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Fase 2: maggio il mese delle possibili riaperture ma come sarà cenare nuovamente al ristorante?

Il 4 maggio, il giorno che tutti gli italiani hanno segnato in rosso sul calendario, partirà la tanto attesa fase 2. Sicuramente non  un “libera tutti” dopo il quale sarà tutto come prima, ma un piccolo passo verso la così desiderata normalità. Già da oggi 14 aprile, hanno riaperto librerie, cartolibrerie (ad eccezione della Lombardia), negozi di articoli per neonati e bambini; dal 20 aprile dovrebbe poter iniziare la produzione in diverse fabbriche. Dal 4 maggio appunto, riapriranno negozi e attività commerciali con ingressi che andranno probabilmente scaglionati in una qualche modalità ancora da definire. Poi toccherà a tribunali e studi professionali l’11 maggio; il 25 maggio riaprono estetisti, parrucchieri ma con ingressi singoli ed il 31 maggio ripartirà lo sport professionistico.

Per ristoranti e bar, invece la situazione è diversa, secondo varie ipotesi che circolano e stanno rimbalzando ovunque in rete. La data ufficiale sarebbe il 18 maggio, ma è difficile (anzi quasi impensabile) che si potrà tornare in questi locali come prima dell’emergenza sanitaria. Dovrà essere garantita la distanza interpersonale tra dipendenti e commensali, e nelle cucine tra cuoco e camerieri; i tavoli dovranno essere posizionati almeno a due metri l’uno dall’altro e con una certa probabilità si parla di mettere dei discutibili divisori in plexiglas. 

Ma tutto questo cosa comporta per i ristoratori e per i clienti stessi?

A riguardo trovo molto esauriente un’intervista, pubblicata oggi su https://Dissapore , a Pietro Cairoli del famoso Trippa di Milano, di cui riporto alcuni passaggi.

La situazione è difficile, resa ancor più cupa dalla mancanza di risposte. Oggi ho pagato l’affitto del mese per il locale, e se a marzo ci è stato concesso il 60% come credito d’imposta, per aprile ancora non si sa. È stato lasciato tutto alla negoziazione privata. Da un punto di vista legale non abbiamo possibilità se non quelle di recedere dal contratto, e da un punto di vista istituzionale siamo in una fase di stallo che viene lasciata colpevolmente nelle nostre mani”.

– Qual è attualmente la situazione di Trippa?

Siamo fermi, totalmente. Abbiamo fatto alcune valutazioni, come l’opzione di fare delivery, anche solo per una vicinanza con i nostri clienti che ce lo chiedono in continuazione. Però abbiamo lasciato stare, per il timore di non riuscire a fare le cose come vorremmo. Un delivery come lo vorremmo noi implica alti costi a livello organizzativo, e non so fino a che punto possano essere ripagati. Senza contare che non è il nostro lavoro, sarebbe come chiedere a un calciatore, visto che il campionato è sospeso, di darsi alla pallanuoto”.

– Avete dipendenti?

“Nove, tutti in cassa integrazione.

– Proviamo a quantificare le perdite di questa situazione?

“Per noi il calcolo è abbastanza facile da fare, se parliamo di mancato incasso: stiamo perdendo circa 70.000 euro al mese”.

– Quindi aspettiamo la Fase 2?

“Io ho ovviamente un’opinione influenzata dalla tipologia di ristorante che abbiamo. Se parliamo di Fase 2, senza scendere nei tecnicismi, significa vedere minimizzata o annullata la convivialità. Una riduzione dei coperti, con conseguenze importanti: riduzione dello staff, riduzione degli incassi e una serie di attività collaterali che ci metterebbero in difficoltà nel far quadrare i conti”.

– Pensi che la clientela sarebbe frenata in questa ipotetica Fase 2?

“Io parlo a titolo assolutamente personale: a queste condizioni tu andresti al ristorante? Io francamente no. Credo possa essere un’opinione condivisa. Ho sempre un po’ di timore ad espormi, ma io francamente non riesco a pensare a qualcuno che possa reputare bello o divertente passare una serata separati da un plexiglass. A questo punto invito i miei amici a casa, se ho l’alternativa. Anche perché così si lanciano messaggi contrastanti: vai al ristorante, ma occhio che potresti ammalarti”.

– Quindi meglio aspettare la Fase 3?

“Sì. Io preferirei un prolungamento nel lockdown finché non siamo sicuri di poter riaprire alla stesse condizioni o quasi di prima. Quindi magari rendiamo facoltativa la riapertura in Fase 2, se questo significa rinunciare ad aiuti e ammortizzatori sociali: ognuno decida cosa preferisce fare. La cosa di cui tutti avremmo bisogno davvero è più chiarezza anche su ciò a cui si andrà incontro, anche per valutare consapevolmente se sia meglio riaprire nella Fase 2 o aspettare la Fase 3. In questo momento è impossibile fare programmi seri. Attualmente siamo solo spettatori, senza alcuna informazione ufficiale. E invece abbiamo necessità di averle, anche per poterci adeguare per tempo in in maniera organizzativa e strutturale”.

– Facciamo un esempio?

“I famosi divisori in plexiglass: dove li trovo? Quanto costano? Quando mi arrivano se li ordino? Come si puliscono, o come si adattano ai tavoli? È impensabile che me lo dicano oggi e io sia pronto ad aprire domani”.

 
fonte dissapore.com

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