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Il Minareto di Jam: storia d’amore e di guerra

Focus su un punto della situazione storica attuale

Il titolo di questo libro evoca le favole del fascinoso Oriente, quelle che, purgate da troppi incisi, si leggono avidamente soprattutto da bambini. Ma la realtà appare quasi subito a sconfessare l’attraente finale promesso: il Minareto di Jam è un libro che rivela l’attualità del Vicino Oriente, un mondo sconvolto da guerriglia sanguinosa e intermittente per mille false paci, bombardato, distrutto.

Su questo sfondo doloroso si muovono quattro amici, i protagonisti di un discorso fatto da un imprenditore ed esperto d’ arte militare, Gianfranco Michelini. L’autore, proprio per la sua natura di soldato, agogna un equilibrio, un accordo vero, e, per la sua natura di uomo, e di uomo colto, cerca la bellezza della diversità culturale ed etnica, la creazione, il canto della vita su difficoltà ed amarezze ambientali.

Il romanzo, che è qui una forma di réportage o cronaca sulle attività nazionali in Afghanistan che hanno come scopo la cessazione della guerra, è edito da Pagliai / Polistampa, solito a dar voce alla narrativa contemporanea ed ai problemi che si dibattono nel mondo da un punto di vista prevalentemente europeo. E s’intenda, per questo, l’opinione di un numero di Paesi che hanno un vissuto storico profondo e comune atto a dar loro una visione particolare e più certa sui tormenti che affliggono la terra. L’apertura storica e culturale è, a causa di una molteplicità di rapporti e di accadimenti fitta e lontana nei tempi per l’inizio di essa, particolarmente notevole in Europa.

Il Minareto di Jam è significativo anche per i temi che risultano lungo lo svolgersi del racconto: la fedeltà al Corpo degli Alpini ed a tutte le loro certezze, per cominciare. I quattro amici sono infatti quattro ufficiali ed i personaggi che completano il romanzo sono militari o ex militari passati ai Servizi, fra questi il Generale che chiede al protagonista la missione. Fedeltà è il tema fra i più forti in questo libro: alla Patria, alla stima del proprio sé, all’amore o agli amori familiari ed amicali, alla terra anche ingrata, terra come Natura. Quando sfilano folle con striscioni inneggianti alla Pace forse non immaginano quanto fermo e totale è il concetto di Pace in ogni militare, in ogni guerriero.

A corredare il valore di europeo in modo ardito e nuovo è la comprensione innata fra uomini di paesi diversi visti come cittadini di un medesimo Stato, che prende strade come i rami di un albero: l’amore, l’amicizia, il dovere, la gioia, l’irrilevanza per la lingua o la sfumatura della pelle, i gusti alimentari, la foggia dei vestiti, e talvolta passa i continenti, illuminando occhi a mandorla o etnie di culture che a prima vista possono essere simili ma l’evidenza lo nega, il che prova non solo che Michelini è conoscitore sicuro delle terre che descrive, ma anche che privilegia l’essere umano nel completo della sua accezione.

Ciò che si rileva, a coronamento di quanto accennato sopra, è il sentimento di compagnonaggio: questo è la forza, il leit motiv, lo scopo della missione anche sotto la copertura dell’impresa diplomatica, volendo rovesciare i fattori del calcolo narrativo. Si è come legati da un misterioso filo che coinvolge tutti; tutti, purché si creda. Puramente, spontaneamente, senza ministri di culto: qualsiasi fede, non importa: qui, l’Uomo è nell’uomo.

Ma non sono solo queste le linee di sviluppo del Minareto di Jam, che è reale, costruito da antiche genti, diruto dalle infinite guerriglie, dagli estremismi dai quali l’autore si distanzia pur comprendendo l’origine dei conflitti, e che qui è il centro delle azioni belliche e diplomatiche propriamente dette.

Vaga e sosta su tutto il pensiero politico dell’autore che sfocia in considerazioni su governo e governi quanto mai plausibili per i danni e gli effetti provocati, si traccia a grandi linee il carattere di un popolo in dismissione, quello italiano, oltre l’amore che l’autore prova per esso, si denunciano in due righe le tristi cause della depressione d’Italia: «L’ubriacatura del Fascismo, che tentò… di creare un forte sentimento nazionale… per molti fu buona fede… si assistette (dopo la sconfitta) ad un affievolimento del senso di Patria a cui contribuirono alacremente comunisti e clericali vecchia maniera… la bandiera saltò fuori solo ai campionati di calcio.»

Tali ragioni si devono riconoscere oltre ogni contestazione, non per idea politica, ma per la debolezza del senso patrio dei concittadini, che stentano a liberarsene, grazie anche al tamburo battente voluto in modo losco da chi è interessato a mantenerla e ne manipola la storia. Le stime sulle religioni seguono questi pensieri, viste come insana ingerenza nell’azione civica e di stato delle genti, e l’Autore ne parla con sufficiente maestria, da uomo colto, da persona che si è trovata immersa in esse per motivi di mansione da espletare e che ne ha annotato tutte le contraddizioni feroci all’interno di ogni individuo, come elemento separatore: la dolente incertezza di una donna, fra costumi di famiglia e fede militare, che la portano a cedere, i luridi costumi di alcuni “credenti” dediti alla pedofilia, a causa «del tremendo errore della colpevolizzazione e della segregazione della donna.»

Talvolta sembra che la costruzione di un vero e proprio romanzo sottostante l’ardore dell’impresa sia voluta per non inasprire questa, e si risente nella lingua, nella normalità un poco troppo consueta di termini e situazioni d’amore e nella scelta del partner eccezionale. Questa nota è mitigata dal dialogo fra i personaggi fra di loro, ora accesi, ora svagati, e su citazioni di libri di osservatori e pensatori che lasciano meditare, per l’anticipo dato allo stato attuale: «Oggi vi sono due società parassitarie… la mafia e la sinistra col suo corredo di sindacati e cooperative… ma la sinistra non ha neppure la dignità criminale della mafia… è uno zombie che cammina.»

Raggiunge quindi il pieno dell’amor di Patria che letteralmente infiora con garbo il testo quando racconta l’impresa dell’ARMIR e riporta il commento del Comando russo su Nikolajewka, per il quale l’unico Corpo imbattuto in terra russa e dal suo gelo sarebbe quello degli Alpini, il motto dei quali è Nec videatur dum sim, ed il credo di essi, sulla immortalità dell’Italia, è che bastino gli Alpini, fino a che essi abbiano ritta la penna.

Non è stata una lettura di volo, il Minareto di Jam, è stata una lettura acuta, a cuore aperto, lasciandosi prendere da quell’universo di informazioni, dall’indubbia forza dell’autore come conoscitore di cause, addolcita da quel tanto di applaudita assenza di mestiere di scrittore che diventa piena qualità per chi, leggendo, cerca un messaggio, un filo per salire sulla dura parete dell’esistenza.

Marilù Giannone