Il campo unificato di Einstein e il modello standard
La cosmologia moderna affonda le radici in un’unica teoria scientifica: la relatività generale di Einstein. Con la sua nuova teoria della gravità, Einstein demolì l’idea comunemente accettata di spazio e tempo rigidi e immutabili. Contributi di questa importanza sono rari ma Einstein sognava di raggiungere vette ancora più alte. Sognava di sviluppare una teoria unificata dei campi e cioè di riunire tutte le forze della natura in una sola interazione basilare e fondamentale. Invece di avere un certo insieme di leggi per certi fenomeni fisici e un insieme diverso per altri fenomeni, Einstein voleva fondere tutte le leggi in un unico insieme coerente. Purtroppo, dopo decenni di intenso lavoro di Einstein e di altri scienziati per ottenere l’unificazione non sono stati prodotti risultati sufficienti. La proposta più perfezionata che ne è emersa è la teoria delle stringhe che, tuttavia, deve ancora formulare previsioni definitive la cui verifica sperimentale possa dimostrare che la teoria è giusta o sbagliata.
All’epoca in cui Einstein inseguiva l’obiettivo dell’unificazione, le forze conosciute erano la gravità, descritta dalla relatività generale, e l’elettromagnetismo, descritto dalle equazioni di Maxwell. Einstein immaginò di fonderle in un’unica forza che descrivesse chiaramente il funzionamento di tutti i fenomeni della natura. Einstein aveva grandi speranze di arrivare alla teoria unificata. Considerava il lavoro di Maxwell sull’unificazione delle forze elettriche e magnetiche nell’elettromagnetismo come l’esempio ideale di contributo a una unificazione ancora più generale. Prima di Maxwell, la corrente elettrica che scorre in un filo, la forza generata dalla calamita di un bambino e la luce che arriva sulla Terra dal Sole erano visti come fenomeni distinti e non collegati. Maxwell rivelò che, in realtà le correnti elettriche producono campi magnetici; i magneti che si muovono nelle vicinanze di un filo producono campi elettrici e le perturbazioni di tipo ondulatorio che increspano i campi elettrici e magnetici producono luce. Con le sue ricerche, Einstein si aspettava di far progredire il programma di unificazione di Maxwell compiendo la mossa successiva, forse l’ultima, sulla via per arrivare a una descrizione pienamente unificata delle leggi della natura, una descrizione che avrebbe unito l’elettromagnetismo e la gravità.
Non si trattava di un obiettivo modesto, e Einstein non lo prese alla leggera. Egli aveva l’impareggiabile capacità di concentrarsi con grande determinazione sui problemi che decideva di risolvere e negli ultimi trent’anni della sua vita il problema dell’unificazione divenne la sua ossessione principale. Secondo quanto ha raccontato la sua segretaria personale e governante Helen Dukas, che era insieme a lui al Princeton Hospital, il 17 aprile 1955, il giorno prima di morire, Einstein, che era costretto a letto ma quel giorno si sentiva un po’ più forte, le chiese le pagine di equazioni che aveva continuato a modificare senza sosta nella speranza sempre più fievole che la teoria unificata dei campi si materializzasse. Einstein morì prima dell’alba. Questi ultimi appunti scribacchiati non gettarono altra luce sull’unificazione.
Pochi contemporanei di Einstein condividevano questa sua passione. Dalla metà degli anni venti alla metà degli anni sessanta, i fisici, guidati dalla meccanica quantistica, si dedicarono a svelare i segreti dell’atomo e a imparare come sfruttarne i poteri nascosti. L’idea di distinguere i costituenti della materia esercitava un fascino immediato e potente. In un’epoca in cui i teorici e gli sperimentatori lavoravano insieme sulla meccanica quantistica, l’unificazione, seppur giudicata da molti come un obiettivo importante, suscitò soltanto un interesse passeggero e superficiale. Con la morte di Einstein, le ricerche sull’unificazione si fermarono di colpo.
Il fallimento di Einstein apparve più grave quando ricerche posteriori mostrarono che la sua ricerca dell’unità aveva avuto un orizzonte troppo ristretto. Einstein aveva sottovalutato il ruolo della fisica quantistica (era convinto che la teoria unificata avrebbe soppiantato la meccanica quantistica e quindi che non fosse necessario incorporarla sin dall’inizio) e in più il suo lavoro non teneva conto di altre due forze rivelate dagli esperimenti: l’interazione nucleare forte e l’interazione nucleare debole. La prima offre un potente collante che tiene insieme i nuclei degli atomi, mentre la seconda è responsabile, tra le altre cose, del decadimento radioattivo. L’unificazione dovrebbe combinare non due forze, ma quattro. L’obiettivo sognato da Einstein sembrò ancora più remoto.
Tra gli anni sessanta e gli anni settanta, la situazione cambiò. I fisici si resero conto che i metodi della teoria quantistica dei campi, che erano stati applicati con successo alla forza elettromagnetica, fornivano anche la descrizione delle interazioni nucleari deboli e forti. Le tre forze non gravitazionali potevano quindi essere descritte usando una stessa teoria. Per di più, lo studio approfondito di queste teorie quantistiche dei campi, soprattutto il lavoro di Sheldon Glashow, Steven Weinberg e Abdus Salam, che fu premiato con il Nobel, rivelò relazioni che suggerivano una potenziale unità tra la forza elettromagnetica e le due interazioni nucleari. Seguendo l’esempio di Einstein di quasi mezzo secolo prima, i teorici ipotizzarono che queste tre forze apparentemente distinte potessero essere in realtà manifestazioni di un’unica, monolitica, forza della natura. Il lavoro di unificazione per gran parte del XX secolo, si incentrò sulla comprensione delle tre forze “quantistiche”: elettromagnetismo e le forze nucleari debole e forte. Le forze forte ed elettrodebole coesistono nel modello standard della fisica particellare, ma rimangono distinte.
Questi progressi straordinari verso l’unificazione erano incoraggianti, ma l’atmosfera era rovinata da un problema: se applicati alla quarta forza della natura, la gravità, i metodi della teoria quantistica dei campi non funzionavano affatto. I calcoli che avevano a che fare con la meccanica quantistica e la descrizione del campo gravitazionale nella relatività generale producevano risultati contrastanti, matematicamente insensati. Nonostante il grande successo della relatività generale e della meccanica quantistica nei loro domini originari del grande e del piccolo, i risultati privi di senso che si ottenevano tentando di combinarle indicavano una crepa profonda nella comprensione delle leggi della natura. Se le leggi a disposizione si dimostrano incompatibili, è chiaro che non sono le leggi giuste. L’unificazione era stata un obiettivo estetico; ora si era trasformata in un imperativo logico.
Il successivo passo avanti fondamentale arrivò a metà degli anni Ottanta. Nuovi approcci furono proposti quali la teoria della supergravità, la gravità quantistica e la teoria delle superstringhe. Qust’ultima catturò l’attenzione dei fisici di tutto il mondo anche per il fascinoso impatto emotivo con le ipotesi sul multiverso. Mitigando il contrasto fra la relatività generale e la meccanica quantistica, alimentò la speranza di riuscire a portare la gravità nell’ambito quantistico unificato. La ricerca proseguì a un ritmo incalzante e migliaia di pagine di riviste si riempirono rapidamente di calcoli che sviluppavano aspetti dell’approccio e gettavano le basi per la sua formulazione sistematica. Emerse una struttura matematica imponente e complicata, ma la teoria delle superstringhe continuava in gran parte a essere misteriosa.
Spesso si introduce il termine, anche un po’ ironico e fantascientifico, di “teoria del tutto” volendo intendere una teoria in grado di spiegare tutti i fenomeni conosciuti. Naturalmente il primo passo per arrivare a una siffatta ipotetica teoria è quella della unificazione di tutte le interazioni fondamentali che, come si è visto, è ancora piuttosto lontana.
Nicola Sparvieri
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