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I principi della democrazia. Uguaglianza, maggioranza e separazione dei poteri

Il primo problema che una comunità di persone che vivono in un regime democratico deve affrontare è come decidere tra persone uguali che però non hanno gli stessi ideali e interessi. Storicamente il valore dell’uguaglianza tra gli esseri umani ha una giustificazione religiosa, tanto è vero che nella dichiarazione di indipendenza americana del 1776 si legge che “tutti gli uomini sono stati creati uguali”. Tuttavia, essendo tale valore un elemento portante di tutte le costituzioni democratiche, oggi deve essere giustificato indipendentemente da spiegazioni che si rifacciano alla sua origine religiosa.

Ma che vuol dire che siamo uguali? Siamo uguali sotto quale aspetto, e rispetto a che cosa? Anzitutto va chiarito che nel concetto di uguaglianza usato sono irrilevanti fatti relativi a differenze come la statura, la forza fisica, il colore della pelle, o le capacità intellettive. Cioè siamo uguali solo davanti alla legge, “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (Art. 3 della Costituzione italiana). È evidente che gli essere umani sono invece diversissimi tra loro e l’umanità è portatrice di un’infinità varietà di opinioni, comportamenti, culture e creatività specifiche. Tutta questa varietà è una ricchezza importantissima che va preservata e conservata. Dunque, stiamo parlando di “uguaglianza di fronte alla legge” e non di uguaglianza in senso stretto, questo va sempre tenuto presente.  Per legge ogni persona umana gode degli stessi “diritti inalienabili” (Dichiarazione di indipendenza americana) e degli stessi “diritti inviolabili” (Art. 2 della Costituzione italiana). Tutto questo deriva dai diritti umani che ne sono a fondamento. Ne segue che uno dei compiti fondamentali di uno Stato democratico, di diritto appunto, è quello di fare in modo che essi vengano tutelati (dato che sono “inviolabili” e “inalienabili”). Nella tradizione del liberalismo politico tipico dello Stato di diritto, l’esistenza dei diritti umani non dipende dall’appartenenza o dall’esistenza di uno Stato: al contrario, lo Stato esiste proprio per proteggerli.

C’è un secondo aspetto di uguaglianza, più meritocratico, che è importante notare. Insieme all’uguaglianza formale (uguaglianza di fronte alla legge e godimento degli stessi diritti), la nostra Costituzione, sempre all’Art. 3, fa però riferimento anche a un’uguaglianza più sostanziale, in base alla quale la Repubblica “ha il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Il senso di questo è che un sistema democratico debba rimuovere la disuguaglianza “nei punti di partenza” sociali ed economici tra gli individui che rende di fatto più difficile che il talento di colui che è più svantaggiato possa emergere. Tale iniziale disparità non è solo ingiusta per il singolo dal punto di vista etico, ma svantaggiosa per la collettività, perché il pieno sviluppo del cittadino penalizzato alla nascita contribuisce al benessere della collettività. Storicamente questo si è affermato a seguito della Rivoluzione francese, contro l’idea che il prestigio sociale di un individuo dipendesse esclusivamente dalla nascita e non dal merito. Il vincolo legale e il dovere etico di ridurre le disuguaglianze economiche rende possibile il fatto che il principio del merito, nell’occupare posti di responsabilità, favorisca con equità, individui che alla nascita appartengono a ceti svantaggiati.

La seconda caratteristica della democrazia è che essa, anche etimologicamente, è il governo del popolo, che esercita la sovranità, cioè che comanda, nei modi previsti dalla Costituzione. Ma dato che il popolo non è costituito da una massa informe di individui con gli stessi interessi e ideali, il governo del popolo rende necessario che le decisioni di una comunità vengano prese a maggioranza. In linea di principio non c’è alcuna ragione per cui l’opinione della maggioranza sia eticamente o teoricamente preferibile a quella delle minoranze. Sappiamo tutti che nel 1933 Hitler salì al potere grazie al libero voto della maggioranza dei tedeschi. Tuttavia, la regola del decidere a maggioranza è molto ragionevole, a patto che i cittadini possiedano un livello di istruzione elevato e le informazioni, il più possibile obiettive e complete, per decidere. A questo punto bisogna notare però che il sistema con il quale le maggioranze vengono riconosciute e nominate è essenziale. Non si possono non ricordare i problemi che derivano dalla scelta dei vari sistemi elettorali che possono non essere rappresentativi dell’intera per varie cause compreso l’astensionismo. Questo comunque apre un nuovo argomento, di per sé fondamentale, ma che non attiene al principio di maggioranza ma al modo con cui la maggioranza è definita.

Ciò che chiamiamo oggettività sembra basarsi sul massimo grado di accordo tra persone diverse, ognuna delle quali dotata di un bagaglio di informazione affidabile. Bisogna anche sottolineare che, le decisioni riguardano i più urgenti problemi sociali e le linee generali di governo e non ogni piccola decisione particolare di ordinaria amministrazione. Inoltre, il raggrupparsi di più persone intorno a ideali condivisi, favorito dalla regola della maggioranza, facilita e conserva una stabilità sociale. Il punto chiave è che, le decisioni prese a maggioranza devono essere vincolanti per tutti i membri della comunità, e quindi anche per le eventuali minoranze dissenzienti.

Il terzo punto fondamentale su cui si basano i sistemi democratici riguarda la tutela delle minoranze. Esiste infatti un grosso problema nel rapporto tra maggioranza e minoranza dato che quest’ultime si vincolano alle decisioni della maggioranza mettendo volontariamente da parte le proprie idee e quelle dei loro rappresentati. Indipendentemente dalla sua consistenza numerica, il diritto e il dovere di esercitare critiche nei confronti della maggioranza da parte delle minoranze devono essere assicurati e tutelati. Inoltre le minoranze hanno il ruolo fondamentale di allontanare le possibili degenerazioni dovute all’instaurarsi di una tirannia. Tali rischi sono attenuati mediante la separazione o divisione dei poteri, cioè le decisioni prese dalla maggioranza non possano essere stabilite apriori, ma hanno bisogno del controllo costante e severo delle minoranze. Quindi la separazione dei poteri prevista in tutte le democrazie parlamentari,  originariamente teorizzata nello Spirito delle leggi (1748) di Montesquieu (1689-1755), ha lo scopo fondamentale di istituire un sistema di bilanciamento e controllo (check and balance) tra il potere esecutivo (governo), quello legislativo (parlamento) e quello giudiziario. Le costituzioni democratiche in genere stabiliscono come i tre poteri debbano idealmente interagire tra loro senza che nessuno prevarichi sull’altro, pena il cattivo funzionamento o la scomparsa della democrazia stessa.

Nicola Sparvieri

Foto © Parentesi Storiche

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