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Giuseppe Dosi il poliziotto di altissimo livello e la grande arte dell’investigazione

Parte Prima. L’Ascesa, il declino e la Ri-nascita con il secondo dopoguerra

Raffaele Panico

Dosi Giuseppe classe 1891, esattamente il suo natale a Roma il 28 dicembre, la scomparsa avvenne nella città fondata in onore di Casa Savoia, la cittadina di “Fondazione” Sabaudia in provincia di Latina, il 5 febbraio 1981 alla soglia dell’età di quasi novant’anni.

Del servizio prestato nel corpo della Polizia nel periodo del Regno d’Italia, l’eco di un segno ha sopraffatto anche i destini del regime politico capeggiato da Benito Mussolini. Di quell’eco si trovava traccia persino nel chiacchierare comune nella memoria popolare. Fino, più o meno, agli inizi degli anni Ottanta, surrettiziamente, o impropriamente visti passati diversi decenni da fatti inenarrabili per la coscienza della natura umana. Non sulla cronaca di fatti disumani è lecito aprire il discorrere sulle capacità e talento dell’intelligenza umana di un superpoliziotto, in un’epoca in cui tecniche e strumenti investigativi al paragone odierno diremo erano pre-istorici o persino primitivi.

È piuttosto congruo dipanare il filo che lega più e vari punti d’osservazione con la capacità di tenuta anche mentale o psicologica nel circuito soggetto-oggetto dell’indagine, per muoversi tra investigazione scevra da emozione e credenze ed usi del comune sentire anche popolano anche becero, un sentire dettato dalla paura profonda non controllabile di tragici fatti, le risposte d’impulso reattivo all’apparire in una capitale della civilissima Europa, la Roma negli anni Venti, di un mostro capace di tutto.

Un fiume carsico che, attraverso i decenni, e la tragedia nella tragedia anche della guerra e del dopoguerra, dopo i felici anni Sessanta quei ricordi metabolizzati dalla massa non coerente delle persone sgorgano dalle parole, e non potrebbe essere altrimenti. Allorquando si sentiva dire, nella capitale d’Italia, nel caso di fidanzamento con una ragazza d’età sensibilmente più piccola “sei come Girolimoni…”, alcuni potrebbero chiedere: “chi è costui?” Era paradossalmente un innocente e anche persona limpida e trasparente che per furore emozionale è rimasto in un girone infernale il peggiore in assoluto. “Chi è costui?” È una celebre frase che don Abbondio leggendo un testo scandisce ad alta voce nel racconto dei Promessi Sposi. Salto nel tempo ancora, dato che nel Risorgimento, nel corso dell’800 volontà romane antiche e volontà dei popoli d’Italia producevano “convergenze parallele” per curve di spazio e di tempo. Don Abbondio, un cuor di coniglio dunque, che esclama una frase divenuta celebre, rinforzando suo malgrado le antiche volontà romane che convergono nel tempo.  A Roma giunse Carneade e parlò nel Senato. “Carneade, chi è costui?”

È stato girato persino un film sul celebre caso investigativo di Giuseppe Dosi che scagiona il povero e innocente Girolimoni, l’imputato accusato ingiustamente di gravi ed infamanti reati e delitti ai danni di bambine nella città di Roma. Forse è stato un male rimuovere la memoria di quelle terribili storie, infamanti la dignità della Persona e del cittadino, di una comunità, gravi disumane vicende come in breve accenneremo, però, senz’altro, l’Italia e gli italiani sembrano aver passato un Quarantennio di deserto. Come desertificazione dei valori, carestia di etica, iniziata ed accelerata nel corso degli anni Ottanta dopo il periodo 1978-82 i tempi bui dal Caso Moro, ad “Ustica” e la strage di Bologna, ed altri fatti ancora… ma torniamo alla fase di non abbruttimento degli italiani, al principio di una fase discendente si arriva fino al punto più basso, il dato negativo peggiore giunto ora al culmine in questi tempi, negli ultimi anni ancora di più, e in queste settimane di quarantena “Covid-19” che hanno divelto quasi la forbice aperta in tema di sicurezza e garanzie. Tempi di emanazioni e disposizioni circa gli incontri legittimi se tra “congiunti” e/o “fidanzati”. Un discorso arzigogolato o in arabesco? Forse no, o in parte si, correndo questi tempi. Poniamoci in una data prossima allo spegnersi della esistenza di Giuseppe Dosi, il 1980 o giusto gli inizi del 1981. Allora, essere fidanzati con una ragazza, o di fatto una Donna già per i sedici anni o poco meno dei 18 anni, età anagrafica della maggiore età. Fidanzarsi si diceva, tra un giovane e una ragazza; fidanzamento magari mentre egli era pronto alla partenza per il servizio militare a 19 o più anni se terminati gli studi all’Università, non era materia oggetto di scandalo o persecuzione. L’istituto della famiglia in Italia era ancora molto ben solido e sana la gestione dei rapporti interpersonali, non esasperata da scene di pessima emotività distruggitrice di certezze e valori.

Così, siamo andati e andiamo a ritroso sulla battigia del tempo, verso i flutti del tempo passato, o Á Rebours il romanzo di Huysmans pubblicato nel 1884; citando tra le righe, il protagonismo decadente di Des Essentein metafora della decadenza dell’Occidente verso la tragedia delle due guerre mondiali. Così, l’intreccio tra persone e fatti mostruosi, e l’intrigo con la pesante presenza del regime fascista a guida di un uomo solo dal pulpito di piazza Venezia, possiamo e dobbiamo dipanarlo a partire dall’ultimo rilevante ruolo ricoperto dal dottor Giuseppe Dosi. L’importante incarico internazionale di altissimo livello ricoperto – ovviamente – prima del 1956 quando venne posto in congedo con il grado di ispettore generale capo della Polizia. Aveva difatti contribuito alla Ri-nascita dell’Interpol, l’organizzazione dedita alla cooperazione tra le polizie nel Mondo intero per il contrasto al crimine internazionale. La struttura era in verità una Istituzione già esistenze. Istituzione pensata durante un convegno internazionale tenutosi nel Principato di Monaco ai bagliori del primo conflitto mondiale, nel 1914, la strutturazione avvenne poi nel 1923 a Vienna come “International Criminal Police Commission”.  Nel 1942 dopo la morte di Reinhard Heydrich, uno dei più pericolosi e spietati gerarchi nazisti, pianificatore dello sterminio del popolo ebraico, si giunse ad una divisione della struttura. Reinhard Heydrich era il presidente dell’Interpol succeduto ad altri che, dopo l’Anschluss, la sede era rimasta a Vienna dopo l’annessione dell’Austria da parte del Terzo Reich nel 1938. Il non intervento dell’Italia garante della sovranità con la firma dei Protocolli di Roma, a favore dell’indipendenza del Paese oltre le Alpi, come nel precedente tentativo sventato nel 1934 quando Roma aveva schierato le divisioni del Regio esercito italiano al confine nord orientale, di contatto tra Italia e Austria. Rimasta la sede a Vienna e quindi nel Terzo Reich a seguito delle vicissitudini dei mesi a seguire fino allo scoppio della guerra settembre 1939, solo nel 1942 parte della “International Criminal Police Commission” si trasferiva a Berlino e l’altra parte nei Paesi alleati contro l’Asse Roma-Tokio-Berlino e il Patto d’Acciaio italo-tedesco. Anche per questa dimenticanza forse, la Germania, sembrava imbattibile e vinceva su tutti i fronti di guerra fino al 1942. A termine del conflitto la sede della “International Criminal Police Commission” venne stabilita infine a Lione, in Francia. Nel 1946 adottò come indirizzo telegrafico Interpol, contrazione delle parole in inglese di international police – “polizia internazionale”, e dieci anni più tardi cambiò la denominazione ufficiale in The International Criminal Police Organization – INTERPOL, spesso abbreviata in ICPO-INTERPOL, appunto su proposta di Giuseppe Dosi.

SEGUE  Nella seconda parte di questo articolo dedicato alla genialità del dottor Giuseppe Dosi, vedremo esattamente le sue capacità investigative durante il Regno d’Italia e le fasi dell’ascesa e del declino di un regime che finì per appropriarsi indebitamente di paradigmi legati alla liturgia e alla celebrazione delle gesta del Risorgimento italiano, un faro anche per altri popoli europei oppressi dalla corti imperiali dell’epoca, nell’Europa centrale e orientale fino ai Balcani e l’Asia minore.

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