Guccifest – la nuova collezione di Alessandro Michele lunga come un film il primo episodio At Home
Tutto è nato dai pensieri maturati durante il lockdown, affidati al tempo allo scritto Appunti dal silenzio, in cui Michele raccontava di voler uscire dai ritmi fagocitanti della moda, compresa la stagionalità delle presentazioni. Ed ecco, dunque, l’idea del festival, inteso come una festa, con invitati alcuni giovani designer scelti dallo stesso Michele, e come risposta alla promessa fatta negli scorsi mesi “di ritrovarci un po’ cambiati, raccontati in modo diverso”. A partire dalla dimensione temporale del racconto: non più i 10 minuti dello show, dove si concentra il lavoro di mesi, ma una serie a episodi, ognuno dei quali senza una trama apparente, per rendere giustizia al “tempo sospeso che abbiamo vissuto in questi mesi“.
Un tempo in cui a Michele è accaduto di prendere coscienza del “succedere di questa vita“, di indagare quell’inconsistenza del quotidiano che – è il suo pensiero – trattiene la bellezza e rende il nostro vivere pieno di senso. In questo senso, non poteva esserci regista migliore di Gus Van Sant, con i suoi “vuoti riempiti di poesia” per diventare “apprendista stregone” e scoprire che il vero lusso è “mandare la vita al ralenti”.
Così, nel primo episodio della serie girata a Roma, At home, la protagonista – l’attrice e performer Silvia Calderoni – vaga per casa apparentemente senza senso, facendo yoga, scegliendo vestiti, accogliendo amici, ascoltando qualcuno che parla alla televisione. È lo scrittore e attivista spagnolo Paul B. Preciado, che dallo schermo si rivolge direttamente a lei, per raccontarle che ci sarà una “rivoluzione sull’amore”, fatta da “dissidenti del regime del sesso”. Un concetto caro ad Alessandro Michele, per il quale “siamo tutti in transizione, stiamo tutti scoprendo cos’è questa umanità, siamo tutti dissidenti senza bombe perché pensiamo in modo autonomo”. E da questi pensieri nascono quegli “incontri impossibili” che – riflette il designer – sono la cifra del suo lavoro, che faccia moda o cinema: “contagi improbabili” li chiama lui, pensando a Preciado che esce dalla televisione per dire che questo è il tempo dove i “mostri stanno prendendo parola”, ma anche ai vestiti “scappati dalle passerelle” per diventare costumi di scena e poi, una volta indossati, abiti veri, in un corto circuito dove lui stesso – racconta – non li riconosceva più, perché erano diventati parte del vissuto di qualcun altro.
via ANSA.