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IL 9 Maggio…. “il Giorno dell’Europa”,
con l’ Europa come Convitato di Pietra

Una “Festa dell’Ipocrisia

analisi e riflessioni di TORQUATO CARDILLI 

Oggi 9 maggio le reti radio tv, i Ministeri, i Parlamenti, le Ambasciate nel mondo dei 27 paesi dell’Unione celebreranno, sulle note del preludio dell’Inno alla Gioia della 9ª Sinfonia di Beethoven, la festa dell’Europa senza che nessuno dei mali che più o meno opprimono i suoi popoli siano stati eliminati. 
Tra le tante cose che non vanno con l’Europa ci sono due questioni che destano perplessità, se non sdegno, nel cittadino informato: la troppa subalternità alla Germania e l’assenza di concreta solidarietà.

A scanso di equivoci premetto che, a mio parere, l’Italia deve restare in Europa per non finire marginalizzata o addirittura schiacciata dal gigantismo politico ed economico di chi ci sta intorno, che magari non vede l’ora di ridurci a mera espressione geografica per farci tornare alla definizione che del nostro paese aveva dato nel 1847 il cancelliere austriaco principe di Metternich. Dunque un’Europa sì, ma un’Europa diversa.

Quando in una famiglia capita un lutto o una disgrazia tutti i suoi membri mettono da parte differenze e rancori per confortarsi e fronteggiare insieme le difficoltà; la stessa cosa accade a livello di calamità nazionale con i cittadini che dimostrano spontaneamente generosità e solidarietà verso le località colpite; altrettanto dovrebbe avvenire a livello europeo. Se non accade, se chi è nei guai è lasciato solo, vuol dire che in Europa il posto della solidarietà è stato occupato dal più gretto egoismo.

I nostri sovranisti che sbraitano contro l’Europa degli egoismi e minacciano di andarsene non sanno che andandocene condanneremmo l’Italia alla irrilevanza e faremmo gli interessi degli ambienti reazionari che odiano il nostro sistema sociale e democratico, pronti a lucrare con la criminalità. Invece dobbiamo impegnarci nel faticoso cammino della raccolta del consenso sul ritorno ai principi dei padri fondatori anche dei paesi  più riottosi che fanno corona al cancelliere tedesco.

E’ noto che la Germania si è autoassegnato il cosiddetto “droit de regard” che  fa prevalere le decisioni della sua Corte Costituzionale Federale (Bundesverfassungsgericht) sulle decisioni europee. 
Al contrario l’art.11 della Costituzione italiana stabilisce inequivocabilmente che L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, ma al paragrafo successivo consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni. 

Se il rifiuto dello strumento della guerra non esclude l’autodifesa, la statuita limitazione alla sovranità nazionale è proprio il contrario della filosofia politica tedesca che si scontra con il buon senso e con le sentenze della Corte di Giustizia Europea sulla primazia del diritto comunitario sul diritto nazionale.

Cosa ha deciso in questi giorni la Suprema Corte tedesca? Ha stabilito (con 7 voti contro 1) che la BCE, con l’acquisto massiccio di 2.600 miliardi nel periodo 2015-2018 di titoli di Stato dei vari paesi voluto da Draghi, è andata al di là del Trattato di Maastricht del 1992, oltrepassando i confini della politica monetaria (controllo dell’inflazione) per entrare nel terreno della politica economica ed ha chiesto all’Europa di dimostrare entro tre mesi, pena il ritiro della Germania dal programma con l’obbligo di disfarsi dei titoli posseduti, che questa linea di demarcazione tra le due funzioni non è stata superata.

Con questa decisione la suprema Corte tedesca ha praticamente dato ragione all’ex europarlamentare Bernd Lucke fondatore del partito di estrema destra tedesco, AFD, contrario a qualsiasi spirito solidaristico e di mutua assistenza europea, firmatario del ricorso in nome del primato della Costituzione tedesca sulle scelte di Bruxelles (UE) e di Francoforte (BCE) di finanziamento del debito dei paesi membri, vietato dal Trattato. 
In un primo momento la Corte Costituzionale tedesca aveva investito della cosa la Corte di Giustizia europea, ma questa aveva pilatescamente risposto che nel ricorso non si ravvisavano elementi sufficienti per mettere in dubbio la legittimità del QE e restituiva il caso senza decisione  ai giudici tedeschi. 
A questo punto la Corte Costituzionale Federale accogliendo l’argomentazione del partito più sovranista che “incita a disfarsi dei parassiti che lucrano sulla generosità teutonica”, ha messo una spada di Damocle sull’esistenza del QE, di cui siamo i maggiori beneficiari.

Quando la magistratura invade il campo della politica i danni sono irreparabili. Qui si tratta infatti del più insidioso attacco mai mosso da un organismo giurisdizionale di uno Stato membro alle due più importanti articolazioni dell’Unione Europea, quella economico-finanziaria della BCE e quella giudiziaria della Corte di Giustizia europea. 
Il verdetto, praticamente di subordinazione del diritto europeo a quello tedesco, nell’indifferenza distratta da beghe di cortile della politica italiana, ha messo in subbuglio gli ambienti finanziari, perché potrebbe tagliare le gambe al programma economico più solido e di più ampio respiro mai adottato dalla BCE. 
L’eventuale vendita dei titoli europei detenuti dalla Bundesbank provocherebbe  certamente un terremoto: la BCE a dicembre non potrà continuare ad acquistare titoli né in base al QE, né in applicazione del PEPP (Pandemic Emergency Purchase Program) cioè il programma del Coronavirus annunciato dalla Von der Leyen per 750 miliardi di euro che consentirebbe a noi di vendere titoli di Stato senza essere strozzati dal mercato.

La decisione dei giudici di Karlsruhe  scoperchia il peccato originale dell’eurozona di aver concepito una politica monetaria comune disgiunta da una condivisione della politica economica, e potrebbe costituire una mina posta sotto la piramide del debito italiano. 
Fino ad ora l’acquisto dei titoli di Stato da parte della BCE avveniva rispettando la cosiddetta clausola del “capital Key” cioè la quota massima di debito acquistabile ogni mese emesso dai paesi membri in base alla quota di capitale che ciascuno  di essi ha versato nelle casse di Francoforte. Dato che la Germania è il paese più ricco dell’Eurozona e che la sua Banca centrale è quella che ha depositato più denaro nella BCE per ogni 100 miliardi di euro in titoli di Stato la BCE ne poteva comprare 27 miliardi in Bund tedeschi, 19 miliardi in Oat francesi,  14 miliardi in Btp italiani e così via. Questo fino allo scoppio del coronavirus. A causa della grave crisi economica della pandemia, nel solo mese di marzo la BCE ha invece comprato 12 miliardi di titoli di Stato italiani e solo 2 miliardi in Bund.

In pratica i Giudici tedeschi hanno chiesto al governo Merkel e al parlamento tedesco di rinegoziare con la BCE i termini del QE e del PSPP, perché eccederebbero i limiti dell’angusta visione della stabilità dei prezzi, causando un danno ai risparmiatori tedeschi derivante dalla imposizione di bassi interessi per i titoli di debito dei paesi economicamente meno virtuosi che otterrebbero finanziamenti sui mercati dei capitali a condizioni notevolmente migliori di quanto accadrebbe in assenza del programma.

Riusciranno le due signore d’Europa, la Lagarde e la Von der Leyen, a resistere alla pressione della terza signora Merkel e a difendere il piano di Draghi dimostrando che gli obiettivi di politica monetaria del QE e del PSPP sono corretti, indispensabili e rispondono secondo i principi comunitari anche all’interesse politico della Germania? Ove fallissero e la decisione della Corte tedesca sul QE e sul PSPP producesse le  estreme conseguenze qui accennate, avremmo di che commiserare il disperato e contraddittorio programma politico dei nostri sovranisti che non riescono a capire che oltre le Alpi ci sono Stati e Governi ancora più sovranisti di noi, e che lo slogan ad effetto, sicuramente imbecille, “né con Pechino, né con Berlino, ma con gli italiani”, può servire a raccattare l’applauso di qualche nostalgico, ma ci condanna all’isolamento internazionale.

L’Italia con il suo debito e l’esiguo margine di manovra rischia di essere stritolata dalla concorrenza e spolpata dalla speculazione sicché, in  un frangente così pericoloso, l’opposizione dovrebbe formare fronte compatto con il Governo su questo e su un altro argomento poco digeribile: la Commissione della UE è contraria alla proposta di emendamento al decreto di liquidità e delle garanzie statali di non concedere aiuti pubblici per la crisi del Covid 19 alle imprese  che abbiano la sede nei paradisi fiscali, non solo quelli della c.d. lista nera (Isole Cayman, Seichelles, Fiji, Delaware), ma anche europei (tipo Olanda, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Cipro) perché ritenuto un provvedimento illegittimo in quanto contrario al principio della libera circolazione dei capitali in Europa. 
Qui si vedrà quanto vale il senso nazionale dell’opposizione. T.Q.

 

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