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GLI DEI OLIMPICI: POSEIDONE, ERMETE E ARES.

Parlerò oggi delle divinità olimpiche che giunsero con gli elleni nel territorio della Grecia antica e come si rapportarono con la religione che già c’era: faccio questo nella necessità di capire le meccaniche che vi erano dietro i diversi pantheon, cosa significassero nella vita dei greci in quel determinato periodo.     

POSEIDONE: IL RE DEL MARE E IL SUO REGNO

Zeus, Poseidone e Ade si divisero il mondo quando deposero loro padre Crono. Poseidone ebbe in sorte il mare, il terzo regno  tirando a sorte coi fratelli e si era sempre dimostrato belligerante un po’ con tutti. Nelle sue stalle sottomarine al largo di Egea (Eubea, Calcide) si dice avesse i migliori cavalli con zoccoli di bronzo e criniere d’oro, ed invece quando si muoveva aveva tutto uno stuolo di mostri marini che gli facevano da scorta (Omero, Apollonio Rodio). Come Zeus e Ade anche lui doveva prendere una moglie e prima corteggiò la nereide Teti ma come seppe dalla profezia che il figlio di Teti sarebbe stato più famoso del padre la lasciò sposare al mortale Peleo, costoro infatti generarono il famoso Achille. Corteggiò e sposò in seguito la Nereide Anfitrite che gli diede tre figli: Tritone Roda e Bentesicima. Delle sue storie d’amore al di fuori del matrimonio si conosce bene quella di Scilla, figlia di Forcide, che fu trasformata da Anfitrite, attraverso un infuso di erbe, in un latrante mostro a sei teste e dodici gambe. Delle sue lotte contro altri dei ricordiamo soprattutto quelle frequenti con Atena, come ad esempio il giudizio sull’Attica il cui re Cecrope, preferì l’ulivo come dono della dea Atena alla fonte che gli aveva dato Poseidone, costui come ho già scritto in questo paragrafo era una divinità bellicosa che tentava in tutti i modi di strappare terreni agli altri dei e soprattutto quando non poteva usare un’inondazione usava i periodi di secca per vendicarsi dei torti che aveva subito sia che fossero veri o che fossero presunti tali. Allo stesso tempo la vittoria della dea fu “mitigata” dal fatto che dovettero fare concessioni al patriarcato olimpico come la perdita del cognome femminile anche nella stessa Atene; nello specifico i Pelasgi ionici furono sconfitti dagli eoli grazie a una alleanza con gli achei  e quindi il culto di Zeus e il patriarcato ebbero voce nelle faccende interne di Atene che era stata come città sempre matriarcale fino allora.
Teti, Anfitrite e Nereide sono i nomi della triplice dea lunare con cui il signore del mare Nettuno andava a scontrarsi perché in età olimpica non si poteva accettare che i flussi delle acque fossero dovuti a una divinità donna da cui l’origine di ogni discussione. L’ulivo proveniva dalla Libia e questo testimonia che la divinità Atena era di origine libica, il suo ulivo invece era ancora ben visibile in Atene anche nel 200 d.C. La leggenda di Poseidone che sottomette Demetra nella sua forma di furia in forma equina ha un equivalente in India, dove Saranyu si trasforma in giumenta e Vivaswat si trasforma in stallone la monta sottomettendola, ma comunque per i Pelasgi, che furono prima popolazione attestata in Grecia e che subirono le invasioni successive, questa sottomissione fu un oltraggio alle leggi divine come loro le conoscevano.

ERMETE:  IL MESSAGGERO BURLONE DEGLI DEI

Ermete, figlio di Gaia e di Zeus, era la divinità dell’avventura, della menzogna, degli scherzi e dell’arte. Quando nacque sul monte Cillene dove si dice che sua madre si girò da un’altra parte e lui già era scappato in forma di giovinetto in giro per il mondo. La sua prima impresa fu quella di rubare una mandria di vacche ad Apollo e nessuno riusciva ad accusarlo del furto finché un gruppo di satiri non notò che un giovane suonava meravigliosamente una lira fatta di guscio di tartaruga e interiora di vacca. Subito Apollo lo accusò di essere il ladro della sua mandria ma il giovane Ermete subito si scusò dicendo che ne aveva uccise solo due prendendo solo la parte che gli spettava in quanto figlio di Zeus e suonò una melodia in cui intesseva le lodi del fratello: questi subito lo perdonò e gli diede il resto della mandria in cambio della lira che aveva appena modellato. In seguito mentre pascolava le vacche costruì uno zufolo da pastore con cui impressionò ancora suo fratello Apollo che lo scambio con il suo bastone dorato da pastore dandogli in sostanza il dominio sui mandriani e i pastori.                     Fatto questo Apollo portò Ermete al cospetto di Zeus che lo accettò ma gli impose di rispettare la proprietà e non dire bugie: in cambio divenne il messaggero, l’araldo degli dei. Ricevette una verga d’oro con nastri bianchi a rappresentare la sua funzione, un cappello rotondo per ripararlo dalla pioggia e dei sandali d’oro adornati da ali che gli permettevano di viaggiare velocemente dovunque. Le trie insegnarono a Ermete a predire il futuro osservando dei sassi in una bacinella d’acqua e lui a sua volta inventò il gioco divinatorio degli astragali, un “gioco” divinatorio basato sul tiro delle ossa di un cavallo, aiutò le Moire a comporre l’alfabeto e inventò l’astronomia, la scala musicale e le misure di capacità. Famosi furono anche i suoi figli: Echione l’araldo degli argonauti, Autolico il ladro e Dafni. L’infanzia di Ermete è giunta fino a noi solo nella tarda versione letteraria, possiamo soltanto accertare che i Messeni facevano frequenti incursioni a danno dei loro vicini cosi come Ermete rubò la mandria di Apollo. Nella Grecia pre-ellenica meridionale già esistevano tutte le arti attribuite a Ermete ma che furono dette come date a Apollo e alle divinità olimpiche che trovarono una civiltà ben più colta di loro, Ermete dal canto suo molto probabilmente era in origine una statua di un fallo di pietra dove si svolgevano i riti pre-ellenici di fertilità.                        L’origine del concetto del fanciullo divino che corre via dalla madre da una parte potrebbe essere uno scherzo di Omero ma Ermete potrebbe anche rappresentare il fanciullo del calendario pre-ellenico, l’egizio Toth per la sua intelligenza o l’egizio Anubi perché, nella sua funzione di araldo, divenne anche colui che portava i morti nell’oltretomba al servizio di Ade.

ARES: IL DIO DELLA GUERRA

Ares nella religione greca ellenica è il figlio di Zeus e Era. Viene molte volte identificato tra i dodici  olimpi come il dio della guerra in senso generale, ma si tratta di un’imprecisione perché in realtà Ares è il dio solo degli aspetti più violenti della guerra e della lotta intesa come sete di sangue. Anche Atena è la dea della guerra ma il suo campo di azione è quello delle strategie di combattimento e dell’astuzia applicata alle battaglie, mentre Ares si diverte e si esalta per gli scoppi di furia e violenza, più graditi da Ares se improvvisi e subdoli, che in guerra si manifestano, delle atrocità connesse o no alla guerra.                             Il tracio Ares, termine usato anche per gli altri dei quando provavano una frenesia di lotta, ama il fragore della battaglia mentre sua sorella Eris, la discordia, suscita sempre nuove guerre spargendo voci malvage e alimentando gelosie. Ares non favorisce nessuno nei suoi scontri ne città ne divinità alcuna ed è quindi odiato da tutti gli altri dei a parte sua sorella e Afrodite che nutre una insana passione per lui, per il resto solo l’avido Ade è sempre pronto ad accogliere nuove anime di giovani morti in battaglia e quindi deve molto all’impavido Ares.                 Ares non è imbattibile: Atena lo ha battuto in battaglia ben due volte, una volte poi viene sopraffatto dai giganteschi figli di Aloco che lo sottomettono rinchiudendolo in un urna da cui fu liberato da Ermete e un’altra volta venne costretto da Ercole a fuggire nell’Olimpo, è stato inoltre accusato in altra occasione dell’omicidio volontario di Alirrozio, figlio di Poseidone, perché  voleva violare sua figlia Alcippe della famiglia di Cecrope, che confermò la versione di suo padre facendogli vincere il processo divino cui era stato sottoposto. Quello fu il primo processo di omicidio che fosse mai stato indetto. Alirrozio non era in verità un figlio di Poseidone ma la divinità stessa, la violazione della figlia di Ares era sempre l’umiliazione e assoggettamento della dea dalla testa di giumenta e delle sue sacerdotesse preelleniche, il processo per omicidio venne aggiunto da una leggenda più antica per dare un concetto di omicidio alle masse attraverso la mitologia. La guerra non piaceva agli Ateniesi che combattevano solo quando la loro libertà era in pericolo o altre impellenti ragioni e questo spiega perché Ares, la guerra, dovesse essere della popolazione dei traci, che facevano della guerra il loro passatempo preferito.

A Sparta era presente una statua di Ares che lo ritraeva incatenato, a simboleggiare che lo spirito della guerra e della vittoria non avrebbero mai potuto lasciare la città; durante le cerimonie in suo onore venivano sacrificati cani, usanza mutuata dall’antica pratica di sacrificare cuccioli alle divinità ctonie, ovvero tutte quelle divinità generalmente femminili legate ai culti di dei sotterranei e personificazione di forze sismiche o vulcaniche. I Romani invece identificarono Ares con il dio Marte, che era un’antica divinità degli indoeuropei, la cui figura aveva però assunto in territorio italico caratteri diversi, essendo in origine una divinità “rurale” pacifica e benefica già all’epoca venerato di più rispetto ad Ares. Fu anche assunto dagli etruschi col nome di Maris.

foto © Etsy ©mitologia greca ©Robert Graves i miti greci                        © Francesco Spuntarelli                                  

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