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I librai sono lavoratori non simboli

Riportiamo l’articolo di Adalgisa Marrocco pubblicato su  https://Huffington Post

 

“Dunque, saranno le librerie ad assumere il ruolo simbolico di un Paese che dovrà pian piano ripartire, rialzando le serrande dal 14 aprile (eccezion fatta per Campania, Lombardia e Piemonte: regioni che hanno preso decisioni autonome in materia rispetto alle indicazioni dell’ultimo Dpcm). Ma a quali condizioni? E a che pro?

Il provvedimento dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) dare un po’ di ossigeno al comparto dell’editoria, in queste settimane praticamente fermo (come quasi tutti gli altri settori) non solo a causa della chiusura delle librerie. Anche gli store online, infatti, lavorano comprensibilmente a scartamento ridotto e l’evasione degli ordini è lenta. Diverse librerie di quartiere hanno provato a riorganizzarsi con la consegna a domicilio (si veda, tra tutte, l’iniziativa #libridasporto), ma i dati del settore parlano chiaro.

Se l’Associazione Italiana Editori (AIE), infatti, riferisce un crollo del 75% dei fatturati, l’Associazione Librai Italiani (ALI) fa eco lamentando perdite, per le librerie indipendenti, di 25 milioni. A poco sembrerebbe servita l’entrata in vigore, a fine marzo, della legge sul libro che, limitando lo sconto massimo sul prezzo di copertina, metterebbe (almeno in teoria) i piccoli negozi di quartiere in grado di competere coi giganti dell’online.

Ma la riapertura delle librerie servirà davvero a ridare slancio al settore? Difficile pensarlo. Va da sé che un negozio aperto possa vendere e incassare, mentre un negozio chiuso non può farlo, ma ci sono alcuni elementi da tenere in considerazione. Il primo è che il tessuto delle librerie di quartiere, negli ultimi anni, è stato letteralmente decimato. Dunque, nelle grandi città (per non parlare della provincia), per trovare una libreria aperta è necessario muoversi con i mezzi o con la macchina: spostamenti al momento non consentiti.

In secondo luogo, la libreria appartiene a quella tipologia di negozio che funziona se può essere “vissuta”. Difficile pensare che, allo stato attuale, i lettori possano serenamente muoversi tra gli scaffali, sfogliare volumi o scambiare opinioni col libraio. C’è poi da aggiungere che le piccole librerie hanno puntato molto, negli ultimi anni, sulle presentazioni e sugli eventi, attività purtroppo irrealizzabili ora, e chissà per quanto tempo. Queste variabili non sfuggono ai negozianti del settore: in diversi hanno già annunciato che, nonostante il via libera, non rialzeranno la serranda. Anche e soprattutto per non mettere a repentaglio la propria salute, quella dei dipendenti e dei clienti. Non è chiaro, infatti, quali misure vadano adottate per garantire la sanificazione degli ambienti (nonché dei libri) e la sicurezza di librai e lettori nella frequentazione dei punti vendita.

Nelle scorse ore, un gruppo di 150 librai (indipendenti e di catena) hanno redatto una lettera pubblicata da Minima&Moralia, in cui si legge: “Riaprire le librerie non può essere considerato un puro gesto simbolico, ma deve essere un’azione strutturata e gestita nella sua complessità, così come dovrebbe avvenire per tutte le altre attività necessarie alla vita sociale”.

“Tanti di noi hanno continuato a lavorare senza alcuna certezza di sostegno economico, ad altri non è stato possibile portare avanti il proprio lavoro nel quotidiano, ma non abbiamo mai smesso di fare cultura […] Ora non abbiamo intenzione di esporci al solo scopo di fingere una ‘ripresa culturale delle anime’ che ci potrà essere davvero solo quando sarà possibile la messa in sicurezza di tutti i corpi. In mancanza di garanzie sulle richieste qui avanzate molti di noi si riservano di non riaprire comunque l’attività nemmeno dopo l’entrata in vigore del decreto, finché non sarà possibile esercitare il nostro lavoro nelle condizioni e con le tutele adeguate”, si legge ancora nella lettera redatta da LED – Librai Editori Distribuzione in rete.

E come dichiara la stessa Associazione Librai Italiani , che pure ha accolto con favore il provvedimento del governo, sarebbero altre le misure di cui il settore avrebbe bisogno. “Chiediamo l’istituzione di un Fondo speciale con contributi a fondo perduto”, dichiara il presidente Paolo Ambrosini. Difficile pensare a misure drastiche, soprattutto in un periodo di crisi. Ma qualcosa, forse, potrebbe essere fatto su altri fronti.

Un’idea potrebbe essere quella di estendere il regime forfettario al settore dell’editoria: per le piccole attività significherebbe un taglio importante dei contributi previdenziali, che attualmente rappresentano una ‘stangata’ da quattromila euro l’anno. Un’altra possibilità potrebbe essere quella di un equo canone per l’affitto dei locali alle librerie, da compensare con una cedolare secca e un taglio dell’IMU per i proprietari”, mi racconta un ex libraio indipendente che, come altri colleghi, la saracinesca ha dovuto abbassarla due anni fa. Definitivamente.

Restituire alle librerie la loro centralità è encomiabile ma, al di là dei romanticismi, bisogna essere pragmatici. Perché i librai sono lavoratori, non simboli. Perché le librerie non sono solo luoghi di sogno, ma anzitutto luoghi di lavoro.

 
 

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