offshore & Shipbuilding. Quest’ultima, va ricordato, anche nel 2007 fu preferita dallo Stato francese a Fincantieri, allorquando la norvegese Aker Yards, che aveva rilevato i cantieri sulla Loira dalla Alstom, proprietaria fin dal 1984, decise di metterli in vendita. In base a quegli accordi, la Francia, che detiene una minoranza di blocco nel capitale di Stx (il 33,3%), gode di un diritto di prelazione che può esercitare entro 60 giorni. Il termine del 29 luglio era partito da fine maggio, cioè dal momento in cui il tribunale di Seul che aveva gestito la procedura fallimentare della holding sudcoreana, aveva notificato ai francesi di aver siglato con Fincantieri l’atto di vendita della restante quota (66,7%).
A luglio scorso, dunque, arrivarono le dichiarazioni del ministro francese dell’Economia, Bruno Le Maire, incaricato dal presidente Emmnuel Macron: «Non vogliamo correre nessun rischio sul futuro dei posti di lavoro, sul futuro delle competenze, dei territori, in un sito industriale cosi strategico come quello dei cantieri industriali di Saint Nazaire», anche se ha proposto di creare un polo allargato al militare, coinvolgendo il Naval Group, l’ex Dcns colosso statale della difesa offrendo la partecipazione al 50% all’Italia.
Tutto si era bloccato, dunque, nonostante fosse chiaro fin dall’inizio che l’aggregazione avrebbe portato vantaggi sia agli italiani che ai francesi, visto che i due cantieri sarebbero in grado di integrarsi senza particolari sovrapposizioni industriali: Fincantieri (4,183 miliardi di euro il fatturato 2016; 14 milioni di euro l’utile 2016; 21.900 dipendenti nel 2016; 71,6% delle azioni proprietà di Fintecna, cioè dello Stato italiano), Stx France è specializzato nella costruzione di navi da crociera, come Fincantieri, in Italia, e Meyer Werft, in Germania. Sono i tre gruppi che oggi si spartiscono il mercato delle navi di crociera del mondo. Stx ha un grande bacino di carenaggio lungo 900 metri e largo 70 in grado di costruire in contemporanea due navi della classe Oasis (da oltre 220 mila tonnellate di stazza), il cantiere dispone poi di un bacino da 450 metri e 95 di larghezza e di un altro da 350 metri per 50. Dunque Stx è il cantiere in Europa in grado, più degli altri, di soddisfare le richieste delle compagnie crocieristiche, che vogliono navi sempre più grandi. Insieme a Fincantieri coprirebbero il 60% circa del mercato mondiale delle costruzioni di navi da crociera. “Dall’integrazione di Fincantieri, Naval Group ed STX France – ha ricordato Bono, Amministratore della società italiana – emergerà il leader mondiale nella costruzione di navi complesse ad alto valore aggiunto, con ricavi annui totali di circa 10 miliardi di euro, un carico di lavoro (backlog) di circa 50 miliardi di euro, un portafoglio tecnologico all’avanguardia e una forte presenza internazionale (in oltre 20 paesi) con circa 35.000 dipendenti e un indotto in Europa stimato in oltre 120.000 persone”.
La “vertenza” si è, bene o male, chiusa al vertice di Lione tra Macron e Gentiloni con un compromesso a perdere per l’Italia. Infatti l’accordo raggiunto ha modificato le condizioni fissate a suo tempo con Francois Holland: con la prima intesa, il gruppo di Trieste avrebbe dovuto raggiungere il 66,7% del capitale di Stx, in pratica il totale controllo dei cantieri di Saint-Nazaire. Con il nuovo accordo a Fincantieri spetterà solo il 50% di Stx. Il gruppo Italiano però potrà usufruire di un 1% di capitale prestato dalla Francia, che consentirà a Fincantieri di detenere il controllo per i prossimi 12 anni, fissando però precise condizioni, che in effetti ci mettono totalmente nelle mani dei francesi: Parigi potrà revocare il prestito in caso di inadempimento di Fincantieri rispetto agli impegni industriali presi e, in quel caso, il gruppo italiano potrà rivendere il 50% alla Francia. Nel corso dei 12 anni di prestito verranno previste specifiche verifiche ogni tre mesi dopo due, cinque, otto e dodici anni, relative alle governance, alla proprietà intellettuale ed al know-how, lo sviluppo dei cantieri, il mantenimento dei posti di lavoro e dei subappalti, l’uguale trattamento all’interno del gruppo. Nell’intesa con Hollande, per la Francia era prevista solo la minoranza del 33%. Inoltre il board del super-gruppo sarà composto da otto membri: quattro (compresi presidente e amministratore delegato) nominati da Fincantieri, due dallo Stato francese, uno da Naval Group e uno dai dipendenti. Dunque, nei fatti, quattro anche di parte francese. Con il gruppo di Trieste al 66% ci si sarebbe assicurati almeno un consigliere in più. Il voto del presidente italiano varrà doppio, quindi il controllo di fatto del cda spetterà al gruppo capitanato da Bono. Ma sulla nomina di presidente e amministratore delegato Parigi ha potere di veto.
Nuove sinergie poi , si dice, si troveranno e si realizzeranno anche per il settore militare, per il quale non si sono valutate però quali potranno essere le conseguenze sul nostro campione nazionale del settore, Finmeccanica, oggi Leonardo.
La vicenda Stx e Fincantieri è l’ultima di una serie scorrettezze e di schiaffi in faccia che ci vengono “ammollati” dai francesi e che risalgono ad oltre 50 anni fa, come ha ricordato il Prof. Giulio Sapelli: “Alla fine degli anni ’60, quando Fiat tentò di accordarsi con Citroen, Gianni Agnelli aveva quasi chiuso le trattative, ma poi intervenne il generale Charles de Gaulle a bloccare tutto e a proporre un gruppo paritetico. Mancava poco che accadesse l’esatto contrario, che i francesi arrivassero a comprarsi la Fiat”. Scorrettezze e schiaffi proseguiti con i pellegrinaggi dei leader francesi a Berlino, per prostrarsi alla Merkel, con gli incontri bilaterali per decidere le sorti dell’Europa, senza l’Italia, con la convocazione dei leader libici, escludendo il nostro Paese, che ha il carico maggiore nella vicenda degli immigrati, che approdano da noi in centinaia di migliaia, e che della Libia è il principale partner. Sulla Libia, il presidente francese si è voluto imporre come protagonista del processo di pace, rafforzando il ruolo del generale Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, rispetto al presidente Sarraj, riconosciuto dall’Onu e nostro interlocutore privilegiato. Macron gioca una partita a tutto campo, per consolidare il suo peso politico e militare anche nel Nord Africa.
L’Italia, nonostante la forte presenza dell’Eni, il dispiegamento di uomini, mezzi e navi, rischia di avere un ruolo di seconda fila nella Libia di domani.
L’ultima crociata nazionalista di Macron è quella di chiedere la modifica delle regole sul lavoro che all’interno dell’Unione europea penalizzano le imprese francesi a tutto vantaggio della concorrenza che viene dall’Europa dell’Est. E’ peggio di Trump: sui migranti economici e sui costi del lavoro nell’Est che considera come concorrenza sleale all’interno della Ue.
La storia dei rapporti industriali e finanziari fra Italia e Francia del resto si ripete e, come spesso accaduto, a senso unico, cioè nel senso del capitalismo “made Parigi”. Prima vengono gli interessi nazionali per i francesi, poi le regole di mercato.
Di fronte a questo comportamento c’è stata l’irritazione da parte italiana su diversi fronti, ma poi? Cosa è stato fatto concretamente per tutelare i nostri interessi? Quanto hanno pesato le nostre proteste? Pare niente.
In effetti l’Italia non è stata mai in grado di sapere quale sia il proprio interesse nazionale; nemmeno ora che lo sviluppo del processo di integrazione europea, che avrebbe dovuto portare al superamento degli interessi nazionali, ha prodotto l’esito opposto.
La verità è che nel mondo globale il protezionismo economico cresce ovunque: persino a Berlino, patria di liberismo, si è appena varata una legge per limitare le scalate a società e infrastrutture strategiche e per evitare rapine di tecnologia.
Un recente provvedimento prevede norme severe riguardo l’acquisto di imprese con una valenza anche sociale – per esempio quelle dell’acqua, dell’energia elettrica e del gas – oppure la cui vendita potrebbe mettere a rischio l’ordine e la sicurezza della Repubblica Federale. Si tratta prevalentemente della tecnologia militare. Secondo il nuovo decreto, in futuro sarà più difficile per gli investitori fuori dall’area Ue comprare imprese con un alto know how tecnologico, per esempio quelle produttrici di software o programmi per le centrali nucleari, elettriche, per istituti di credito, banche, ospedali e aeroporti.
D’ora in poi il governo tedesco si riserva più tempo per dare le autorizzazioni. Non più due mesi, ma quattro. Il governo, vuole cioè fare verifiche più impegnative ed approfondite utilizzando anche le informazioni raccolte dai servizi segreti. Inoltre sarà effettuata un’attenta verifica sul reale Paese di origine dell’acquirente, onde evitare sedi fittizie in un Paese europeo.
Queste misure di fatto bloccheranno progressivamente investimenti stranieri in Germania.
Del resto tutti i Paesi occidentali cercano di proteggere la loro industria e il lavoro dentro i confini nazionali. L’Austria, ad esempio, nonostante le critiche, ha già introdotto una legge che rende più difficile assumere personale che viene dai vicini Paese dell’Est. I Paesi dell’Europa centro-orientale – dalla Repubblica Ceca, all’Ungheria, fino alla Polonia – rivendicano dal loro canto il diritto di sfruttare il vantaggio di costo e quindi di produttività, anche e sopratutto nel lavoro, per tentare di raggiungere l’Occidente con il quale ancora non possono competere per qualità dei prodotti e per conoscenza accumulata.
Anche noi disponiamo di una normativa analoga. (il Dpcm 30 novembre 2012, numero 253, “recante individuazione delle attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale”), che potrebbe essere fatta valere proprio per la vicenda Telecom / Vivendi, non come ritorsione alla nazionalizzazione francese dei cantieri navali Saint-Nazaire, ma perché trattasi di “attivi di rilevanza strategica nel settore delle comunicazioni” sui quali il governo ha poteri speciali, per i quali scatta la cosiddetta “golden power”. Tale tipo di protezione è stata recentemente con il decreto fiscale ulteriormente rafforzata per evitare “scorrerie” e scalate opache.