GIORGIO LA PIRA da Pozzallo al resto del Mondo
Dal Codice di Camaldoli 1943 alla fine del “carisma” con i referendum sul divorzio e l’aborto. Una riflessione sul “Venerabile della Chiesa” e la Repubblica italiana
RAFFAELE PANICO
Nato a Pozzallo il 9 gennaio 1904, morto a Firenze 5 novembre 1977 Giorgio La Pira è stato proclamato venerabile dalla Chiesa cattolica. Chi era La Pira, nel quadro politico istituzionale dell’Italia in formazione, a partire dai primi di luglio 1943, lo sbarco degli anglo-americani in Sicilia, la riunione pre-costituente che redige il “Codice di Camaldoli”, quindi la fase della defenestrazione del Duce il 25 luglio fino alla fine del fascismo e della prima fase della seconda guerra mondiale per il regno d’Italia, l’8 settembre, e la seconda fase più devastante, più lacerata per la risalita della Penisola delle multiformi armate degli Alleati, le loro violenze sui civili inermi italiani, città rase al suolo dalle bombe allora “non intelligenti” e dalla guerra civile tra italiani, con i tedeschi che si ritiravano, meno “abusatori” sui civili ma certo non meno punitivi con annesse stragi e continue commemorazioni di lutto collettivo (non lutto della Nazione post IV novembre 1918) ancora ai nostri giorni: per la memoria…
Memoria di un passato che non passa e la certezza di perdute energie vitali… Ecco, per la memoria italiana, la coscienza di Patria, interessa qualche spunto di riflessione istituzionale e politica su chi era La Pira. Deputato, politico, non iscritto alla democrazia cristiana e dai diversi appellativi: La Pira “intellettuale”, “professore”, “profeta” e “dottrinale”, “evangelizzatore”, “Sindaco santo”, “ambienti lapiriani”, “messianismo cristiano”, termini che andrebbero analizzati accuratamente, prima di emettere un giudizio “italiano” per l’Italia, in quanto Patria e non terreno di sperimentazione dai tempi della nuona formazione Statuale dalla seconda fase bellica (luglio/settembre 1943) e l’Italia repubblicana del 1 gennaio 1948, fino al suo conato dopo Trent’anni nel 1978 con il rapimento, e l’assassinio della scorta, il sequestro e l’assassinio di Aldo Modo del 1978. Giorgio La Pira scomparso pochi mesi prima. La Pira presente e attivo alla Costituente, nei primi anni del nuovo Parlamento eletto deputato e teso a impostare l’architettura del nuovo Stato italiano, presente al ministero del Lavoro, poi Sindaco di Firenze, attivo per i “poveri operai” lancia appelli per la loro occupazione, La Pira da Pozzallo sale e sale fino a farsi “profeta” per gettare Ponti, l’Italia per lui è un ponte tra Est e Ovest e tra Nord e Sud del Mondo. Lui francescano e domenicano ad un tempo, come Francesco d’Assisi va dal Sultano, quindi si porta in Unione sovietica, in Vietnam di Ho Ci Min, si fa latore di messaggi di Pace, si muove tra le sponde nel Mediterraneo, tra le nazioni e tra israeliani e palestinesi, con estrema facilità – per Lui – tanto che defininiva il Mare Nostrum: il “grande lago di Tiberiade”.
Il braccio operativo di La Pira era la Dc, non era iscritto al partito, non tesserato era un indipendente, così l’uomo politico magnifica alla Costituente “pungoli” di cristianesimo, brillante nell’aula di Montecitorio e successivamente nella carica di sottosegretario al Ministero del lavoro, e poi a Firenze al Palazzo della Signoria. L’Italia divenuta repubblica, sembra si sia fidata della dottrina del lavoro come recita l’articolo I della Costituzione ma in chiave di Vangelo lapiriano. Non marxista, dopo il trionfo dell’Armata rossa di Stalin e la sua potente macchina propagandistica, il comunismo uscito vincitore nell’assalto al potere mondiale a tre tavoli tra il 1939 e il 1945, mondo anglo-americano, potenze del Tripartito diciamo anche per comodità italo-tedeschi e giapponesi e Unione sovietica, in questa nuova metà del XX secolo la raccomandazione di La Pira è di affidarsi al Vangelo come manuale prima di fondazione dell’Italia repubblicana (spiazzando tutti partiti di stampo risogimentale, socialisti comunisti eccetera) e poi passa ad impostare la sua ingegneria di strategia geopolitica mondiale. Il bilancio di questi termini lo conosciamo, lo iniziamo a stilare?
La Pira mutuando tra religione e politica con grande maestria e con acume e intelligenza mette l’Italia a centro del Mondo ed è un populista in chiave di attenzione con il termine da lui in uso di “povera gente”, elude la classe borghese di fine Ottocento e post primo conflitto, per esaltare la “persona umana”, la tutela e le sue garanzia ad oltranza, i suoi diritti inviolabili, diritti individuali e diritti sociali, e via via i riconoscimenti giuridici estesi continuamente dalla società come corpo intermedio. Insomma è morto Giuseppe Mazzini nella formula dei “Diritti e Doveri”. Non poteva fare meglio La Pira politico, che infonde questo suo “Vangelo” anche alla giurisprudenza della costituzione repubblicana, alla Corte Costituzionale, e via discorrendo fino alla formazione delle Regioni nel 1970 esatti cent’anni dalla Breccia di Porta Pia.
Non a caso sul simbolo della scudocrociato non vi è scritto “Libertà” bensì “Libertas” termine medievalizzante nella storia della nuova Italia del Risorgimento, un salto nel vuoto delle forze politiche più fedeli alla tradizione risorgimentale, ma anche di quelle più antifasciste e anticlericali.
Come ha operato questo “miracolo” o “rivoluzione copernicana” del focus della nazione italiana o se si preferisce patria degli Italiani? Andiamo al 1924, è Pasqua e il giovane La Pira si converte sulla Via di Damasco; Giovanni Papini, iniziatore del secondo Primato degli italiani incubato già nel 1896 in occasione della disfatta di Dogali, e avviato nei primi anni del Novecento con le riviste La Voce e Il Leonardo, vi affluiscono le energie modernizzatrici dell’Italia, il volano del movimento Futurista, unica italiana ma la migliore tra le Avanguardie europee che si batteva contro l’Italia cosidetta bizantina. Papini scrive la “Storia di Cristo” un grande successo internazionale che si basava anche sui vangli apocrifi. Tant’è, ma nel giovane La Pira – diciamo invaghito – la conversione invece fa un salto notevole: nel concetto di santità, di eroismo del confessore, la verità come salvezza dell’anima. Un lasciapassare per introdursi e lanciarsi nel pieno dell’agone sociale e politico. In fondo se nell’Impero romano è stato Paolo di Tarso a diffonere il cristianesimo-paolino, nell’Italia del Regno e poi della repubblica egli – La Pira – ne segue il solco: portare il messaggio a tutti anche ai “Gentili” non solo al Popolo del Libro, e scrive scrive come Saulo convertito sulla Via Di Damasco con stesso pungolo migliaia e migliaia di lettere, ai capi di stato, di governo, ai Papi, agli Istituti, Enti, Organizzazioni e alla “povera gente”: un teatro itinerante, il teatro del Signore, come scrive san Paolo nella Lettera agli Efesini.
La sua vocazione all’attenzione al povero, a modesto avviso – crea il circolo vizioso della ciclicità degli eventi. Ossia diffondere diciamo la sua, di La Pira, evangelizzazione ai nuovi “Gentili” ovvero alla borghesia tutta, quasi a bilanciare l’espansione marxista dei movimenti degli anni post bellici, La Pira forgia un cristianesimo del ventesimo secolo che si introduce con intervento del mondo laico e crea una santità laica della povertà, il povero vissuto come una risorsa, persino come una ricchezza, un valore aggiunto del cristiano senza se e senza ma, che è assoluto progresso o contemplazione di permesso umanitario a definirsi, appartenente a una cittadinità ideale. E a pro di che? Per vincere il materialsimo storico! Il marxismo-leninismo, la rivoluzione permanente di Trockij? Forse! E dovuta a che? Alle sue origini, il meridionale che in Sicilia vive le sofferenze del mondo contadino, anche viste dal retaggio di una Sicilia pre-Normanna…
È presto per dire ciò che La Pira ha fatto per circa tre decenni in Italia da statista della povera gente, detto senza l’acre retropensiero dell’accusa da inquisitore, ovvio: la fine della Patria vista e detta questa da tutti i popoli da usi e costumi non tribali in chiave di Bellezza ed Estetica che, pur è una visione del Dio dei cristiani e d’altri devoti, utilizzando udite udite, appunto, l’aborigena arma ideologica di un populismo improduttivo e lazzarone: un vero boomerang, in Europa e l‘Occidente.
Raffaele Panico