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“I no che aiutano a crescere”: un saggio della psicoterapeuta infantile Asha Phillips da riscoprire

La psicoterapeuta londinese Asha Phillips spiega come le difficoltà di crescita possono avvenire anche per l’incapacità di un genitore di saper esprimere una negazione. Questa incapacità di dire no si può ripercuotere nel tempo; la negazione non espressa al momento giusto rischia di sottrarre possibilità e risorse al genitore stesso e agli altri familiari. Non saper negare o vietare qualcosa al momento giusto può avere ripercussioni negative sulla relazione tra genitori e figli: entrambi non eserciterebbero i loro “muscoli emotivi”. L’effetto poi si perpetra nel tempo rimane nel figlio come persona piuttosto incompiuta. “Un no non è necessariamente un rifiuto dell’altro o una prevaricazione, ma può invece dimostrare la fiducia nella sua forza e nelle sue capacità”.

All’interno del libro la specialista porta come riferimento esempi molto pratici che stimolano riflessioni profonde. “Dire no è un modo di comunicare che siete un essere distinto. I primi passi verso questa condizione di separazione sono importantissimi. All’inizio la capacità di un neonato di cavarsela da solo è molto limitata; a differenza di altri mammiferi l’essere umano rimarrà a lungo estremamente dipendente. Se un genitore risponde subito a qualsiasi pianto, a qualsiasi comunicazione, il neonato può addirittura credere di non essere affatto distinto da lui. A disagio chiama e prima ancora di poter capire, vede apparire il viso della mamma del papà. E se le cose vanno sempre così il bambino può non rendersi conto che i genitori hanno una vita propria.”

Il genitore perfetto non esiste, l’idea di poter soddisfare ogni bisogno del bambino e di potergli risparmiare ogni sofferenza finirebbe in realtà per produrre un danno. Ne deriverebbe infatti un individuo infelice. Al giorno d’oggi è evidente l’incapacità da parte della maggior parte dei genitori di gestire i figli che dimostrano atteggiamenti oltre ogni misura. L’indolenza la si porta nel tempo e i bambini diventano ragazzi, adolescenti, trentenni, quarantenni che vivono una vita apatica proprio perché non si è riusciti a incidere e a dar loro il giusto riferimento nel momento opportuno. I genitori spesso rinunciano a educare i figli nel riconoscere i confini tra il proprio io e il mondo che li circonda, educandoli a controllare gli impulsi, a dominare le ansie e a sopportare le avversità.

Dire no ai figli è molto impegnativo perché è un modo che il genitore ha per far crescere il proprio figlio perché il no è la regola che passa attraverso il divieto. Ma non tutti i no sono giusti: è bene capire come dosarli. Il bambino deve capire quale significato si cela dietro un determinato divieto. Anche i figli affermano i loro no intorno ai due anni e in adolescenza: sono questi i due periodi in cui iniziano i contrasti tra l’essere genitori e i figli.

È bene premettere che ogni fascia d’età ha i suoi no. Il libro infatti è diviso secondo le quattro fasi della crescita: da zero a due anni, dai due ai cinque, poi la fase della scuola primaria e infine l’adolescenza.

La prima fase, quella da zero a due anni, è caratterizzata dall’unione profonda che si crea tra la mamma e il bambino. Ma è importante che sin dall’inizio il bambino impari la disarmonia tra volere e avere: non soddisfare istantaneamente le sue richieste, consentirgli di esprimere le sue emozioni di impazienza, di attesa, lasciare che altri rispetto alla madre lo tengano tra le braccia, equivale a comunicargli che deve aspettare e che ci sono anche le esigenze della mamma, che ci sono dei limiti e delle disarmonie emotive. In questo modo il bambino ha anche la possibilità di prendersi del tempo per sperimentare, per guardarsi intorno e per provare nuove emozioni.

La fascia successiva è quella da due a cinque anni. In questa fascia di età i no sono molto faticosi ma veramente molto importanti. La tentazione che i genitori hanno è quella di fare tutto al posto dei figli chiedi perché non riescono a trovare l’equilibrio tra il desiderio del bambino di fare tutto ciò che vuole e l’inconsapevolezza che ha del pericolo. In questo momento il bambino deve capire ciò che è pericoloso e ciò che non lo è, deve essere libero di sperimentare le emozioni e più che mai ha bisogno di limiti.

Se viene detto no lo si deve dire senza esitazione perché il figlio riesce a percepire l’esitazione del genitore. Ma dietro ai no deve essere sempre presente una ragione valida e importante che se anche non necessariamente spiegata, deve comunque essere estrema e solida convinzione nel genitore. Se in questa fase si applicano punizioni, il bambino deve trarne un insegnamento: da una  punizione data per cattiveria i bambini impareranno la cattiveria ma se invece il genitore usa la ragione il bambino imparerà ad essere ragionevole.

I bambini utilizzano il no per affermarsi e costruire la propria differenziazione e tante volte lo fanno anche per poter sperimentare: in quest’età le proteste infantili debbono essere normalizzate perché il rifiuto significa sviluppo mentale corretto. Il compito dei genitori nella delicata fase dell’infanzia di fronte all’onnipotenza del bambino è porgli dei limiti e dargli delle regole. È tanto necessario una genitorialità salda e responsabile: i genitori invece di fronte ad un bambino che piange o fa i capricci tendono ad andare in ansia accontentandolo. In realtà il bambino vi coglie un messaggio di insicurezza quando invece avrebbe avuto bisogno di conforto e comprensione. Infatti i bambini che non imparano a desiderare e a sforzarsi per ottenere quello che vogliono potrebbero crescendo non sviluppare una sana motivazione interna.

Un’altra delicatissima fase della vita è l’adolescenza, un periodo in cui i contrasti tra genitori e figli sono spesso molto duri e nascondono significati più profondi di quelli nell’età dell’infanzia. È molto forte il desiderio di indipendenza e di autonomia da parte del figlio e quando un adolescente esprime un no, manifesta da un lato un’opposizione ferma e dall’altro l’affermazione di una sua individualità. In questo periodo della vita dei figli, essere bravi genitori significa saper dire loro di no lasciandoli però andare, con tutte le sofferenze e sacrifici che ciò comporta per il genitore.

Dal libro emerge quindi che il limite è una sicurezza: avere un confine definito contribuisce a creare una personalità autonoma, capace di regolazione; perché il limite nel tempo verrà interiorizzato secondo la propria personalità. Emerge anche l’importante lavoro interno di accettazione da parte del genitore che è naturalmente portato a dare al figlio tutto l’amore possibile ed erroneamente pensa che la totale accoglienza e tolleranza dimostri al figlio questo sentimento d’amore. Quando il genitore crederà davvero che limiti che pone al figlio contribuiscono alla sua crescita sana allora esprimerà dei no con calma, integrità e coerenza. Infine è evidente che il limite è un’opportunità che il bambino ha di sviluppare le proprie risorse perché di fronte a un divieto dovrà ridefinire chi è e che cosa può fare in base a quel divieto, mettendosi in condizione di tirare fuori le risorse che possiede e di scoprirne di nuove.

Veronica Tulli

Foto © Psicologia24

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