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Il caro-bollette e la guerra russo-ucraina

Dal 24 febbraio di quest’anno la guerra russo-ucraina ci sorprende col suo carico di atrocità e di morte. Oltre ai bollettini di guerra fatti di attacchi e controffensive sulle Città e gli obiettivi strategici, assistiamo anche allo scenario geopolitico globale che col passare dei mesi sta formando anch’esso due blocchi contrapposti. Inizialmente il Mondo ha condannato unanimemente questa nuova e pericolosa guerra in Europa ma dopo poco è emerso da un lato il compatto blocco occidentale NATO guidato da Stati Uniti e Comunità europea e un più frastagliato, ma via via più definito e solido, blocco di Paesi filorussi con una crescente presenza cinese, spinta anche dalla crisi di Taiwan.

I Paesi occidentali si sono fatti promotori di sanzioni economiche contro la Nazione che ha invaso, il quale non ha tardato a far pesare il fatto di essere uno dei principali fornitori di gas naturale dei Paesi più industrializzati dell’Europa occidentale. L’effettiva riduzione nelle forniture di gas russo verso l’Europa e la minaccia del suo completo azzeramento hanno provocato pesanti conseguenze economiche. Le materie prime sono schizzate a livelli record già dai primi mesi del conflitto e le sanzioni e la fornitura di armi occidentali all’Ucraina rendono l’intero scenario molto instabile e preoccupante.
Le immediate decisioni dei Governi occidentali, tra i quali quello italiano, di aumentare le quantità di gas provenienti dai fornitori alternativi ha fatto iniziare un dibattito su come globalmente il blocco occidentale debba rivedere e mettere in sicurezza gli approvvigionamenti energetici nazionali.

Vediamo più nei dettagli la situazione in Italia. Dai dati ufficiali provenienti dal Mise (ministero dello Sviluppo economico) si evince che il soddisfacimento del fabbisogno energetico italiano è attualmente riassunto nel seguente modo: 20% fonti rinnovabili (idroelettrico, eolico, fotovoltaico), 33% dal petrolio, 40% da gas naturale, 7% da altre fonti.
Per quanto riguarda la voce relativa al gas naturale (il 40% del fabbisogno energetico pari a circa 71 miliardi di metri cubi nel 2020) proviene per il 95% da acquisti all’estero e solo per il circa 5% da giacimenti italiani. Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, a margine del Consiglio Ue ha ribadito che nel brevissimo termine, nell’ordine di settimane, non c’è nessun problema di approvvigionamento, ma dal prossimo anno ci sarà da affrontare il problema dello stoccaggio. Inoltre, sul piano europeo, il ministro ha ribadito l’impegno di Roma per quelli comuni “anche su forma volontaria”.
Il Governo prevede inoltre che, se scattano i razionamenti del consumo di gas “nel settore termoelettrico”, Terna (società italiana operatrice delle reti di trasmissione dell’energia elettrica) dovrà predisporre “un programma di massimizzazione dell’impiego degli impianti di generazione di energia elettrica con potenza termica nominale superiore a 300 MW che utilizzino carbone o olio combustibile in condizioni di regolare esercizio, per il periodo stimato di durata dell’emergenza”.
Sarà il ministro della Transizione ecologica, ad adottare con “provvedimenti e atti di indirizzo” misure “finalizzate all’aumento della disponibilità di gas e alla riduzione programmata dei consumi previste dal Piano, a prescindere dalla dichiarazione del livello di emergenza”.
Al recente meeting di Rimini il premier Mario Draghi ha affermato: «Abbiamo stretto nuovi accordi per aumentare le forniture (di gas naturale n.d.r.) dall’Algeria all’Azerbaigian. Gli effetti sono stati immediati: l’anno scorso, circa il 40% delle nostre importazioni di gas è venuto dalla Russia. Oggi, in media, è circa la metà».

Cosa si può fare a questo punto? Anzitutto notare che gran parte delle difficoltà che incontriamo nella gestione di questa crisi derivano dal non aver diversificato in passato le fonti di approvvigionamento di gas naturale così strategiche nel nostro sistema economico.
Secondariamente potremmo dire che il contributo del nucleare, se il programma italiano non fosse stato interrotto negli anni 80, sarebbe ora prezioso. Ma queste sono considerazioni che riguardano il passato. Il Governo si accinge, se necessario, a riaprire le centrali a carbone o a olio combustibile. Contemporaneamente stipula accordi internazionali per aumentare le quote tagliate dalla Russia in particolare con Algeria, utilizzando i gasdotti esistenti, e con altri fornitori per aumentare la quota di gas liquefatto spedito su navi.
Queste misure governative, insieme all’eventuale riduzione dei consumi, sono necessarie nel breve termine ma non bisogna dimenticare gli impatti economici del caro-bollette tanto ribadite nella campagna elettorale da tutti gli schieramenti. Nella strategia di medio termine, che va con decisione perseguita, dobbiamo ricordare che una parte importante del fabbisogno energetico nazionale è l’energia elettrica e che il gas naturale contribuisce per il 66% alla produzione di elettricità attraverso le centrali le cui turbine sono alimentate a gas.
Da un focus sulla produzione di energia elettrica in Italia si nota: gas naturale 66,8%, idroelettrico 17,6%, fotovoltaico 8,9%, eolico 6,7%. A questo punto è evidente che la crisi in atto rappresenti, oltre tutti i numerosi problemi che genera, anche un’opportunità per far aumentare con decisione, nei prossimi anni, le rinnovabili (idroelettrico, fotovoltaico ed eolico) rispetto al gas naturale sul fronte di produzione di energia elettrica.

 Nicola Sparvieri

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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