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Goffredo Mameli… Perché dimenticato?

Centonovant’anni fa nasceva Goffredo Mameli

Appunti per una memoria

Domenica 6 agosto nel Cimitero mano del Verano è stato commemorato Enrico Toti (20 agosto 1862- 6 agosto 1916) in occasione dei 101 anni dalla sua morte, sepolto prima a Monfalcone e poi, dal 24 maggio 1922, nello storico cimitero romano.  E’ stato celebrato come “eroe”, in quanto, nonostante la menomazione fisica dovuta all’amputazione di una gamba provocata da un incidente sul lavoro, volle partecipare alla prima guerra mondiale direttamente sul fronte, dove cadde colpito dal nemico. Notissimo e celebratissimo il mito del lancio della stampella, prima di morire, contro chi lo aveva colpito. Con questo gesto ultimo della sua vita è passato nella retorica celebrativa, nei monumenti e nelle raffigurazioni e, quindi, nell’immaginario collettivo.

Goffredo Mameli nacque 190 anni fa, il 5 settembre 1827, anche lui morto combattendo il 6 luglio 1849 in seguito ad una infezione alla gamba sinistra, che gli fu amputata, procuratagli accidentalmente dalla baionetta di un suo maldestro collega bersagliere. Tutti e due – Enrico e Goffredo – morti combattendo e tutti e due con una gamba di meno, tutti e due sepolti nel cimitero romano del Verano.

 La ferita alla gamba, la cancrena, l’amputazione

Eroica la morte di Enrico, carica dell’emotività che suscita il gesto ultimo del lancio della stampella contro il nemico.  Meno eroica e spettacolare quella del giovane Goffredo, avvenuta nell’ospedale della Trinità dei Pellegrini dopo l’amputazione della gamba e dopo 17 giorni di dolori insopportabili, deliri e sfinimenti provocati dalla cancrena inarrestabile.

La sua fine fu determinata, come detto, da un banale incidente accaduto sul campo di battaglia il 3 giugno 1849. Goffredo stesso ne informò la madre con una lettera del 12 giugno, nella quale scriveva: “Io fui ferito da un bersagliere mentre operavo una carica alla baionetta”- Per una tragica ironia – scrive Nino Mameli – fu un bersagliere, quindi un compagno di Goffredo, a ferirlo accidentalmente”[1].  Il fatto avvenne il 3 giugno, mentre alla testa di un battaglione del primo Reggimento, stava entrando nella Villa Corsini sul Gianicolo, dove s’era accampati i francesi.

Ricoverato nell’ospedale della Trinità dei Pellegrini, presto si prospettò la necessità dell’amputazione che fu comunicata all’infortunato il quale ne informò la madre con la stessa lettera del 12 giugno, debole e forse febbricitante, come lascia intendere l’inizio della lettera: “Car.ma madre. Tento scrivere io stesso. La ferita s’era fatta seria, si trattava nientemeno che di tagliarmi la coscia. Fortunatamente non se ne fece niente e ora vado migliorando”. Anche il medico Maestri, amico di famiglia, s’illuse che la cosa fosse leggera e di facile soluzione, sia pure con alcune riserve, come si legge in una sua lettera alla madre del paziente: “La sua ferita è alla gamba sinistra, quattro dita circa al di sotto del ginocchio, perforante il polpaccio, quindi senza interessamento dell’ossatura. Vedrà da questo che trattasi di cosa non molto grave, né complicata, e quindi di facile soluzione. Non le voglio però né devo nascondere che durante i primi due giorni di letto fu affetto il Goffredo da febbre piuttosto viva e da disturbi nervosi”. Invece, la cancrena avanzava rapidamente provocando febbri altissime e deliri nel paziente. Il 19 giugno il dottor Maestri convocò a consulto il chirurgo professor Agostino Bertani, il quale constatò anche un corpo estraneo nella ferita. Si decise di intervenire immediatamente con l’amputazione della gamba fino a metà coscia, se si voleva salvare la vita di Goffredo.

Durante la degenza in ospedale, fra i tanti amici che si recarono a fargli visita, ci furono Armellini, Aurelio Saffi, Cristina di Belgioioso… “C’era anche un suo ex insegnante scolopio, Padre Raffaele Ameri, che dal 1848 era stato trasferito a Roma [Nazzareno].  Questi lo confortava nelle sue sofferenze morali e fisiche. E negli ultimi momenti di agonia riuscì a confessarlo garantendogli una morte cristiana[2]”. Va ricordato che nel 1840, quando il padre di Goffredo andò ad iscriverlo alla suola dei Padri Scolopi, o Scuole Pie del Calasanzio, prossima alla casa Mameli, direttore della scuola era Padre Raffaele Ameri[3] “uomo di notevole valore … “ In quella scuola c’era anche Padre Agostino Muraglia “ famoso per il culto delle grandi figure della letteratura italiana, ma pure per l’apprezzamento verso quella contemporanea … che influì molto sulla produzione poetica del Mameli”. Era stato Padre Ameri che si prese cura del diciannovenne Goffredo Mameli, mettendolo al sicuro perché ricercato dalla polizia “per una torbida vicenda”, “un fatto di sangue”. Lo condusse a Carcare, nell’entroterra di Savona, nel collegio degli Scolopi, dove incontrò Padre Atanasio Cannata.  Nacque tra i due una grande amicizia, consolidata da passeggiate quotidiane lungo il viale del collegio, caratterizzate da discussioni animate[4].

 La morte e la sepoltura

Testimoni oculari riferiscono che morì nel delirio cantando brani di inni patriottici, erano le sette e mezzo del 6 luglio 1849. Aveva 22 anni appena compiuti. Nell’atto di sepoltura nella chiesa delle Stimmate[5], si registra che Goffredo morì Sacramentis Ecclesiae munitus e che il suo corpo, prima di essere sepolto, fu imbalsamato. L’imbalsamazione fu eseguita da Agostino Bertani, il quale preoccupato per una eventuale profanazione da parte dei francesi vincitori, lo fece seppellire subito in Santa Maria in Monticelli vicina all’ospedale della Trinità dei Pellegrini e poi, come visto, nella chiesa delle Stimmate, con la targa con il nome posto, per precauzione, dentro la cassa, non fuori. Quando il padre di Goffredo giunse a Roma e chiese ai francesi la salma del figlio per portarla a Genova, gli diedero soltanto la sciabola. Visto le vicende dei seppellimenti della salma, non è del tutto fuori luogo pensare che i francesi non sapessero nemmeno dove era stato sepolto[6]. Nel 1871 l’autorità ecclesiastica ne autorizzò la riesumazione, che fu effettuata il 9 giugno 1872. Il governo italiano non era favorevole ad una cerimonia pubblica. In questa circostanza fu fatta una cerimonia civile con la partecipazione di molti compagni d’arme, mancava Garibaldi e mancava la famiglia; il padre era morto l’anno prima, assenti i due fratelli Giovanni Battista e Nicola. Furono letti alcuni scritti di Mameli e intonato il Canto degli Italiani, che i rappresentanti del governo mostrarono di non gradire. Seguì la sepoltura in un loculo nel muro di cinta.  Nel 1891 fu costruito il monumento funebre e il 26 luglio di quell’anno i resti mortali di Goffredo furono deposti alla base del monumento stesso.

Nel 1941, a guerra appena iniziata, Mussolini rievocò la morte di Mameli provocata dalle armi francesi, come esempio di italianità; il regime rievocò e utilizzò il gesto del Balilla citato nell’Inno di Mameli “I bimbi d’Italia si chiaman Balilla”, ma a Fratelli d’Italia, preferì “Giovinezza”. Le spoglie di Mameli vennero riesumate e trasportate all’altare della Patria in attesa di essere collocate definitivamente nel Mausoleo del Gianicolo, la cui costruzione non era ancora del tutto terminata. “Sta lì da più di mezzo secolo, ma fra gli stessi romani quanti se ne sono accorti?[7].

La memoria

“Goffredo Mameli non è stato protetto da nessuno, se non dai suoi pochi amici. A dispetto e a smentita di tutte le vulgate, a Mameli è toccata una sorte a lungo solitaria”[8]. “Lungi dall’essere un padre della Patria, Mameli è stato a lungo un “clandestino” nella storia italiana, oggetto di cerimonie funebri, tutte contrassegnate dall’imbarazzo, comunque dall’assenza del potere pubblico, al più accompagnato dai suoi amici in una condizione di solitudine, comunque di “sconfitta”. E’ l’uomo che “irradia di sé una stagione breve della storia italiana e consuma tutto nelle vicende del 1848”[9]

“E’ tornato Mameli”, scrivevano così all’inizio del loro libro nel 2001 i già citati autori di Fratelli d’Italia. La vera storia dell’inno di Mameli, riservando a questo ritorno sette pagine. Vi si legge la storia della fortuna/sfortuna dell’inno di Mameli fino alla “riscoperta” fatta dal Presidente  della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi Presidente dal 1999 al 2006. “Un ricordo che affascina… Un ricordo che ha affascinato le generazioni che si sono susseguite e che ancora oggi affascina gli italiani”, scriveva Muro Stramacci nel suo libro a p. 165ss.  E Sandro Pertini nella prefazione al libro di  Nino Mameli scriveva: “Sono ben sicuro che la gloriosa tradizione di Goffredo Mameli è ben lungi dall’essere estinta”.

Nonostante la “sublimazione mistica” a cui non sfugge un promettente giovane rapito dalla morte anzi tempo, oggi c’è chi si chiede: “Goffredo Mameli… Perché dimenticato?”[10] e chi indirizza ai Ministri Franceschini (MIBACT) e Fedeli (MIUR)  un appello[11] per sensibilizzare l’opinione pubblica in vista del 190° anniversario della nascita di Mameli il 5 settembre prossimo. Quest’ultima è una iniziativa di  un discendente di Goffredo, Nino Mameli, del quale ho ricordato già il libro Un gigante del Risorgimento. La personalità, l’impegno storico, le note “segrete di Goffredo Mameli”, MEF 2002.

Comunque: “Goffredo Mameli… Perché dimenticato?”.                                                                                                                                                                                     Rinaldo Cordovani

 



[1] Nino Mameli, Un gigante del Risorgimento, MEF 2002, con prefazione di Sandro Pertini. L’autore riporta per intero questa lettera di Goffredo alla madre e vi aggiunge il commento: “Come si può vedere, per una tragica ironia, fu un bersagliere, quindi un compagno Goffredo, a ferirlo accidentalmente” (p. 57-58). Eppure lo stesso autore, due pagine prima narra di Goffredo, suo antenato, che si alza caduto col suo cavallo “abbattuto da una salva di fucileria sbalzandolo dalla sella. Goffredo riuscì a rialzarsi e si precipitò in avanti, aprendo un solco sanguinoso tra i nemici con la baionetta… A un  certo punto, si mise alla testa dei bersaglieri, incitandoli e trascinandoli, finché un proiettile lo raggiunse in una gamba. Goffredo barcollò, cadde, ma si rialzò e si lanciò ancora nella lotta. Aveva perso il fucile e stringeva fra i denti il pugnale. Le mani dei compagni lo afferrarono e lo trascinarono via da quell’inferno….Una palla aveva colpito Goffredo alla gamba sinistra, era stata deviata dall’osso ed era fuoruscita, producendo una brutta ferita”. Anche Tarquinio Maiorino-Giuseppe Marchetti Tricamo-Piero Giordana, in Fratelli d’Italia, la vera storia di Mameli. Mondadori 2001, terza edizione, p. 91: “Ferito da una pallottola amica per sbaglio o colpito da una baionetta di uno dei suoi, un bersagliere poco pratico dell’arma”. E così anche altri.

[2] Nino Mameli, cit. p. 58.

[3] Mauro Stramacci, Goffredo Mameli, tra un inno e una battaglia, Mediterranee, 1991, p. 21.

[4] Per i rapporti di Goffredo con i Padri Scolopi, oltre ai testi citati, vedi quanto scrissi nel mio articolo L’inno dei “Fratelli d’Italia”, Consul Press, 24 gennaio 2011.  Prendevo in particolare analisi il rapporto tra Padre Cannata e Goffredo in relazione alla paternità dell’inno stesso. Su questo è utile consultare

[5] L’atto di sepoltura è riportato nei registri della Parrocchia di Santa Maria in Monticelli. Vi si legge: Die 7 Julii 1849. Mameli Godfridus filius Caesaris (sic) Comitis Ienuensis miles legionis Garibaldi Reipublicae Romanae Proelia proeliando vulnere accepto, ad Hospitale SS.mae Trinitatis portatus fuit, ibique Sacramentis Ecclesiae munitus, animam suam Creatori restituit aetatie suae anno 21, eiusque cadaver, prius aromatibus conditum, a me delatum fuit in forma publica ad Ecclesiam Sacrarum Stigmatum ibique espletis funeribus caeremoniis, more solito solemni repositum fuit ut in loco Depositi. Ita est. Ora è conservato nell’archivio di San Carlo ai Catinari. Cf Mauro Stramacci, cit. p. 161.

[6] Tarquinio Maiorino-Giuseppe Marchetti Tricamo-Piero Giordana, Fratelli d’Italia, la vera storia di Mameli, cit. pp. 95-96.

[7] Tarquinio Maiorino-Giuseppe Marchetti Tricamo-Piero Giordana, cit., p. 98.

[8] Goffredo Mameli, Fratelli d’Italia. Pagine politiche a cura d David Bidussa, Feltrinelli 2010, p. 7.

[9] Ivi, pp. 10, 11.

[10]Consul Press, 28 luglio 2017.

[11] Luigi Frasca, in Il Tempo del 18 luglio 2017, p. 7.

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