Il matrimonio procreativo e i suoi limiti
“Non è bene che l’uomo sia solo” ha dichiarato il creatore stabilendo la prima verità sull’uomo. Ma per risolvere il problema della solitudine si sarebbe potuto inserire un altro uomo, o anche una comunità di uomini. Ma invece Dio ha voluto risolvere la solitudine dell’uomo creando un’altra persona, una donna e non un uomo, né più donne, né una comunità di uomini e donne. La solitudine dell’uomo non fu determinata dal fatto che non stesse con altre persone, ma dal suo stare senza una donna. Quindi l’uomo ha la profonda esigenza di stare con una donna e, naturalmente, anche le donne hanno bisogno degli uomini.
La bellezza dell’amore tra un uomo e una donna è qualcosa che tutti abbiamo nel cuore e non c’è bisogno di sottolinearne il fascino profondo che esso suscita. Per i giovani è una motivazione formidabile a superare gli ostacoli che si frappongono all’autonomia economica e di emancipazione dalle famiglie di origine. Vivere insieme alla persona che ami e fondare una famiglia tua in una casa tua è da sempre la spinta decisiva a sviluppare una personalità autonoma e indipendente in qualunque individuo.
Ad esempio, i fidanzati che si preparano al matrimonio partono molto carichi e non vorrebbero nessun insuccesso ma risulta chiaro che l’unione tra un uomo e una donna, se non si alimenta, perde la sua essenza e molto del suo fascino. Nessuno vorrebbe mai che finisca la “benzina” del rapporto di coppia e che questo si fermi perché si viene a scoprire che “l’amore è finito”.
Ma quale è questa benzina tanto necessaria per portare avanti il rapporto?
La chiesa cattolica ci offre una risposta decisiva a questa domanda. Per evidenziarla basta rivedere un estratto del rito della celebrazione del matrimonio. Le due domande che il Celebrante rivolge agli Sposi sono:
- Siete disposti a essere fedeli sempre (nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia) e ad amarvi e onorarvi tutti i giorni della vostra vita?
- Siete disposti ad accogliere responsabilmente e con amore i figli che Dio vorrà donarvi ed educarli secondo e leggi di Cristo e la chiesa?
Il fatidico “si” di risposta a queste domande costituisce il fulcro delle promesse matrimoniali nella chiesa cattolica, pronunciate davanti al celebrante e ai testimoni. Tali domande sono il contenuto stesso del matrimonio e devono essere dichiarate in modo libero e consapevole dagli sposi, pena la nullità del matrimonio stesso.
Considerando questi due concetti (fedeltà e procreazione) viene da pensare che non siano esclusivi di un matrimonio religioso (in particolare cattolico) ma che siano comuni anche a una unione di amore intesa in senso generale. Infatti, quale uomo se sinceramente innamorato non desidera l’unione per la vita con l’amata senza mai lasciarsi? E chi non vorrebbe, nella stabilità affettiva di una unione sincera, avere dei figli da amare e curare?
Tutti “sentiamo” che l’amore vero è per sempre e non pone condizioni, non ha limiti e che la finalità del rapporto di coppia non è soltanto che io e te stiamo bene insieme ma sentiamo anche che l’amore ha una proiezione verso l’esterno, verso gli altri, i figli, o, chi non può averne, verso una disponibilità a un impegno verso il prossimo di qualunque altro tipo. In altre parole, ogni coppia deve essere feconda, in senso lato, o rischia di sterilizzarsi e morire.
Nel matrimonio cristiano le due promesse prima considerate (fedeltà e procreazione) confluiscono e si originano nello stesso tempo da un fatto fondamentale che è l’atto di unione coniugale. Esso è il vero alimento del matrimonio, ovvero la benzina occorrente per far muovere tutto. Per i cristiani in esso si dà il sacramento matrimoniale che contiene in sé la comunione tra i coniugi e il perdono reciproco. La chiesa cattolica sull’atto coniugale dice di non separare volontariamente l’aspetto unitivo dall’aspetto procreativo, come descritto nella enciclica di papa Paolo VI “Humanae Vitae”.
Cioè essa stabilisce che in ogni atto sessuale la coppia matrimoniale non dovrebbe impedire la possibilità che la donna resti incinta. Su questo principio, mai smentito dalla chiesa ma sul quale si è sviluppato un vivace dibattito, è basata la norma di sconsigliare l’uso dei contraccettivi ma solo quello dei metodi naturali.
Si può anche sostenere che l’unione sessuale fatta nelle modalità previste dalla Humanae Vitae contribuisca alla fedeltà della coppia nel senso che può incidere “psicologicamente” su un atteggiamento nei confronti del mondo esterno. Voglio dire che il fatto di non poter escludere di aspettare un figlio può condizionare l’atteggiamento nei confronti di altri “partners” potenziali scoraggiando l’infedeltà.
Ovviamente la scelta alla genitorialità è “responsabile” nel senso che l’atteggiamento di apertura alla vita segue a una valutazione delle condizioni specifiche di ciascuna famiglia, sia economiche che di salute o di varia opportunità (come riportato dalla Humanae Vitae). Quindi, liberamente e responsabilmente, la coppia decide il numero dei suoi figli.
È altrettanto ovvio, tuttavia, che le valutazioni debbano anche tener conto della considerazione che ciascuno ha della “vita in sé” che, essendo di valore infinito, è operazione sempre difficile da fare. Il problema che si pone è ovviamente quello della qualità della vita che si può offrire a un figlio.
Ma chi può sapere a priori se un tipo di vita vale la pena viverla e un altro tipo no? Per esempio, posso stabilire il valore della vita di una persona in base al fatto di essere alta, bassa, ricca, povera, sana, mongoloide etc?
Una possibile chiave di lettura per orientarsi in questa spinosa problematica potrebbe essere quella di cominciare a considerare cosa classifichiamo come bene “necessario” e cosa per noi è “superfluo”. Cioè, cosa conta veramente e cosa è accessorio? Ciascuno può rispondersi per proprio conto.
Tutti i confronti che si potrebbero immaginare tra gli sport, i corsi di lingue, i viaggi etc andrebbero sempre confrontati con la ricchezza “umana” di appartenere a una famiglia numerosa.
Comunque, al di là delle opinioni che ognuno può avere, resta il fatto che un giudizio apriori su cosa è veramente importante per un figlio è sempre difficile da fare. Soprattutto va sempre ricordato che non esistono leggi generali ma casi concreti.
Da quanto detto appare chiara l’importanza dell’atto sessuale nell’economia della coppia e da questo segue logicamente che, se tale rapporto viene disatteso, come frequenza o qualità, o addirittura sparisce, la relazione, prima o poi, si indebolisce e muore. Ritengo che questa sia la causa principale delle crisi di coppia attualmente presenti nella società.
Mi sembra importante sottolineare che se si vuole conservare la sessualità all’interno del matrimonio e far fronte quindi alle attuali crisi e separazioni, è opportuno approfondire e diffondere la necessità di una vissuta e soddisfacente relazione sessuale nella coppia togliendo tutti i moralismi, che per secoli ci hanno accompagnato, e riprendendo in pienezza la vita coniugale in tutti i suoi aspetti.
Prima del Concilio Vaticano II, la frase remedium concupiscentiae “rimedio della concupiscenza” era abituale nel lessico ecclesiale per descrivere uno dei fini del matrimonio. Il codice di diritto canonico del 1917 (c. 1013), distingueva un fine unico primario e un fine secondario duplice: “Il fine primario del matrimonio è la procreazione e educazione della prole; il fine secondario è l’aiuto mutuo e il rimedio della concupiscenza”.
Per secoli l’accettazione, da parte del pensiero ecclesiastico, del matrimonio come un “rimedio” o legittimazione della concupiscenza ha impedito lo sviluppo di una visione diversa del matrimonio basata sulla ricchezza del rapporto di coppia. L’equilibrio tra un rapporto indissolubile e lo sforzo di realizzare la personalità del singolo, che costituisce la più grande sfida del matrimonio, non è per nulla aiutata da chi sottolinea solo l’aspetto procreativo e di rimedio alla concupiscenza.
Nicola Sparvieri
Foto © Didatticarte
Matrimonio cristiano, Paternità responsabile, remedium concupiscentiae