I Sindacati rappresentano ancora i Lavoratori?
La concertazione sindacale nasconde solo cogestione politica
Il governo Gentiloni ha appena presentato ai sindacati la legge di stabilità 2018 e subito CGIL, CISL e UIL, pur con qualche distinguo tra loro, protestano, addirittura con minacce di sciopero generale: chiedono più investimenti per il lavoro e l’occupazione, maggiore sostegno alle problematiche giovanili, una diversa politica pensionistica, meno penalizzante, soprattutto per la progressione dell’età pensionabile in rapporto all’aspettativa di vita.
Eppure, questo scatto contro il governo pare quasi un sussulto per ridare credibilità, visibilità, qualità ormai da tempo molto appannatesi, ad un sindacato in forte crisi di identità, al punto tale da suscitare nell’opinione pubblica la domanda davvero caustica “Ma il sindacato rappresenta ancora i lavoratori italiani?“. Questa domanda, tanto esistenziale, se la pongono gli stessi sindacalisti come Maurizio Landini, sino a poco tempo fa segretario generale dei metalmeccanici della FIOM, che in modo assai lapidario ha recentemente affermato che “Il sindacato è morto se non cambia, c’è una grave crisi di rappresentanza che riguarda tutto il sindacato senza distinzioni. Penso che il sindacato vada ricostruito.”
Dunque, emerge un rapporto stretto, molto critico tra la presenza del sindacato e la sua capacità rappresentativa, in modo particolare se sia rappresentativo, portatore degli interessi, delle tutele, delle rivendicazioni dei lavoratori un sindacato che negli ultimi trent’anni ha lentamente deposto il ruolo di antagonista sociale per svolgere quello del concertatore, spesso molto incline alla conciliazione e ad assumersi la responsabilità dellacogestione del potere politico sui posti di lavoro. Quale posizione critica e di proposta alternativa ha avuto il sindacato dinanzi alla progressiva legiferazione in materia pensionistica? Perchè le OO.SS. continuano a rappresentare solo il lavoro tradizionale, confermando la loro incapacità e. forse, anche disinteresse a rappresentare il lavorto flessibile, sempre più diffuso? Sono credibili sindacati che criticano la politica fiscale del governo, ma poi sono i primi, certo non gratuitamente, a gestire la fiscalità dei redditi con i loro efficienti patronati? In che misura il sindacato ha contrastato o smussato la politica governatativa di riforma della Pubblica Amministrazione? Eppure i sindacati hanno tanti loro rappresentanti negli organismi di diversi enti intermedi, chiamati ad ispirare la politica del governo: dunque?
L’evidenza non lascia dubbi: il sindacato italiano è vittima di un trasformismo identitario che lo ha fatto mutare dall’antagonismo dialettico del tavolo contrattuale alla mediazione sulle risultanze contrattuali per poterne essere soggetto cogestore presso i lavoratori. L’attuale crisi del sindacato nasce proprio da questa sua mutazione di ruolo che genera sfiducia, amarezza nei lavoratori: come è vero che sempre più cittadini disertano le elezioni, così, oggi, un’ampia maggioranza di lavoratori rifiuta o non rinnova l’iscrizione al sindacato; come tanti giovani non si riconoscono nei partiti attuali, alimentando la politica per le “vie brevi” di un certo populismo digitale, così tanti lavoratori giovani non si sentono rappresentati da organizzazioni sindacali tanto tardive su quella flessibilità d’impiego, oggi nerbo di tanta occupazione giovanile, anche qualificata, ma con tanta precarietà contrattuale. A sfavore del sindacato nei confronti di tutti i lavoratori depongono la labile protesta contro il blocco, da oltre otto anni, dei rinnovi contrattuali nel pubblico impiego, la scarsa resistenza contro accordi separati nel settore del commercio o contro la disdetta del contratto nazionale da parte delle banche, insomma depone una vasta “deregulation” contrattuale, subita passivamente dalle OO.SS. e pagata dai lavoratori, pure per il fatto che quest’ultimi non sono più chiamati a votare sulla bontà dei contratti: dunque crisi della democrazia rappresentativa del sindacato!
In Italia il sindacato si è perso dietro ai propri interessi nella “cogestione sociale e politica”, quindi ha smesso di rappresentare, guidare e controllare, come un tempo, le trasformazioni del mercato del lavoro ovvero di essere il tutore sicuro delle classi lavoratrici. In tal modo il sindacato si è arenato, lontano sempre più, ad esempio, dai lavoratori, ormai in numero crescente, dei lavoratori con semplice partita Iva. L’attuale grave crisi del sindacato italiano è temporaneamente compensata da due fenomeni: quello di 6-700mila immigrati regolari che trovano nelle OO.SS. un fattore di integrazione, cittadinanza e quello dei servizi di patronato. Ma quanto potrà durare questa compensazione?
La salvezza del sindacato italiano è riposta solo nella sua capacità futura di esprimere e assecondare il mutevole mercato del lavoro, quindi interpretando, di conseguenza, la sua responsabilità nella formazione, il collocamento e la tutela dei lavoratori, quasi a presidio della forza lavoro in tutte le attività produttive.