IL BISOGNO DI CHIUDERE IL CERCHIO
E LA FORZA DELLA CONDIVISIONE
DALL’ECONOMIA CIRCOLARE ALL’ECONOMIA CONDIVISA
L’economia cosiddetta circolare costituisce un antidoto contro le slogature dell’economia sommersa? La risposta è decisamente no. Fare di necessità virtù, trasformando un beneficio ambientale in un’utilità finanziaria, non basta a tirare fuori, come si suol dire, le castagne dal fuoco.
Occorre condividere, sburocratizzare, allestire progetti collettivi d’ampio respiro, portando ciascuno il tratto distintivo del peculiare contributo, anteponendo al profluvio degli uffici tecnici e commerciali il rafforzamento delle competenze specifiche.
La chiusura del cerchio, specie in un momento d’incertezza come quello che l’intero pianeta sta patendo, dipende da una serie di fattori tutt’altro che semplici o trascurabili. Per alcuni degli attori coinvolti nei consorzi, nelle amministrazioni pubbliche e private, nel monitoraggio delle iniziative comunitarie si tratta del classico segreto di Pulcinella.
Scoprire l’acqua calda nell’ambito della gestione delle entrate, nella formulazione delle risorse umane, nell’ovvia esposizione della particolarità del reale, in merito ai diversi meccanismi d’asta e alle variabili strategiche applicabili nel mercato, lascia chiaramente il tempo che trova.
L’emergenza sanitaria, il lockdown, le fasi 1, 2 e 3 hanno solo ed esclusivamente contribuito a svuotare in maniera definitiva il vaso di Pandora. L’isolamento forzato, a dispetto dell’utopica resilienza indicata o dagli inguaribili ottimisti o dai soliti ipocriti, è divenuto il termometro della precarietà dello status in cui versa l’agire economico di chi non ha santi in paradiso.
L’allarme lanciato dal Fondo Monetario internazionale rende inutili le prese di posizione pro e contro, incapaci di ricucire una situazione arrivata ai livelli di guardia in seguito alla lotta al Covid-19. Il rischio default per le PMI (Piccole e Medie Imprese) rende necessarie applicazioni pratiche conformi ad analisi approfondite.
Il passaggio dalla teoria alla pratica, ed ergo dalle chiacchiere alle cose concrete, quantunque non automatico, risulta antitetico all’impasse dei cerchiobottismi.
Se da una parte l’ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione) vigila da copione sui contratti pubblici di lavori utili alla comunità, per scongiurare il rischio delle infiltrazioni di naturale illegale e perseguire gli obiettivi istituzionali contrari all’utilizzo di metodi illeciti nelle gare d’appalto, dall’altra la gente semplice mugugna. Affermando che il certificato antimafia l’hanno in tasca gli stessi mafiosi e i collusi. Vox populi, vox dei? In medio stat virtus?
Trovare un punto d’equilibrio, per caldeggiare dei legittimi sistemi di valutazione e competenza nell’arco dell’ardua progettazione manageriale, non è certo facile. Ma, tuttavia, rimane necessario. Pure ai fini dei criteri di efficacia ed efficienza che avvantaggiano la qualità della prestazione. Anziché il tempo di permanenza in ufficio.
L’ingegnere ed economista Matteo Alfinito (nella foto) nel libro “Mangament delle amministrazioni pubbliche e public private partnership” mette in luce quest’impasse relativo ai controversi controlli. La differenza tra un controllo formale e uno sostanziale, spettante le performance lavorative, inasprite dai vari divieti, valica i meri territori del privato, va oltre il regolamento dei rapporti previsti dalle autorità pubbliche a tutela del rispetto delle regole ed ergo del costo che comporta. La rivisitazione del principio di rotazione, onde evitare che agli appalti dalla capienza limitata partecipino un cospicuo numero d’imprese geograficamente lontane, attigue invece alla sommersione dei flussi economici restii all’uso di mezzi concorrenziali leciti, non amplia le chance di lavoro.
I fenomeni distorsivi vanno ricercati, o onor del vero, soprattutto nell’irrigidimento burocratico e nell’inasprimento dei controlli in teoria a fin di bene. Le cui sabbie mobili risalgono alla notte dei tempi.
Nazario Pagano (nella foto), Senatore della Repubblica Italiana e Coordinatore di Forza Italia, auspica la facilitazione delle norme e l’abrogazione dell’ingessato Codice degli appalti. Il suo ottimismo al riguardo trae linfa dalla fiducia riposta nelle procedure di aggiudicazione contemplate dalle direttive europee di settore.
Con buona pace degli strali lanciati contro Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità) ed €uro, nell’assoluta convinzione di poter stampare una moneta “nostra” e uscire dai diktat di Bruxelles, su sprone dell’alacre giornalista Gianluigi Paragone (nella foto) a capo del discusso partito Ital Exit. L’idea di coinvolgere il politico britannico Nigel Farage, co-presidente del gruppo Europa della Libertà e della Democrazia Diretta, non concorda con la provocazione lanciata dal sindaco di Santa Marina, piccolo centro del Golfo di Policastro, in Cilento, riproducendo dei buoni per permettere alle famiglie in difficoltà di acquistare beni alimentari e mascherine nell’apice toccato dalle restrizioni dovute alla guerra al Coronavirus. L’atto caritatevole, sebbene anche pratico con l’effigie dei luoghi più emblematici del paese incisa sulla moneta per caso, non facilita il febbrile desiderio di coniare sul serio una banconota munita effettivamente delle credenziali per sostituire quella al momento in vigore.
Intanto urge con maggior urgenza lo snellimento delle discipline procedurali. Per l’aggiudicazione dei contratti sottosoglia sono previste due modalità distinte («affidamento diretto o amministrazione diretta per lavori, servizi e forniture di importo inferiore a 150.000 euro; procedura negoziata senza bando con consultazione di almeno 5 operatori, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, con individuazione degli operatori in base a indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici») mentre per gli appalti soprasoglia prevalgono le norme transitorie. Il Decreto Semplificazioni rimane comunque ancora in alto mare. La prospettiva d’una riforma in grado di tagliare i tempi morti, dei poteri superspeciali attribuiti ai commissari, dell’elenco delle infrastrutture da sbloccare, delle aree d’interventi necessari alla bisogna non elimina quelle che Donato Maciardano ha argutamente definito in un supplemento di «Il Sole 24 0re» le tossine dell’incertezza.
Al pari della shadow economy, o economia sommersa, informale, sotterranea che dir si voglia, se non proprio informale e criminale, tesa ad aggirare ed eludere le regole delle leggi e dei contratti, l’economia circolare non serve a risolvere le lacune in materia di appalti: il problema delle tempistiche, dei quadri normativi di riferimento, dell’abbondanza di leggi e avvisi in rapporto alla diminuzione degli opportuni atti di responsabilità rientra in logiche, o illogiche, piuttosto complesse e scisse le une dalle altre.
La raccolta differenziata, che rappresenta un elemento cardine dell’economia circolare, patisce le disparita esercitate dal potere pubblico a discapito delle ditte alle quali è assegnato l’appalto in primis e delle imprese, sovente di piccolo cabotaggio, che subentrano nell’affidamento dei servizi per espletarli in condizioni spesso complicate o persino capestri.
Le aspettative riposte in un circolo virtuoso che Laura Barbuscia sulle pagine del quotidiano «La Repubblica» prospetta contro l’empia cultura dello scarto, per consentire una seconda vita al cibo, sono condivise da chef autoctoni e internazionali, consapevoli di riuscire ad arricchire i risotti con gli avanzi del pesce, ma si scontrano con alcuni impedimenti tangibili. Lo stesso discorso vale per il riuso della carta, allo scopo di ricavarne ciondoli, per la plastica lavorata a caldo, per le composite filiere, per i termovalorizzatori, per gli imballaggi difficilissimi da riciclare, per la circolarità di materia, per la produttività delle risorse. Dalle fonti rinnovabili, che coinvolgono gli impianti a basso impatto promossi da Paolo Pinamonti (nella foto) alla guida dell’associazione di categoria dei produttori di energia elettrica connessa alla forza dell’acqua, ai rifiuti urbani e non urbani, in plastica, in vetro, in carta, inseriti nella dinamica dell’import ed export a livello internazione. Sul fronte nostrano CONAI (Consorzio nazionale imballaggi) preferisce legittimamente pensare alle best pratices anziché alle bad practices.
Le associazioni di Filiera CIAL, COMIECO, COREPLA e RICREA, congiunte a CONAI, hanno compiuto progressi degni di nota nel corso degli anni. La gestione del servizio idrico, frammista all’idonea espansione di ciascun settore, passa nondimeno attraverso delibere, iscrizioni ai registri, graduatorie, termini processuali, accesso al credito, costi del servizio certi, paragonati alle mamme, e importi dei ricavi incerti accociati ai papà. Ma al di là dell’accostamento all’adagio latino Mater semper certa est, pater numquam – piuttosto noto a chiunque debba redigere un business plan – la possibilità di ottimizzare i costi, accertare i ricavi e garantire gli investimenti attiene alle frecce che l’economia circolare ha al proprio arco. I centri di raccolta per la messa in sicurezza, il recupero dei materiali da rottamazione, le operazioni di smaltimento sono però una bella gatta da pelare.
Polieco Group, il consorzio nazionale noto in Europa per la produzione e la commercializzazione di tubi corrugati a doppia parete in polietilene ad alta densità, pone l’accento sull’importanza di una raccolta fondata sulla qualità. L’inidonea egemonia della quantità innesca, col traffico illecito dei rifiuti, ineluttabilmente l’involuzione dal circolo virtuoso alla precedente e interdetta sommersione.
Per chiudere quindi il cerchio nel migliore dei modi, favorendo lo sviluppo sulla scorta delle debite licenze e qualificazioni senza pagare dazio né agli illeciti delle attività produttive non registrate, aliene alle specializzazioni, né al mare magnum di carta che costringe le PMI ad agire, e interagire, con l’ingombro della classica lavatrice attaccata alla schiena, l’economia condivisa è imprescindibile.
La vendita del materiale raccolto in chiave differenziata aumenta i contributi riconosciuti ai gestori dei servizi, migliora i ricavi, che divengono perciò più simili alle mamme certe, riceve giovamento sia dalla mutualizzazione delle risorse conformi ai parametri del commercio interaziendale B2B, altresì noto come business-to-business, sia dalla garanzia delle obbligazioni nei confronti degli enti pubblici. Che di regola prevedono il diktat di fideiussioni, bancarie o assicurative a seconda delle circostanze. L’obbligazione del negozio pubblico con cui il soggetto chiamato Fideiussore, il Beneficiario e il Contraente stringono l’accordo, racchiuso nel rapporto previsto dalla legge, in largo anticipo rispetto alla data di avvio degli impianti.
Il concetto di condivisione, alla base della sharing economy intenta ad aumentare beni e servizi tramite l’incremento dell’apporto collaborativo generale, anche se non ha direttamente voce in capitolo nei massimali disposti dalla DGRV n. 346 del 19.03.2013 al servizio dell’influente Responsabilità Civile Inquinamento (RCI), trascende l’esclusiva della raccolta differenziata abbracciando contesti stimolanti ed eterogenei.
L’auspicata ripresa necessita secondo il celebre docente ed economista Alberto Quadrio Curzio (nella foto) d’investimenti infrastrutturali europei dalla natura multiforme: fisica, sociale, scientifica e tecnologica.
Indubbiamente l’economia condivisa si sposa alla perfezione con le nuove tecnologie che permettono una comunicazione priva d’intoppi tra destinatari, contraenti, enti ed emittenti. Mentre i contratti di joint venture contemplano la condivisione tra grandi imprese in possesso della tecnologia richiesta, ma distanti dal luogo dell’esecuzione delle opere da portare a termine, e imprese altrettanto grandi, vicine tuttavia allo spazio dei lavori ed estranee all’altro requisito, suddividendo tanto i costi quanto i rischi già dalla fase ex ante con una lapalissiana lettera d’intenti, le PMI languono nella trepidante attesa della risolutiva leva strategica per l’appropriata sostenibilità.
I salti di qualità, gli strumenti di policy, gli squilibri valutari, gli attacchi speculativi, le decisioni collegiali in seno al Consiglio Europeo ora creano imbarazzo, ora ingenerano fiducia per una proficua inversione di tendenza.
La congerie dei Dpcm attuativi (Decreti Ministeriali) mostra la corda: la flessibilità promessa dall’ANAC sembra una chimera. Non lo sono le esperienze accumulate sul campo dagli imprenditori vecchio stampo, dai dirigenti temprati dalla gavetta, da operatori economici che si attengono alle direttive comunitarie e al contempo conoscono a menadito i vari gradi di coinvolgimento di ogni stakeholder. Glie l’ha insegnati la pratica. L’attesa dei Dpcm quando si vuole battere il ferro finché è caldo cede il passo quindi allo spirito d’iniziativa che anima il concetto stesso di economia condivisa.
Il processo partecipativo, caro anche ai sostenitori dell’economia umanistica, definita dal professore di comunicazione finanziaria Valerio Malvezzi (nella foto) la sfida del nuovo millennio, giacché pronta a sostituire il mantra del neoliberismo, apre il varco ai contatti stabiliti dalle relazioni interpersonali, dalla facondia dialogica, lungi dal perdersi nel silenzio, dal diritto al merito che manda, o manderebbe (il condizionale è d’obbligo), all’aria l’annosa poltroneria degli strumenti concorsuali. Il riscontro utile per i bilanci, che regrediscono il raggiungimento del capitale dall’invadente condizione di “fine” allo status pacifico di “mezzo”, dà il benservito a qualsivoglia deriva machiavellica?
Al posto del cinismo assurto a massima dal Principe (il fine giustifica i mezzi), rimediando alla sciagurata ipotesi che l’economia sommersa prenda il sopravvento (come accadde con la borsa nera durante la seconda guerra mondiale), l’impegno di alcuni esercenti ravviva l’ottimismo e incentiva la sete di cultura. Finanche il bisogno d’intrattenimento affidato agli spettacoli dal vivo. In attesa che la soglia di sopravvivenza dei film nelle sale cinematografiche torni alla normalità, esacerbata da norme e protocolli per il distanziamento, il riavvicinamento al mercato primario di sbocco della settima arte dipende dai bandi in via di pubblicazione, dalle sinergie tra pubblico e privato, dalla capacità di accedere al credito, di condividere progetti, riguardanti insieme ai drive-in le attività Food & Beverage attualmente in crisi, di trasformare realmente la crisi in opportunità.
L’aumento dei costi dello sbigliettamento, l’affollamento massimo di 200 persone, l’impossibilità di trarre linfa dall’economia circolare, per la raccolta dei plexiglas, spingono gli avventizi a gettare i remi in barca. Il Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS) non intimidisce, al contrario, gli esercenti che credono nelle Associazioni temporanee d’imprese. La condivisione agevola la verifica dei requisiti d’idoneità morale, tecnico organizzativa ed economica, tempra il carattere, mette le ali ai piedi.
Lo scoglio dell’indefessa burocrazia e delle restrittive misure di sicurezza, che finiscono per diffondere insicurezza a macchia d’olio, è un ennesimo ostacolo da superare. Per gettarvi oltre il cuore. Lucidamente il cervello registra le difficoltà una per una. Ma il valore aggiunto, come l’unione che fa la forza, potrebbe avere un peso decisivo. Staremo a vedere. A Dio piacendo.
MASSIMILIANO SERRIELLO